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Notizie Giuridiche

» La promessa elettorale mendace
23/11/2025 - Aldo Andrea Presutto

Promesse elettorali, violazione dei diritti e le elezioni regionali in Campania

In occasione delle recenti elezioni regionali in Campania, il panorama politico ha offerto uno spettacolo già noto agli italiani: promesse mirabolanti, programmi elettorali iperbolici e dichiarazioni talvolta palesemente irrealizzabili. Se da un lato il cittadino è formalmente libero di esprimere il proprio voto, dall'altro la diffusione sistematica di informazioni fuorvianti solleva una questione fondamentale: la retorica elettorale può configurare una violazione dei diritti dell'elettore"

La tradizione italiana delle campagne elettorali è costellata di episodi di promesse mancate: grandi opere mai realizzate, riforme annunciate e poi disattese, programmi elettorali "miracolosi" che si dissolvono nel nulla. Questa continuità storica dimostra che il fenomeno non è nuovo, ma una costante della politica italiana, alimentata da un mix di retorica e spettacolarizzazione mediatica.

Un confronto comparativo mostra approcci diversi: negli Stati Uniti esiste un sistema di fact"checking istituzionalizzato volto a verificare la veridicità delle dichiarazioni dei candidati; in Francia la responsabilità politicadei rappresentanti è più stringente, con conseguenze morali e talvolta legali in caso di violazioni gravi. Questo dimostra che il problema delle promesse elettorali ingannevoli è universale, seppur declinato secondo culture politiche differenti.

Dal punto di vista costituzionale, la questione è di estrema rilevanza. L'art. 48 Cost. tutela il diritto di voto, mentre l'art. 21 Cost. garantisce la libertà di manifestazione del pensiero. Tuttavia, il rovescio di questa libertà è evidente: la libertà di espressione non può trasformarsi in libertà di inganno. La menzogna politica non è solo un problema etico, ma incide sulla qualità della democrazia e sulla effettività del diritto di voto, minacciando il principio di sovranità popolare sancito dall'art. 1 Cost.

In assenza di vincolatività giuridica, la promessa elettorale mendace resta confinata alla responsabilità politica e morale. Come osservava Max Weber, "si può vivere per la politica oppure si può vivere della politica": ed è in questa distinzione che si misura la vera legittimità democratica. Analogamente, Norberto Bobbio ricordava che la democrazia è "un sistema di regole", ma che essa vive solo se accompagnata da comportamenti leali e trasparenti: il diritto positivo da solo non basta, se non è sorretto da una responsabilità etica dei rappresentanti.

Da qui nasce la tesi provocatoria di questo articolo: se il voto è libero, ma l'informazione è falsata, la democrazia diventa un simulacro. Le recenti elezioni regionali in Campania ne offrono un esempio paradigmatico: programmi elettorali strabilianti e promesse da "miracolo economico" hanno circolato senza alcun meccanismo efficace di responsabilità legale o sanzione politica immediata, esponendo l'elettore a una vulnerabilità sistemica.

La promessa elettorale mendace, pur priva di vincolatività giuridica, si traduce in una lesione indiretta del diritto all'informazione politica e, di riflesso, del diritto di voto.

Promesse elettorali e diritto costituzionale

Le promesse elettorali, per quanto grandiose o fantasiose, si collocano in una zona grigia tra diritto e retorica politica. Formalmente, la Costituzione tutela ampiamente la libertà di parola e di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e il diritto di voto (art. 48 Cost.), sancendo un equilibrio delicato tra libertà del politico e diritto dell'elettore a una scelta consapevole.

Tuttavia, la pratica elettorale mostra spesso un paradosso inquietante: i candidati godono di piena libertà nel promettere mari e monti, mentre l'elettore resta esposto a una informazione volutamente incompleta o ingannevole, senza strumenti legali immediati per tutelarsi. Qui la Costituzione sembra oscillare tra rigore e flessibilità: da un lato garantisce la libertà di espressione politica, dall'altro richiede che tale libertà non si traduca in libertà di inganno, pena un'erosione indiretta del diritto di voto.

