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Notizie Giuridiche

» L'affettività dietro le sbarre
29/10/2025 - Erik Stefano Carlo Bodda

Il Dramma Umano di Vercelli

Il recente episodio verificatosi presso la casa circondariale di Vercelli, dove una detenuta è rimasta incinta durante un incontro con il compagno anch'egli recluso, ha riacceso con drammatica evidenza il dibattito su una delle questioni più delicate e complesse del diritto penitenziario contemporaneo: il riconoscimento del diritto all'affettività durante la reclusione. 

Come giurista del Foro di Torino, ritengo necessario affrontare questa tematica con la profondità che merita, andando oltre le polemiche di superficie per cogliere i profondi risvolti costituzionali e umani di una questione che tocca il cuore stesso della concezione moderna della pena.

La vicenda di Vercelli non rappresenta un mero fatto di cronaca, bensì l'emblema di un sistema penitenziario che nel 2025 si trova ancora drammaticamente impreparato ad implementare i principi costituzionali più elementari. 

La coppia protagonista di questa storia, che aveva già una figlia nata nel 2018 e aveva ottenuto il permesso di incontrarsi nella sala colloqui, si è trovata costretta a vivere la propria intimità in condizioni di precarietà e inadeguatezza strutturale, testimoniando l'urgente necessità di una riforma che non può più essere procrastinata.

La Pietra Miliare della Corte Costituzionale: sentenza n. 10 del 2024

La sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024 della Corte Costituzionale rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana nella giurisprudenza penitenziaria italiana. Con questa pronuncia storica, i giudici delle leggi hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge sull'ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa svolgere colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona stabilmente convivente senza il controllo a vista del personale di custodia.

La Corte ha affermato con cristallina chiarezza che "la sessualità è uno degli essenziali modi di espressione della persona umana", precisando tuttavia che "non può ridursi il tema dell'affettività del detenuto a quello della sessualità, in quanto esso più ampiamente coinvolge aspetti della personalità e modalità di relazione che attengono ai connotati indefettibili dell'essere umano". 

Questa visione olistica dell'affettività rappresenta un cambio di paradigma fondamentale: non si tratta più di una concessione benevola dell'amministrazione penitenziaria, ma del riconoscimento di un diritto costituzionalmente tutelato che affonda le sue radici nella dignità umana.

La pronuncia ha inoltre stabilito che "l'impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus alla persona nell'ambito familiare e, più ampiamente, in un pregiudizio per la stessa nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità". Questo principio trova la sua ratio nell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che impone alla pena una finalità rieducativa incompatibile con sofferenze eccedenti la misura necessaria.

Il Recepimento della Cassazione: Un Diritto, Non Una Concessione

La Suprema Corte di Cassazione ha prontamente recepito gli insegnamenti della Consulta, consolidando un orientamento giurisprudenziale che riconosce la natura giuridica del diritto all'affettività. Nella sentenza n. 8 del 2 gennaio 2025, la Suprema Corte ha chiarito che "la richiesta del detenuto di svolgere colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona stabilmente convivente senza il controllo a vista del personale di custodia non costituisce una mera aspettativa, bensì un vero e proprio diritto, quale legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari costituzionalmente tutelato".

Questo orientamento è stato ulteriormente confermato dalla sentenza n. 32376 del 1 ottobre 2025, che ha precisato come "la concessione dei colloqui intimi si distingue dal permesso premio, in quanto quest'ultimo presuppone l'assenza di pericolosità sociale del detenuto, mentre i colloqui intimi hanno natura giuridica diversa e non richiedono tale presupposto"

Tale distinzione è di fondamentale importanza poiché sottrae il diritto all'affettività dalla logica premiale per collocarlo nell'alveo dei diritti fondamentali della persona.

Il Panorama Europeo: Modelli di Civiltà Giuridica

L'esperienza europea ci insegna che il riconoscimento del diritto all'affettività non è un'utopia progressista, ma una realtà consolidata in molti ordinamenti avanzati. Ben 31 Stati su 47 componenti del Consiglio d'Europa hanno implementato sistemi di "visite coniugali" o "stanze dell'intimità" che consentono ai detenuti di mantenere relazioni affettive normali con i propri partner.

