Ove, al contrario, le parti (o il testatore) facciano riferimento ad una entità da trarsi da un certo quantitativo di cose sia pure generiche, ma determinate ed esistenti nel patrimonio di uno di essi (o del testatore) siamo di fronte non al sorgere di un particolare diritto personale la cui soddisfazione lo trasformerebbe in diritto di proprietà, bensì assistiamo al nascere di un diritto di comproprietà tra acquirente e venditore (o erede/legatario di cose generiche) avente ad oggetto tutte le cose generiche.
Il diritto poi dell'acquirente (astratto) si tradurrà in diritto concreto di proprietà a seguito della divisione posta in essere dal venditore stesso o dal terzo.
Del resto, come è possibile vendere o comprare validamente la quota astratta della proprietà di un qualsivoglia bene, parimenti è configurabile una proprietà di quota, vale a dire di una entità astratta (ecco una titolarità parziaria di un diritto reale su un bene).
Egualmente, allorchè il testatore lascia collettivamente i suoi beni agli eredi, questi ultimi ne acquisiscono la proprietà e non solo un diritto di credito verso la massa.
Se la volontà del testatore risulta dubbia perchè non chiaramente formulata, questa può desumersi aliunde, beninteso però ove si evidenzi un addentellato nel testamento. Il ricorso a espressioni estranee estrinseche deve essere mirato non a ricostruire una volontà non espressa ma a chiarire eventuali dubbi lasciati dalla dichiarazione testamentaria.
Utile qui richiamare il concetto di diritto soggettivo.
Tale potendosi definire una posizione giuridica soggettiva, attiva, specifica e concreta. Si tratta cioè di una libertà determinata che spetta al soggetto in dipendenza di un atto in senso lato esplicativo della sua personalità, vale a dire in conseguenza di un determinato rapporto intercorso con altri soggetti, ovvero dell'inerenza ad un determinato oggetto materiale qualificabile come bene (Chiovenda).