L'art. 1 Cost., che sancisce la sovranità popolare, acquista qui un significato profondo. Se l'elettore prende decisioni sulla base di informazioni false o manipolate, la sovranità popolare si trasforma in simulacro, e il principio democratico fondamentale – che il potere appartiene al popolo – viene indebolito. In altre parole, la democrazia non è più solo un insieme di regole scritte, ma un patto di fiducia tra cittadini e rappresentanti, come sottolineavano Max Weber e Norberto Bobbio.

Dal punto di vista costituzionale, si può dunque affermare che le promesse elettorali non sono neutre: pur non essendo giuridicamente vincolanti, hanno un impatto diretto sulla qualità della democrazia e sul diritto fondamentale dell'elettore a un'informazione corretta. La Costituzione tutela formalmente il voto, ma non garantisce automaticamente la verità delle dichiarazioni politiche; è qui che entra in gioco la responsabilità morale e politica dei candidati, l'unico deterrente efficace in assenza di strumenti sanzionatori immediati.

Le ultime elezioni regionali hanno offerto un esempio lampante di questa dinamica: programmi elettorali strabilianti, promesse faraoniche e nessuna reale garanzia di adempimento. L'elettore, pur formalmente libero, si è trovato a navigare in un mare di illusioni, testimoniando quanto fragile sia la tutela costituzionale del diritto di voto quando manca trasparenza e lealtà politica.

In sintesi, le promesse elettorali rappresentano un interessante caso di tensione tra diritto positivo e responsabilità politica: la Costituzione stabilisce principi fondamentali, ma la loro efficacia dipende dalla buona fede dei rappresentanti e dalla capacità critica del cittadino-elettore. La libertà senza verità si trasforma in simulacro, e la democrazia diventa uno spettacolo di forma più che di sostanza

La promessa elettorale come atto giuridico imperfetto

Se la politica fosse un'opera teatrale, la promessa elettorale sarebbe la star dello spettacolo: solenne, convincente, emozionante… e giuridicamente fragile. Dal punto di vista tecnico, essa può essere inquadrata come dichiarazione unilaterale priva di vincolatività giuridica: promette, ma non obbliga; entusiasma, ma non lega; crea aspettative, ma non contratti.

Dal diritto civile, il confronto è istruttivo e ironico al tempo stesso. L'art. 1321 c.c. definisce il contratto come accordo tra due o più parti destinato a creare obbligazioni. La promessa elettorale manca di uno degli elementi fondamentali del contratto: il sinallagma. Non esiste una controparte che possa pretendere l'adempimento: l'elettore, pur legittimamente speranzoso, resta una sorta di creditore immaginario, sospeso tra attesa e disillusione. La promessa politica genera quindi aspettative, non obblighi, trasformando l'atto giuridico in una sorta di "contratto imperfetto", in cui il codice civile sorride indulgente, ma non interviene.

La dottrina più acuta coglie l'essenza morale di questa imperfezione.

Gli effetti pratici di questa "imperfezione giuridica" sono lampanti. L'elettore resta privo di tutela immediata: nessun giudice potrà costringere il politico a realizzare le promesse di un programma elettorale, per quanto faraonico. Al contempo, però, questa fragilità apre il campo a riflessioni più ampie sulla necessità di strumenti di controllo e di accountability politica e culturale, che vadano oltre il diritto positivo e incoraggino trasparenza, verifica e responsabilità morale.

In questo senso la promessa elettorale è un atto giuridico imperfetto, sospeso tra legge, etica e retorica. Essa ci ricorda, con ironia e amarezza, che il diritto può stabilire regole, ma non garantire da solo la verità delle promesse, lasciando all'elettore e alla società civile il compito di giudicare la responsabilità dei rappresentanti.

Responsabilità politica vs responsabilità giuridica

La promessa elettorale è un atto giuridico imperfetto: affascina, entusiasma, ma non vincola. Da questa imperfezione nasce un punto cruciale per la democrazia italiana: la responsabilità del politico è quasi esclusivamente politica e morale, non giuridica. Chi promette l'impossibile non rischia processi penali né contenziosi civili, ma si trova a fronteggiare il giudizio inflessibile della storia, dei media e, soprattutto, degli elettori.