In Francia, le "Unités de Vie Familiale" rappresentano un modello di eccellenza: si tratta di appartamenti dove i detenuti possono ricevere partner, familiari e amici per periodi prolungati senza controllo visivo. In Germania e Svezia esistono miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a vivere per alcuni giorni con la famiglia, mentre in Canada le visite fino a 72 ore avvengono dal 1980 in apposite roulotte esterne al carcere.

Particolarmente significativa è l'esperienza spagnola: nella cattolicissima Spagna, in Catalogna dal 1991, esistono le "visitas intimas" in apposite stanze non sorvegliate, dimostrando come anche in contesti culturalmente conservatori sia possibile coniugare tradizione e modernità giuridica. 

In Norvegia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi ci sono piccoli appartamenti in cui poter restare senza sorveglianza, mentre in Finlandia e Norvegia esiste un sistema di congedi coniugali.

Il Carcere di Torino Lorusso e Cotugno: Pioniere della Nuova Civiltà Penitenziaria?

Il carcere di Torino Lorusso e Cotugno si appresta a diventare pioniere in Italia con l'apertura della prima "stanza dell'amore", un ambiente domestico attrezzato per consentire incontri intimi in condizioni di dignità e riservatezza. Questa iniziativa rappresenta un passo fondamentale verso l'allineamento del sistema penitenziario italiano agli standard europei e ai principi costituzionali, incarnando quella che potremmo definire una "rivoluzione gentile" del sistema carcerario.

Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha emesso linee guida per l'introduzione in carcere del diritto all'intimità, garantendo i colloqui intimi in 32 istituti di pena sparsi su tutto il territorio nazionale. 

La priorità è riservata a chi non beneficia di ulteriori sconti di pena oppure a chi è in carcere da più tempo e quindi ha visto negato per anni il diritto all'intimità.

La Fragilità del Sistema Carcerario Italiano: Un'Analisi Impietosa

Il caso di Vercelli mette in luce la drammatica inadeguatezza del sistema penitenziario italiano nel 2025. Come evidenziato dalle cronache, a Vercelli non esiste uno spazio per l'intimità come quelli che stanno aprendo in questi mesi in alcune carceri italiane, rendendo di fatto impossibile l'esercizio legittimo del diritto all'affettività riconosciuto dalla Corte Costituzionale.

La vicenda della detenuta rimasta incinta durante un incontro con il compagno, anch'egli detenuto per tentato omicidio, rappresenta un drammatico esempio delle contraddizioni del nostro sistema penitenziario. La coppia, che aveva già una figlia nata nel 2018, aveva ottenuto il permesso di incontrarsi nella sala colloqui insieme alla bambina, e successivamente anche da soli, ma in assenza di strutture adeguate si è trovata costretta a vivere la propria intimità in condizioni di precarietà.

Questo episodio, lungi dall'essere una curiosità di cronaca, illumina le profonde lacune del sistema carcerario italiano nell'implementazione dei principi costituzionali. 

La Corte Costituzionale ha fornito indicazioni precise per l'implementazione del diritto all'affettività: locali appositamente attrezzati, durata adeguata degli incontri, frequenza non sporadica, controllo esterno senza osservazione diretta. L'assenza di tali strutture costringe i detenuti a soluzioni di fortuna che, pur comprensibili dal punto di vista umano, creano problemi di ordine e sicurezza.

Letteratura e Filosofia: L'Eco Universale della Sofferenza Carceraria

La letteratura universale ha sempre saputo cogliere la dimensione umana della detenzione meglio di molti trattati giuridici. Fëdor Dostoevskij, nelle "Memorie dalla casa dei morti", descriveva con lucida crudeltà la degradazione dell'animo umano in carcere: "L'uomo è un essere che si abitua a tutto, e credo che questa sia la migliore definizione che si possa dare di lui". Questa osservazione coglie nel segno la capacità di adattamento dell'essere umano, ma anche il rischio di una progressiva desensibilizzazione che può compromettere il percorso rieducativo.

