
Il caso della cosiddetta "famiglia nel bosco" di Palmoli ha scosso l'opinione pubblica italiana, sollevando interrogativi profondi sui confini tra libertà genitoriale e tutela minorile.
Il decreto del Tribunale per i Minorenni dell'Aquila del 13 novembre 2025 rappresenta un paradigma giuridico che merita un'analisi approfondita, al di là delle polarizzazioni mediatiche che hanno caratterizzato il dibattito pubblico.
La decisione del Tribunale aquilano si inserisce in un consolidato framework normativo che trova il proprio fondamento nell'art. 1 della Legge n. 184 del 1983, secondo cui "il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia", principio che tuttavia deve essere bilanciato con la tutela dell'interesse superiore del minore stesso.
L'art. 403 del Codice civile disciplina l'intervento della pubblica autorità quando il minore "è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell'ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica".
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la dichiarazione di adottabilità costituisce extrema ratio, come affermato dalla Cassazione Civile, sentenza n. 1932 del 2017, secondo cui "costituisce un diritto fondamentale del figlio quello di vivere con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia, diritto che va salvaguardato in via prioritaria". Tuttavia, tale diritto "può essere limitato solo quando si configuri un endemico e radicale stato di abbandono".
Il decreto aquilano presenta elementi di particolare interesse giuridico. Secondo quanto emerge dalle motivazioni del Tribunale, l'ordinanza cautelare non si fonda "sul pericolo di lesione del diritto dei minori all'istruzione, ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione, articolo 2 della Costituzione, produttiva di gravi conseguenze psichiche ed educative a carico del minore".
Questa impostazione rivela una sofisticata analisi giuridica che va oltre le apparenze. Il Tribunale non ha censurato la scelta educativa alternativa in sé, ma ha individuato nella "deprivazione del confronto fra pari in età da scuola elementare" un elemento che "può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico".
Il caso solleva questioni fondamentali sul bilanciamento tra l'art. 316 del Codice civile, che riconosce ai genitori la responsabilità genitoriale "tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio", e la necessità di tutelare diritti fondamentali del minore che potrebbero essere compromessi da scelte genitoriali estreme.
La Cassazione Civile, sentenza n. 482 del 1998, ha chiarito che la "situazione di abbandono" può risultare "quale obbiettiva conseguenza di una condotta commissiva che, indipendentemente dagli intendimenti cui essa risulti ispirata (e perfino in contrasto con essi), impedisca o esponga a grave rischio il sano sviluppo psicologico del minore".
Questo principio appare particolarmente rilevante nel caso in esame, dove l'amore genitoriale, pur genuino e profondo, potrebbe tradursi in una forma di "neglect" involontario, per utilizzare la terminologia della letteratura internazionale citata nel decreto.
Tuttavia, il caso presenta anche profili critici che meritano attenta considerazione. La Cassazione Civile, ordinanza n. 652 del 2019, ha stabilito che "la valutazione dello stato di abbandono deve fondarsi su un riscontro attuale e concreto della situazione, basato su indagini riferite al presente e non al passato, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale manifestata dai genitori".
Nel caso della famiglia Trevallion-Birmingham, emerge una questione procedurale significativa: secondo quanto riportato dalle cronache giornalistiche, i genitori non avrebbero avuto la possibilità di dimostrare concretamente la loro capacità di adeguarsi alle prescrizioni del Tribunale, configurandosi potenzialmente una violazione del principio di gradualità che dovrebbe caratterizzare gli interventi di tutela minorile.
La questione centrale riguarda i limiti del diritto all'autodeterminazione educativa. L'art. 337-ter del Codice civile stabilisce che "il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi".
La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto ampi margini di discrezionalità genitoriale, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 303 del 1996, che ha affermato la necessità di valutare "esclusivamente l'interesse del minore" anche in deroga a rigide prescrizioni normative.
Tuttavia, tale discrezionalità non può tradursi in una forma di "amore tossico" genitoriale, per utilizzare l'espressione efficacemente coniata nel dibattito pubblico. La Cassazione Civile, sentenza n. 17107 del 2019, ha chiarito che "il mero positivo riscontro di relazioni affettive tra genitore e figlio non può supplire alla riscontrata incapacità genitoriale di accudire e prendersi cura del minore".
Un aspetto particolarmente innovativo del decreto aquilano riguarda l'enfasi posta sul diritto alla socializzazione. Il Tribunale ha individuato nella privazione sistematica del confronto con i pari un elemento lesivo dell'art. 2 della Costituzione, configurando una forma di "deprivazione socio-culturale" che può compromettere lo sviluppo psico-fisico del minore.
Questa impostazione trova riscontro nella letteratura scientifica internazionale, che ha evidenziato come l'isolamento sociale prolungato possa comportare conseguenze significative sullo sviluppo cognitivo ed emotivo dei minori. Il decreto cita espressamente la "Teoria Socio-Culturale di Vygotskij, Teoria Cognitivo Evolutiva di Piaget, Teoria dell'Apprendimento Sociale di Bandura, Teoria Ecologica di Bronfenbrenner", dimostrando un approccio scientificamente fondato.