La dottrina costituzionalistica italiana è chiara su questo punto: i programmi elettorali e le promesse politiche sono atti politici privi di valore giuridico cogente. La giurisprudenza ha confermato che la mancata realizzazione di promesse elettorali non costituisce violazione giuridica, salvo ipotesi eccezionali di frode elettorale. La responsabilità legale resta minima, mentre la vera arena di giudizio rimane quella politica e culturale, dove la reputazione del rappresentante viene messa alla prova dai cittadini.

Le elezioni regionali offrono un esempio emblematico: programmi faraonici, promesse da "miracolo economico e sociale" e nessun vincolo giuridico concreto. In questo contesto, il giudizio cade sui cittadini, sui giornalisti e sull'opinione pubblica: il politico può incantare, ma non può sfuggire al vaglio del consenso.

Ed è proprio in questa assenza di vincolatività che si annida il rischio di lesione indiretta del diritto all'informazione politica. La libertà di voto è formalmente garantita dall'art. 48 Cost., ma la qualità della decisione elettorale dipende da informazioni corrette, trasparenti e verificate. Promesse fuorvianti creano distorsioni che possono compromettere il diritto dell'elettore a una scelta consapevole.

La dottrina costituzionalistica italiana è chiara: i programmi elettorali sono atti politici privi di vincolatività giuridica. Norberto Bobbio ricordava che la democrazia, pur fondata su regole formali, vive solo se accompagnata da comportamenti leali, e la promessa elettorale diventa così un test morale, più che un obbligo legale.

In Italia, la giurisprudenza ha confermato che la mancata realizzazione di una promessa elettorale non configura reato, salvo rare ipotesi di frode o truffa elettorale. Il politico può promettere l'impossibile senza rischiare alcuna conseguenza penale, ma si espone al giudizio dei cittadini, dei media e della storia: l'arena del vero controllo è politica, culturale e morale, non giuridica.

Le elezioni offrono un esempio plastico: programmi faraonici, annunci di miracoli economici, e nessun vincolo concreto a garantire l'adempimento. In questa arena, il politico può incantare, ma il voto resta l'arbitro finale, spietato e inflessibile.

Ed è proprio in questa assenza di vincolatività che si annida il rischio di lesione indiretta del diritto all'informazione politica, presupposto essenziale per un voto realmente consapevole. La libertà di espressione del politico, se esercitata senza controllo, può trasformare il diritto di voto in un esercizio manipolato, rendendo la democrazia un palcoscenico dove il pubblico può applaudire, ma non sempre scegliere informato.

Vuoto normativo e responsabilità morale

In Italia, la promessa elettorale mendace non è sanzionata da alcuna norma. Non esiste alcun articolo di legge che punisca chi promette l'impossibile; la legge osserva, indulgente e silenziosa, mentre il politico continua a incantare il pubblico con annunci spettacolari e programmi faraonici.

Il vuoto normativo non è neutro: incide sulla sostanza della sovranità popolare, che si fonda su un voto consapevole e informato (art. 1 Cost.), e sul diritto di voto stesso (art. 48 Cost.). Senza strumenti di controllo, la libertà di promettere l'impossibile rischia di trasformare il voto in un esercizio manipolato, svuotando la democrazia della sua sostanza.

Il vero strumento di responsabilità resta morale e politico. La perdita di consenso, la critica dei media e il giudizio degli elettori costituiscono l'unica sanzione concreta. In altre parole, la legge stabilisce le regole, ma il loro effetto dipende dal comportamento dei cittadini e dei rappresentanti. Come osservava Kelsen, la validità delle norme non basta senza la loro effettività: la promessa elettorale mendace mostra proprio questo scarto tra forma e sostanza, tra il diritto scritto e la realtà della politica.

Anche a livello sovranazionale, il problema è riconosciuto. L'art. 10 della CEDU tutela la libertà di espressione, ma la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha chiarito che essa non può trasformarsi in libertà di inganno, soprattutto quando l'informazione pubblica incide sul diritto dei cittadini a prendere decisioni consapevoli. In modo analogo, la Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE protegge il diritto all'informazione, ribadendo il legame tra libertà di espressione e trasparenza politica.