Antonio Gramsci, nelle sue lettere dal carcere, scriveva alla moglie Giulia: "Il carcere ha questo di particolarmente infernale, che ti costringe a pensare alla tua vita passata". Questa riflessione illumina una verità profonda: la privazione dell'affettività non è solo una sofferenza presente, ma una negazione del futuro e una mortificazione del passato. Gramsci comprendeva che l'isolamento affettivo rappresenta una forma di tortura psicologica che va ben oltre la mera privazione della libertà fisica.

Oscar Wilde, nella "Ballata del carcere di Reading", esprimeva con versi immortali la desolazione dell'animo umano privato dell'amore: "Yet each man kills the thing he loves, / By each let this be heard, / Some do it with a bitter look, / Some with a flattering word, / The coward does it with a kiss, / The brave man with a sword!" La metafora wildiana ci ricorda che l'amore e la morte sono intimamente connessi, e che privare un essere umano dell'affettività equivale a uccidere una parte essenziale della sua umanità.

Jean Genet, nei suoi romanzi carcerari, ha descritto con cruda sincerità la sessualità repressa e distorta dell'ambiente penitenziario, mostrando come la negazione dell'affettività normale possa generare forme patologiche di relazione che compromettono il processo rieducativo. 

La sua opera ci insegna che la sessualità non può essere semplicemente rimossa dalla vita umana senza conseguenze devastanti per l'equilibrio psichico dell'individuo.

Il Pensiero Filosofico e la Dignità Umana

La riflessione filosofica sulla dignità umana trova in Immanuel Kant uno dei suoi massimi interpreti. 

L'imperativo categorico kantiano - "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo" - assume particolare rilevanza nel contesto penitenziario. La negazione del diritto all'affettività trasforma il detenuto in un mero oggetto di punizione, violando il principio fondamentale della dignità umana.

Emmanuel Lévinas, nella sua riflessione sull'alterità, ci ricorda che l'incontro con l'Altro è costitutivo dell'identità umana. La privazione forzata di questo incontro, particolarmente nella sua dimensione più intima, rappresenta una forma di violenza ontologica che compromette l'essenza stessa dell'essere umano. 

La filosofia levinasiana ci insegna che l'affettività non è un lusso o un privilegio, ma una necessità esistenziale che definisce la nostra umanità.

Michel Foucault, in "Sorvegliare e punire", ha analizzato l'evoluzione del sistema penitenziario moderno, mostrando come il controllo dei corpi e della sessualità rappresenti uno strumento di potere particolarmente efficace. La sua analisi ci aiuta a comprendere che la negazione dell'affettività in carcere non è casuale, ma risponde a una logica di controllo totale che va oltre la mera esigenza di sicurezza.

Il Diritto Comparato: Lezioni di Civiltà Giuridica

L'analisi comparatistica rivela che l'Italia si trova in una posizione di arretratezza rispetto ai principali paesi europei. In Francia esistono strutture che consentono incontri privati tra detenuti e i loro partner, regolamentati per garantire sicurezza e rispetto della dignità umana. In Spagna, i detenuti possono usufruire di visite coniugali prolungate, proprio per mantenere i legami affettivi. In Germania, si riconosce che l'affettività è un elemento fondamentale per la rieducazione del detenuto.

Il modello scandinavo merita particolare attenzione per la sua concezione avanzata della funzione rieducativa della pena. In Norvegia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi ci sono piccoli appartamenti in cui poter restare senza sorveglianza per un'ora, dimostrando che è possibile coniugare esigenze di sicurezza e rispetto della dignità umana.

Particolarmente interessante è l'esperienza canadese, dove le visite fino a 72 ore avvengono dal 1980 in apposite roulotte esterne al carcere. Questo modello dimostra che con creatività e volontà politica è possibile trovare soluzioni innovative che rispettino sia le esigenze di sicurezza sia i diritti fondamentali dei detenuti.