Il decreto evidenzia anche criticità relative alle condizioni abitative e sanitarie. L'assenza di "agibilità e pertanto di sicurezza statica, anche sotto il profilo del rischio sismico e della prevenzione di incendi, degli impianti elettrico, idrico e termico" configura, secondo il Tribunale, "la presunzione ex lege dell'esistenza del periodo di pregiudizio per l'integrità e l'incolumità fisica dei minori".
Questa valutazione appare giuridicamente solida, trovando fondamento nell'art. 9 della Legge n. 184 del 1983, che impone la segnalazione di "situazioni di abbandono di minori di età" e nell'art. 50 del Codice in materia di protezione dei dati personali, che estende il divieto di pubblicazione anche ai procedimenti civili che coinvolgano minori.
Tuttavia, il caso solleva interrogativi profondi sulla proporzionalità dell'intervento. La Cassazione Civile, sentenza n. 782 del 2017, ha stabilito che "il prioritario diritto del figlio di vivere con i propri genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, la cui dichiarazione costituisce extrema ratio".
Nel caso in esame, appare discutibile se siano state esperite tutte le misure alternative all'allontanamento. La possibilità di fornire supporto abitativo alla famiglia, mantenendo l'unità del nucleo familiare, avrebbe potuto rappresentare una soluzione meno traumatica e più rispettosa del principio di gradualità.
Un aspetto tecnico rilevante riguarda l'istruzione parentale. Secondo le motivazioni del decreto, i genitori "non hanno esibito al Servizio Sociale né prodotto in giudizio la dichiarazione annuale al dirigente scolastico della scuola più vicina sulla capacità tecnica o economica di provvedere all'insegnamento parentale".
Questa omissione, pur formalmente rilevante, non dovrebbe di per sé giustificare l'allontanamento, considerando che l'istruzione parentale è un diritto costituzionalmente garantito e che la mancanza di documentazione formale può essere sanata attraverso procedure amministrative.
Il caso evidenzia la complessità del bilanciamento tra diritti fondamentali in potenziale conflitto. Da un lato, il diritto dei genitori all'autodeterminazione educativa, tutelato dagli artt. 29 e 30 della Costituzione; dall'altro, i diritti fondamentali del minore alla salute, all'istruzione, alla socializzazione e allo sviluppo della personalità, garantiti dagli artt. 2, 32 e 34 della Costituzione.
La Cassazione Civile, sentenza n. 9373 del 2018, ha chiarito che l'adozione in casi particolari "risponde all'esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore attraverso la valorizzazione della stabilità delle relazioni affettive ed educative consolidatesi".
Il caso della famiglia nel bosco rappresenta un banco di prova per il sistema di giustizia minorile italiano. La sfida consiste nel trovare un equilibrio tra la necessaria tutela dei diritti fondamentali del minore e il rispetto dell'autonomia genitoriale, evitando sia derive autoritarie che forme di negligenza istituzionale.
La Cassazione Civile, sentenza n. 11408 del 2014, ha stabilito che "il diritto fondamentale del minore alla realizzazione delle condizioni migliori per la sua vita attuale e per lo sviluppo psico-fisico futuro non può essere rimesso ad una valutazione ed attuazione differita".
Questo principio, pur condivisibile, deve essere applicato con la massima cautela, considerando che l'allontanamento dalla famiglia di origine rappresenta sempre un trauma per il minore, anche quando necessario per la sua tutela.
Il decreto del Tribunale per i Minorenni dell'Aquila, al di là delle polemiche mediatiche, rappresenta un tentativo di applicare rigorosamente i principi di tutela minorile in una situazione di particolare complessità.
Tuttavia, il caso evidenzia la necessità di un approccio più sistemico e graduale, che privilegi il supporto alla famiglia rispetto all'allontanamento.
La vera sfida per il sistema di giustizia minorile consiste nel sviluppare strumenti di intervento più sofisticati, capaci di tutelare i diritti fondamentali del minore senza compromettere inutilmente l'unità familiare.
Solo attraverso un approccio multidisciplinare, che integri competenze giuridiche, psicologiche e sociali, sarà possibile garantire quella tutela effettiva dell'interesse superiore del minore che rappresenta il fine ultimo di ogni intervento in questo delicato settore.
Il caso della famiglia nel bosco ci ricorda che dietro ogni provvedimento giudiziario ci sono vite umane, affetti, speranze e sofferenze, soprattutto alcuni commentatori hanno sollevato degli esempi lampanti per analogia sui minori dei campi Rom che spesso sono in condizioni simili o ben peggiori.
La responsabilità del giurista è quella di garantire che la giustizia sia non solo tecnicamente corretta, ma anche umanamente comprensibile e socialmente accettabile, nel superiore interesse di quei minori che, come recita l'art. 1 della Convenzione di New York del 1989, hanno diritto a vedere tutelata la loro dignità di persone in formazione.
In queste ultime ore c'è stato un grande clamore mediatico e il Ministero della Giustizia ha addirittura richiesto gli atti per valutare i fatti.
Come sempre tutto sta nel modo di vedere la fattispecie del giudicante, in base alle leggi, che si può criticare, ma questa è la Nostra Giustizia e speriamo che la vicenda trovi un approccio morbido nei mesi a seguire perchè le vere vittime sono sempre i minori.
L'Avv. Erik Stefano Carlo BODDA tratta diritto di famiglia e tutela minorile presso il Foro di Torino.
Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e sopratutto non impegnano alcuna istituzione.

