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Notizie Giuridiche

» Whistleblowing: ritorsioni e responsabilità datoriale
24/11/2025 - Francesco Pace

La vicenda sottesa e la questione giuridica

Il caso sottoposto all'esame del Tribunale bergamasco origina da una complessa vicenda che ha coinvolto una dipendente della Polizia Locale in servizio dal 2004, la quale, eletta RSU nel 2012, aveva assunto un ruolo attivo nella segnalazione di irregolarità amministrative effettuando esposti all'ANAC per "irregolarità concernenti l'erogazione dei buoni pasto, delle indennità di turno e dei permessi studio a chi non ne aveva diritto" e presentando denuncia alla Guardia di Finanza per irregolarità commesse dai responsabili dell'ente, riguardanti "richiesta di cofinanziamenti, irregolari erogazioni di proventi o notifiche di sanzioni amministrative, irregolarità nei criteri di valutazione delle performance e del pagamento dei premi di produttività".

A seguito di tali segnalazioni, la lavoratrice ha denunciato di essere stata vittima di una serie sistematica di condotte vessatorie poste in essere dai superiori gerarchici e dai colleghi di lavoro, consistite principalmente in minacce e intimidazioni ("perseguire in tutte le sedi gli autori delle segnalazioni"), demansionamento con assegnazione a mansioni inferiori, isolamento lavorativo con privazione degli strumenti di lavoro, denigrazioni pubbliche da parte del Comandante e ritiro dell'arma di servizio con conseguente revoca della qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza.

La vicenda presenta profili di particolare interesse giuridico in quanto solleva questioni relative all'applicabilità della disciplina del whistleblowing ex art. 54-bis del d.lgs. 165/2001.

Tale normativa prevede un sistema articolato di tutele nei confronti del "segnalante", consistenti nella garanzia di riservatezza dell'identità del medesimo, nel divieto di ritorsione e nell'inversione dell'onere della prova in caso di ritorsione.

La specificità del caso risiede nella necessità di valutare l'incidenza di comportamenti che, pur non integrando tecnicamente gli estremi del mobbing per l'assenza dell'elemento soggettivo dell'intento persecutorio unificante, avevano nondimeno generato un ambiente lavorativo "stressogeno e nocivo" per la salute psico-fisica della dipendente.

La distinzione fondamentale tra mobbing e responsabilità ex art. 2087 c.c.

Un aspetto cruciale della decisione riguarda la distinzione concettuale tra mobbing in senso tecnico e responsabilità datoriale per violazione dell'obbligo generale di sicurezza.

Il Tribunale, dopo aver precisato che il mobbing richiede la sussistenza cumulativa di elementi specifici quali "la pluralità, frequenza e la sistematicità dei comportamenti lesivi, unificati dall'intento specifico ed unitario di emarginare il soggetto mobbizzato, che comportano conseguenze patologiche sul piano fisico o psichico", ha chiarito che, ove non sia configurabile una condotta di mobbing, è comunque ravvisabile la violazione dell'art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro abbia consentito il mantenersi di un ambiente di lavoro stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori.

La decisione del Tribunale bergamasco si inserisce nel più ampio quadro della tutela costituzionale del diritto alla salute nei luoghi di lavoro, riconoscendo che l'obbligo datoriale di sicurezza si estende anche alla prevenzione di danni alla salute psichica derivanti da condizioni lavorative stressogene.

I presupposti per il riconoscimento della responsabilità datoriale

La decisione ribadisce che la responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. "non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro", ma si fonda sulla violazione dell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Ne consegue che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra.

Fornita tale prova, sussiste - invece - per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale ha riconosciuto che "è indubbio che le condotte sopra descritte siano illegittime e che la (…), nelle sue qualità di datrice di lavoro, ha violato l'art. 2087 c.c. per avere consentito, pur colposamente, il mantenersi di un ambiente di lavoro nocivo o ostile, indubbiamente fonte di stress e di logorio fisico e mentale".

La qualificazione e quantificazione del danno

Un aspetto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra danno biologico, danno morale e danno esistenziale.

La sentenza ha rigettato le domande di risarcimento del danno biologico ed esistenziale per mancanza di specifica prova medico-legale, riconoscendo invece il solo danno morale nella misura di € 25.000.

In particolare, il Tribunale ha riconosciuto che la lavoratrice aveva subito una "intensa sofferenza soggettiva provata dalla ricorrente in conseguenza delle condotte, protrattesi per quasi tre anni, sofferenza che può essere dimostrata anche tramite il ricorso alla prova presuntiva secondo l'id quod plerumque accidit".

Conclusioni

La sentenza n. 951 del 2025 del Tribunale di Bergamo (sotto allegata) rappresenta un importante contributo nell'evoluzione del diritto del lavoro, delineando un quadro sistematico e rigoroso per la valutazione delle domande di risarcimento derivanti da condotte vessatorie nell'ambiente lavorativo.

La decisione assume particolare rilevanza per aver confermato l'orientamento consolidato secondo cui la tutela giuridica del prestatore di lavoro non può essere circoscritta alle sole ipotesi di mobbing tecnicamente configurato, ma deve necessariamente estendersi a tutte le situazioni in cui il datore di lavoro, anche attraverso condotte meramente colpose, consenta il perdurare di un ambiente di lavoro nocivo e pregiudizievole per l'integrità psico-fisica del dipendente.

Particolarmente significativo appare il riconoscimento della rilevanza delle segnalazioni di irregolarità amministrative nell'ambito della disciplina del whistleblowing, evidenziando come la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti costituisca un elemento essenziale per l'integrità della pubblica amministrazione e richieda una protezione rafforzata contro eventuali misure ritorsive.


Avv. Francesco Pace

Studio Legale Cataldi sede di Roma

studiolegalecataldiroma@gmail.com

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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