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Notizie Giuridiche

» Tra cattedra e codice penale: sessualità minorile, tipicità e percezione sociale
07/11/2025 - Aldo Andrea Presutto

1. Introduzione: tra diritto, morale e confini della punibilità

Il diritto penale contemporaneo si fonda su un principio fondamentale: esso non può farsi carico della moralizzazione dei costumi, ma deve limitarsi alla tutela dei beni giuridici fondamentali. Come osservano Fiandaca e Musco, la funzione del diritto penale non consiste nel punire ciò che la società ritiene immorale, bensì nel garantire che solo comportamenti concretamente lesivi dei beni giuridici essenziali possano integrare una fattispecie criminosa. La distinzione tra disvalore etico e rilevanza penale è cruciale per comprendere il corretto ambito di intervento della norma penale e per evitare un approccio emotivo o moralistico alla punizione.

Padovani evidenzia come il principio di legalità e la tassatività della norma penale costituiscano una barriera contro l'arbitrarietà interpretativa e l'influenza dell'opinione pubblica, preservando l'oggettività dell'applicazione della legge. La tassatività impedisce che la punibilità si estenda a condotte che, pur moralmente discutibili, non ledono concretamente la sfera giuridica protetta. Romano, inoltre, approfondisce la clausola di riserva "fuori dalle ipotesi previste" come espressione del principio di sussidiarietà, utile a spiegare la distinzione tra atti sessuali con minorenni e corruzione di minorenne, mentre Beltrani-Marino sottolinea il passaggio dalla tutela di carattere morale alla protezione della libertà sessuale, elemento centrale per l'interpretazione delle norme contro la violenza sessuale.

La giurisprudenza conferma questi orientamenti dottrinali. La Cassazione, con la sentenza n. 44630/2014, ha escluso la punibilità in assenza di un rapporto educativo diretto, ribadendo che la rilevanza penale non può fondarsi su valutazioni etiche o sociali, ma deve derivare da una tipicità rigorosa. La pronuncia n. 24342/2015 chiarisce come, nel caso dei minori ultraquattordicenni, la sussistenza di un rapporto fiduciario concreto costituisca elemento essenziale per configurare la responsabilità penale dell'adulto, mentre l'assenza di coercizione o abuso rende irrilevante il mero disvalore morale della condotta. In linea con tali principi, le sentenze n. 5933/2019 e n. 17509/2019 affermano rispettivamente che l'abuso di potere deve essere strumentale a influenzare la volontà del minore e che la produzione autonoma di materiale sessuale da parte del minore, in assenza di coercizione o finalità di sfruttamento, non integra il reato di pornografia minorile.

L'analisi che segue si fonda sui criteri ermeneutici tradizionali del giurista — letterale, sistematico, teleologico, storico e comparatistico — al fine di ricostruire la ratio decidendi della sentenza e chiarire i confini della punibilità. Dal punto di vista comparatistico, l'Italia adotta un modello intermedio ma garantista: in Francia l'età del consenso è fissata a quindici anni, con punibilità solo in caso di coercizione o abuso; in Germania è di quattordici anni, con aggravanti per abuso di posizione; in Spagna è sedici anni, ma sono previste eccezioni per rapporti consensuali tra adolescenti. Questo quadro mostra come l'ordinamento italiano cerchi di bilanciare la protezione del minore con il rispetto della sua capacità di autodeterminazione sessuale, evitando ingerenze eccessive nella sfera privata.

Infine, la funzione garantista del diritto penale trova ulteriore conferma nelle riflessioni di Mantovani, secondo cui la pena deve essere uno strumento di tutela e non di controllo sociale: il diritto penale è garantista, non moralizzatore. Il principio costituzionale sancito dall'art. 25, comma 2, della Costituzione rafforza questa prospettiva, imponendo che nessuno possa essere punito se non in forza di una legge che preveda espressamente il fatto come reato e vietando qualsiasi estensione analogica o interpretazione moralistica.

Alla luce di queste premesse dottrinali, giurisprudenziali e costituzionali, l'analisi del caso concreto può procedere con rigore scientifico, distinguendo con chiarezza ciò che è rilevante sul piano penale da ciò che, pur suscitando indignazione sociale, non rientra nella sfera della punibilità. L'assoluzione della docente, così interpretata, non rappresenta un vuoto di tutela, ma l'applicazione coerente dei principi di legalità, tassatività e offensività, centrali nella concezione moderna e garantista del diritto penale.

