
Con la sentenza n. 37685/2025, la Terza Sezione penale ribadisce che, quando il pubblico ministero richiede l'emissione del decreto penale di condanna, il giudice non può chiudere il procedimento dichiarando la non punibilità per particolare tenuità del fatto senza prima aprire il contraddittorio.
Una simile scelta, osserva la Corte, viola le garanzie difensive e genera una nullità a carattere generale.
La decisione richiama il precedente delle Sezioni Unite (sent. n. 20569/2018, Ksouri), secondo cui l'applicazione dell'art. 131-bis c.p.:
implica la verifica del fatto,
richiede l'attribuzione della condotta all'imputato,
comporta effetti non totalmente liberatori.
Per questi motivi è imprescindibile il confronto tra accusa, difesa e, se presente, la persona offesa.
Senza tale passaggio, il giudice non può sostituire il decreto penale con una sentenza ex art. 129 c.p.p. basata sulla tenuità del fatto.
L'unica soluzione è restituire gli atti al PM, che valuterà se proporre l'archiviazione.
La vicenda riguardava un presunto illecito edilizio previsto dall'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001.
Il pubblico ministero aveva chiesto il decreto penale, ma il GIP aveva preferito assolvere l'indagato per tenuità senza avviare alcun contraddittorio.
La difesa ha impugnato la decisione lamentando la violazione del diritto al confronto processuale.
La Cassazione ha accolto il ricorso: l'assenza di contraddittorio rende la sentenza invalida.
Gli atti sono stati quindi rinviati al Tribunale competente, che dovrà proseguire correttamente il procedimento secondo le regole del decreto penale.