Il confronto internazionale mostra che alternative più incisive sono possibili. Negli Stati Uniti, il fact"checking istituzionalizzato limita il potere di ingannare il pubblico; in Francia, la responsabilità politica è più stringente, con ripercussioni immediate per chi smentisce sistematicamente le proprie promesse. In Italia, invece, la promessa elettorale rimane un atto spettacolare senza vincolo legale, e il politico può volare alto nel cielo mediatico finché gli elettori non decidono, con il loro voto, di riportarlo con i piedi per terra.

Il vuoto normativo trasforma quindi la responsabilità in un duello morale: chi promette deve sperare che gli elettori siano vigili, altrimenti l'illusione continua impunita.

Strumenti di accountability: tra sovranità, morale e diritto europeo

In una democrazia, promettere l'impossibile senza conseguenze sarebbe drammaticamente divertente, se non fosse tragico. Il vuoto normativo italiano lascia spazio alle illusioni, ma la sovranità popolare non può vivere di sole parole: art. 1 Cost. e art. 48 Cost. ci ricordano che il voto è libero solo se consapevole, e che senza trasparenza la sovranità rischia di svuotarsi.

Ed è qui che entrano in gioco gli strumenti di accountability. Non sono solo regole burocratiche o elenchi di obblighi: sono il ponte tra forma e sostanza, tra ciò che la legge dice e ciò che la politica effettivamente realizza.

Il mondo non ha inventato niente di irrealizzabile. Negli Stati Uniti, il fact"checking istituzionalizzato passa ogni parola dei candidati al setaccio dei dati e della verità. In Francia, la pressione politica è immediata e concreta: chi mente sistematicamente sulle proprie promesse rischia il consenso, il sostegno del partito e la carriera parlamentare.

E l'Europa" Anche lì l'esperienza esiste. Il Parlamento europeo ha avviato codici di condotta elettorale e linee guida sulla trasparenza delle campagne, obbligando i candidati a rendere pubblici programmi, finanziamenti e informazioni verificabili. Non è fantasia: sono strumenti reali che rafforzano il diritto all'informazione e riducono il margine di discrezionalità dei politici.

In Italia, l'idea non è fantascienza: rendicontazione, depositi di programmi, report periodici, fact"checking civico. Tutto questo crea un meccanismo di controllo che non punisce con la legge, ma obbliga il politico a confrontarsi con la realtà e con il giudizio dei cittadini. La politica diventa così un'arena dove la responsabilità morale e civile ha la stessa forza – se non più – della norma scritta.

Tout court la democrazia non si tutela da sola. Senza strumenti di accountability, la libertà di promettere l'impossibile può svuotare il voto di significato. Con strumenti trasparenti, verificabili e culturalmente radicati, il cittadino non è spettatore, ma arbitro, e il politico scopre che il consenso è fragile e guadagnato solo con responsabilità reale.

Considerazioni conclusive

La promessa elettorale, con i suoi annunci spettacolari e le illusioni mediatiche, non è mai stata solo un gioco di parole: è un banco di prova della democrazia stessa. In Italia, il vuoto normativo lascia al politico libertà quasi totale, trasformando la responsabilità in un duello morale tra elettore e rappresentante, tra spettacolo e realtà. Ma come ammoniva Bobbio, la democrazia vive di regole ma muore di menzogne: e la promessa elettorale mendace è il suo veleno più sottile.

Il problema, tuttavia, non è solo italiano. Ovunque la democrazia si misura sulla capacità di trasformare parole in responsabilità: il fenomeno delle promesse elettorali mendaci è universale, e strumenti come fact"checking, rendicontazione e trasparenza non sono lussi, ma necessità per mantenere viva la sovranità popolare.

La chiave resta la verità. La libertà di parola non può trasformarsi in libertà di inganno, e il diritto di voto, per essere autentico, deve poggiare su informazioni veritiere, trasparenti e verificabili. Senza questo presidio, la promessa elettorale resta un simulacro, e la sovranità popolare si svuota di sostanza.

"La democrazia non vive di promesse: vive di verità, responsabilità e sovranità popolare."

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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