2. La tutela penale della sessualità del minore

La disciplina degli atti sessuali con minorenne, contenuta nell'art. 609-quater c.p., costituisce uno dei pilastri della protezione penale della libertà sessuale dei soggetti vulnerabili. La norma prevede una graduazione della tutela in base all'età del minore, riflettendo il bilanciamento tra la necessità di protezione e il riconoscimento progressivo della capacità di autodeterminazione sessuale.

Per i minori di quattordici anni la protezione è assoluta: qualsiasi atto sessuale compiuto con o su di loro è penalmente rilevante, indipendentemente dal consenso, presupponendo una incapacità completa di autodeterminarsi. Tra quattordici e sedici anni, la rilevanza penale è subordinata alla sussistenza di una relazione qualificata, come quella con genitori, tutori, docenti o altre figure di riferimento cui il minore sia affidato per cura, educazione o vigilanza. Infine, tra sedici e diciotto anni, la punibilità dell'adulto sorge solo in presenza di abuso dei poteri derivanti dalla posizione rivestita.

Tale graduazione normativa riflette l'attenzione del legislatore a proteggere i minori senza criminalizzare automaticamente ogni rapporto sessuale con adulti, valorizzando la capacità di autodeterminazione dei più grandi. La relazione fiduciaria richiesta per i minori tra quattordici e sedici anni deve essere concreta e riconoscibile, e non può fondarsi su ruoli sociali generici o su una mera prossimità relazionale. Il consenso del minore ultraquattordicenne, pur non eliminando di per sé la rilevanza penale, può costituire un indice della sua capacità di autodeterminazione, influendo sulla qualificazione del fatto e sulla gravità della condotta.

Dal punto di vista dottrinale, la norma esprime il principio di sussidiarietà: l'art. 609-quater interviene solo quando non siano presenti condotte costrittive o induttive. In questo senso, il legislatore ha progressivamente abbandonato una tutela di tipo paternalistico, orientandosi verso la protezione della dignità e della libertà sessuale del minore, promuovendo lo sviluppo armonico della sua personalità sessuale. La norma punisce dunque le condotte che compromettono tale sviluppo, ma non trasforma automaticamente in reato ogni rapporto con un minore ultraquattordicenne, in assenza di coercizione, abuso o posizione di autorità.

Nel caso concreto esaminato dalla Corte d'Appello, i minori coinvolti erano quindicenni e non erano studenti né soggetti all'affidamento della docente. La mancanza di un vincolo educativo o fiduciario ha reso la condotta priva dei requisiti strutturali richiesti dalla norma, giustificando l'assoluzione. Tale decisione non costituisce una lacuna normativa, ma rappresenta l'applicazione rigorosa del principio di legalità, secondo cui può essere punito solo ciò che è espressamente previsto come reato e che lede concretamente il bene giuridico tutelato.

3. La corruzione di minorenne e il dolo specifico

L'art. 609-quinquies c.p. disciplina la corruzione di minorenne, configurando un reato di danno, poiché la sua consumazione presuppone una lesione effettiva dell'ordinato sviluppo psico-sessuale del minore. Non si tratta di una mera esposizione a contenuti sessuali, ma di una condotta idonea a incidere negativamente sulla formazione della personalità infraquattordicenne, alterandone la percezione della sessualità e compromettendone la maturazione affettiva. La norma si concentra, dunque, sull'effetto corruttivo derivante dall'assistenza a atti sessuali o dalla visione di materiale pornografico, a differenza dell'art. 609-quater, che punisce il compimento diretto di atti sessuali con il minore. Non è necessario che il minore sia destinatario diretto dell'atto né che vi sia contatto fisico: è sufficiente che la condotta sia idonea a turbare la sua sfera sessuale, purché perseguita con finalità corruttiva.

Elemento fondamentale della fattispecie è il dolo specifico, che implica la volontà consapevole di coinvolgere il minore in un processo di corruzione sessuale. L'intento dell'agente non può essere dedotto dalla mera presenza del minore o da circostanze accidentali, ma deve emergere chiaramente la finalità di alterarne la percezione della sessualità, rendendolo spettatore o destinatario di contenuti sessuali in modo deliberato. In assenza di tale elemento soggettivo qualificato, la norma non trova applicazione, anche se la condotta può risultare moralmente discutibile.

La clausola di riserva contenuta nel secondo comma della disposizione, che prevede l'applicazione della norma solo "salvo che il fatto costituisca più grave reato", rafforza il carattere sussidiario della fattispecie. Essa interviene esclusivamente quando non siano configurabili reati più gravi, come la violenza sessuale o gli atti sessuali con minorenne, imponendo al giudice un'attenta valutazione della condotta e prevenendo sovrapposizioni punitive o duplicazioni della sanzione.

Nel caso concreto, i minori coinvolti avevano quindici anni, superando la soglia prevista dalla norma. Non vi era alcuna prova che l'adulta avesse agito con finalità corruttiva o che avesse cercato di turbare la loro sfera sessuale. La condotta non integrava né l'elemento oggettivo né quello soggettivo della fattispecie, giustificando l'assoluzione. Tale decisione non costituisce una lacuna normativa, ma l'applicazione rigorosa dei principi di legalità e tassatività, secondo cui può essere punito solo ciò che è espressamente previsto come reato e che comporta una lesione effettiva del bene giuridico tutelato.

L'interpretazione della norma deve avvenire secondo criteri ermeneutici rigorosi. La lettura letterale rispetta la soglia anagrafica; quella sistematica colloca la fattispecie tra i reati contro la libertà sessuale; quella teleologica ne evidenzia la finalità di protezione del minore da condotte corruttive; quella storico-comparatistica mostra come l'ordinamento italiano, rispetto ad altri ordinamenti europei, mantenga un approccio garantista, evitando di criminalizzare condotte prive di effettiva lesività. In questo quadro, la corruzione di minorenne si configura come fattispecie di confine, da applicare con prudenza e solo quando sussistono tutti gli elementi richiesti dalla legge.

4. Pornografia minorile e utilizzo del minore

L'art. 600-ter c.p. punisce chi utilizza minori per realizzare, diffondere o commercializzare materiale pornografico, configurando una delle fattispecie più gravi tra i reati contro la libertà sessuale. La norma tutela la dignità e l'integrità psico-fisica del minore, prevenendo la sua strumentalizzazione a fini sessuali e l'esposizione a circuiti di sfruttamento. La condotta incriminata può consistere nella produzione diretta, nella diffusione consapevole o nella detenzione finalizzata alla circolazione del materiale.

Elemento centrale della fattispecie è la "utilizzazione" del minore, che deve essere attiva e consapevole. La semplice produzione autonoma di materiale sessuale da parte del minore, in un contesto paritario e privo di coercizione, non integra il reato. È necessario che l'agente abbia promosso, diretto o incentivato la realizzazione del contenuto, sfruttando il minore come mezzo per la creazione di materiale pornografico. L'elemento soggettivo qualificato richiede la volontà di impiegare il minore per finalità pornografiche: la responsabilità penale sorge solo quando l'agente partecipa attivamente al processo di produzione o ne favorisce la diffusione, consapevole della natura illecita del contenuto e della vulnerabilità del soggetto coinvolto.

Dal punto di vista funzionale, la norma si configura come reato di danno, poiché mira a prevenire l'effettiva compromissione dell'armonica maturazione psico-affettiva del minore. Non è sufficiente la mera presenza del soggetto in materiale sessuale; ciò che rileva è la condotta idonea a sfruttarlo, degradarne la dignità o compromettere la sua percezione della sessualità.

Nel caso concreto esaminato, i video erano stati realizzati autonomamente dai minori e non vi era alcuna prova che l'adulta avesse promosso, diretto o incentivato la produzione, né che vi fosse intenzione di diffondere il materiale. In assenza di tali elementi oggettivi e soggettivi, la Corte ha escluso la configurabilità del reato. La condotta, pur discutibile sul piano etico, non presentava le caratteristiche necessarie per integrare la fattispecie penale, giustificando l'assoluzione.

Dal punto di vista sistematico, l'art. 600-ter si colloca tra le norme di tutela rafforzata, ma la sua applicazione richiede rigore e precisione. La nozione di pornografia minorile non può essere estesa analogicamente a condotte prive di sfruttamento o strumentalizzazione del minore; è necessario distinguere tra comportamenti penalmente rilevanti e situazioni che, pur moralmente censurabili, non ledono concretamente il bene giuridico protetto.

L'interpretazione della norma deve avvenire secondo i criteri ermeneutici classici: la lettura letterale impone la presenza di una condotta attiva di utilizzo; quella sistematica colloca la fattispecie tra i reati di sfruttamento sessuale; quella teleologica evidenzia la finalità di protezione del minore da circuiti pornografici; quella storico-comparatistica mostra come l'Italia, in attuazione della Convenzione di Lanzarote e della direttiva 2011/93/UE, abbia adottato un modello severo ma garantista, evitando di punire condotte prive di effettiva lesività.

5. Legalità, tassatività e principio di offensività

Il diritto penale moderno si fonda su tre principi fondamentali: legalità, tassatività e offensività. Essi costituiscono il nucleo garantista dell'ordinamento, assicurando che la punibilità sia riservata esclusivamente a condotte espressamente previste dalla legge, descritte con precisione e lesive di beni giuridici effettivamente tutelati.

Il principio di legalità, sancito dall'art. 25, comma 2, della Costituzione, stabilisce che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che definisca chiaramente il fatto come reato. Tale principio vieta ogni analogia in malam partem e ogni estensione interpretativa che travalichi il dato normativo. Esso funge da presidio fondamentale delle libertà individuali, delimitando il potere punitivo dello Stato e garantendo la prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni.

Il principio di tassatività impone che le norme penali siano formulate in modo chiaro e preciso, evitando ambiguità e interpretazioni arbitrarie. In questo senso, il diritto penale si protegge dalle pressioni dell'opinione pubblica e dall'indignazione collettiva, che potrebbero altrimenti trasformarsi in repressione giuridica immotivata. La norma penale non può essere piegata a esigenze moralistiche o a suggestioni mediatiche, ma deve conservare una struttura rigorosa, verificabile e coerente con il principio di legalità.

Il principio di offensività, infine, richiede che la condotta incriminata produca una lesione concreta e non meramente potenziale del bene giuridico tutelato. L'intervento penale non può limitarsi a punire ciò che è socialmente riprovevole o astrattamente pericoloso: è necessaria una compromissione reale della libertà sessuale, della dignità o dell'integrità del minore. Tale principio funge da criterio di selezione delle condotte penalmente rilevanti, evitando che il diritto penale diventi uno strumento di controllo sociale generalizzato.

Nel caso esaminato dalla Corte d'Appello, l'assoluzione si fonda proprio sull'applicazione coerente di questi tre principi. La condotta dell'adulta, pur oggetto di forte censura mediatica e sociale, non rientrava nelle fattispecie previste dalla legge (legalità), non presentava gli elementi strutturali richiesti dalle norme incriminatrici (tassatività) e non comportava una lesione concreta della libertà sessuale dei minori (offensività). La decisione della Corte non rappresenta una lacuna normativa, ma un'applicazione rigorosa dei principi costituzionali che governano il diritto penale.

Questa impostazione garantista è essenziale per preservare la funzione autentica del sistema penale: tutelare i beni giuridici fondamentali senza invadere la sfera della libertà individuale. Solo rispettando i confini della punibilità il diritto penale mantiene la propria legittimità democratica, evitando di trasformarsi in uno strumento di moralizzazione sociale e confermando la sua funzione primaria di protezione e non di repressione indiscriminata.

6. Diritto penale e percezione mediatica

Il caso in esame mette in luce il divario strutturale tra il linguaggio giuridico e la narrazione mediatica. Il processo mediatico segue logiche completamente differenti: privilegia la rapidità, la semplificazione e la polarizzazione, sacrificando la complessità normativa e la presunzione di innocenza. In questo contesto, l'assoluzione non viene letta come applicazione della legge, ma come negazione di una verità emotiva costruita attraverso titoli sensazionalistici e ricostruzioni parziali.

La spettacolarizzazione del processo, alimentata da talk show, social media e titoli scandalistici, trasforma il dibattimento in un palcoscenico emotivo, dove il giudizio si fonda su impressioni e indignazione anziché su prove e norme. Questo fenomeno rischia di delegittimare il ruolo del giudice e di compromettere la fiducia dei cittadini nel sistema giuridico.

La narrazione mediatica ignora spesso la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione, anticipando il giudizio prima della conclusione del processo e influenzando l'opinione pubblica con ricostruzioni suggestive. Tale atteggiamento mina la neutralità del dibattimento e rischia di compromettere l'equilibrio tra accusa e difesa, trasformando il diritto penale in uno strumento di giudizio emotivo piuttosto che di tutela effettiva.

In questo contesto, il giurista assume un ruolo culturale fondamentale: proporre una contro-narrazione fondata sulla legalità, sulla prova e sulla struttura delle fattispecie. Solo attraverso un lavoro rigoroso e divulgativo è possibile contrastare la deriva emotiva, restituendo al diritto penale la sua funzione primaria di tutela dei beni giuridici, e non di spettacolo mediatico.

Questo scollamento tra diritto e narrazione pubblica alimenta il fenomeno della "giustizia spettacolo", dove il processo penale viene piegato a logiche di audience e consenso. Il rischio è quello di un populismo penale, in cui la richiesta di punizione non nasce dalla lesione di un bene giuridico, ma dalla pressione emotiva e dalla costruzione mediatica del colpevole. In tale scenario, il diritto penale perde la sua funzione di garanzia e si trasforma in strumento di legittimazione dell'indignazione.

La responsabilità dei media è quindi centrale: la divulgazione deve rispettare i principi costituzionali, evitando anticipazioni di colpevolezza e semplificazioni fuorvianti. L'assoluzione, in questo quadro, non indica una lacuna normativa, ma l'applicazione coerente dei principi costituzionali che regolano la punibilità, riaffermando che il diritto penale non giudica l'immoralità astratta, ma interviene solo di fronte a lesioni concrete della libertà, della dignità e dell'integrità dei soggetti vulnerabili.

7. Conclusioni: tutela, garantismo e autonomia del diritto penale

L'analisi del caso e della normativa applicabile evidenzia come il diritto penale italiano persegua una funzione eminentemente garantista, orientata a tutelare i beni giuridici fondamentali piuttosto che a moralizzare i comportamenti individuali. Le norme sugli atti sessuali con minorenne, sulla corruzione di minorenne e sulla pornografia minorile mostrano un bilanciamento attentamente calibrato tra protezione del minore e riconoscimento della sua progressiva capacità di autodeterminazione. La tipicità rigorosa delle fattispecie, il requisito del dolo specifico e la necessità di un'effettiva lesione dei beni tutelati delineano confini precisi della punibilità, evitando interventi penali arbitrari o motivati da indignazione sociale.

L'assoluzione, lungi dall'indicare una lacuna normativa, rappresenta l'applicazione coerente dei principi costituzionali di legalità, tassatività e offensività. Essa dimostra che il diritto penale non può e non deve piegarsi alle pressioni mediatiche o all'emotività collettiva. La distinzione tra immoralità e rilevanza penale, tra condotta censurabile e condotta penalmente rilevante, costituisce la pietra angolare di uno Stato di diritto, assicurando che la repressione penale intervenga solo di fronte a violazioni concrete e accertate dei diritti dei soggetti vulnerabili.

Il dibattito pubblico e mediatico, spesso polarizzato e semplificato, non deve compromettere la funzione autonoma della giurisdizione penale. L'emergere del fenomeno della "giustizia spettacolo" e del populismo penale evidenzia i rischi derivanti dalla confusione tra responsabilità morale e responsabilità giuridica: il diritto penale perde così la sua funzione primaria di tutela, diventando strumento di legittimazione dell'indignazione. Il ruolo del giurista, del giudice e del sistema educativo diventa quindi centrale, non solo nell'applicazione della legge, ma anche nella costruzione di una cultura giuridica che sappia distinguere tra percezione pubblica e realtà normativa, tra moralità e tipicità.

In definitiva, il caso dimostra che la difesa dei minori non passa attraverso la penalizzazione automatica di ogni condotta eticamente discutibile, ma attraverso un'applicazione rigorosa e consapevole della legge, che salvaguarda la libertà, la dignità e l'integrità dei soggetti vulnerabili. Solo rispettando questi confini il diritto penale mantiene la propria legittimità democratica e la sua funzione autentica di strumento di protezione, evitando di trasformarsi in uno strumento di moralizzazione sociale o di spettacolo giudiziario.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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