Le Famiglie dei Detenuti: Vittime Invisibili del Sistema

Il riconoscimento del diritto all'affettività non riguarda solo i detenuti, ma anche le loro famiglie, spesso vittime invisibili di un sistema che non tiene conto delle loro esigenze. Al 31 dicembre scorso erano presenti in carcere circa 57.000 detenuti. 

Si tratta di una popolazione detenuta, molto giovane (il 54% ha meno di 40 anni) e spesso senza una famiglia (il 39% è celibe/nubile).

Per le coppie separate dalle sbarre, per i figli che crescono senza un genitore presente, per i partner che vedono dissolversi relazioni costruite nel tempo, il riconoscimento di questo diritto rappresenta una speranza concreta di mantenere vivi i legami che costituiscono il fondamento della risocializzazione. 

L'art. 28 della legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce che "particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie", ma questo principio è rimasto largamente inattuato in assenza di strutture adeguate.

La Dimensione Costituzionale: Tra Dignità e Rieducazione

Il fondamento costituzionale del diritto all'affettività trova la sua radice nell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". 

La Corte Costituzionale ha chiarito che "l'intimità degli affetti non può essere sacrificata dall'esecuzione penale oltre la misura del necessario, venendo altrimenti percepita la sanzione come esageratamente afflittiva, sì da non poter tendere all'obiettivo della risocializzazione".

L'art. 1 della legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce che "il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona", principio che trova piena attuazione solo attraverso il riconoscimento del diritto all'affettività. La dignità umana non può essere frammentata: o si riconosce integralmente, includendo la dimensione affettiva e sessuale, o si nega nella sua essenza.

Le Obiezioni e le Risposte: Un Dibattito Necessario

Le obiezioni al riconoscimento del diritto all'affettività in carcere sono molteplici e meritano una risposta articolata. La principale riguarda la sicurezza: si teme che l'eliminazione del controllo visivo possa favorire l'introduzione di sostanze illecite o la pianificazione di attività criminali. Tuttavia, queste possibili problematiche di sicurezza sono state superate in 31 stati su 47 del Consiglio d'Europa, dimostrando che con adeguate misure organizzative è possibile garantire sia la sicurezza sia il rispetto dei diritti fondamentali.

Un'altra obiezione riguarda l'equità: si sostiene che non tutti i detenuti hanno partner stabili e che quindi il riconoscimento di questo diritto creerebbe disparità di trattamento. 

Tuttavia, questa argomentazione è fallace: il fatto che non tutti possano esercitare un diritto non giustifica la sua negazione a chi ne ha i presupposti. È come sostenere che il diritto di voto dovrebbe essere negato perché non tutti i cittadini sono interessati alla politica.

Una terza obiezione concerne i costi: si paventa che l'allestimento di strutture adeguate comporti spese eccessive per l'amministrazione penitenziaria. 

Tuttavia, i benefici in termini di riduzione della tensione carceraria, miglioramento del clima interno e facilitazione del processo rieducativo compensano ampiamente gli investimenti iniziali. Inoltre, l'esperienza europea dimostra che è possibile realizzare strutture funzionali senza costi proibitivi.

Il Ruolo della Magistratura di Sorveglianza: Custodi dei Diritti Fondamentali

La magistratura di sorveglianza assume un ruolo cruciale nell'implementazione del diritto all'affettività. I magistrati di sorveglianza, custodi dei diritti fondamentali durante l'esecuzione penale, devono farsi interpreti della nuova sensibilità costituzionale, applicando con rigore ma anche con umanità i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale.

Il diritto di conferire con il proprio difensore non può essere compresso o condizionato dallo stato di detenzione, se non nei limiti eventualmente disposti dalla legge a tutela di altri interessi costituzionalmente garantiti, e lo stesso principio deve valere per il diritto all'affettività. 

I magistrati di sorveglianza devono vigilare affinché questo diritto non venga trasformato in "una situazione rimessa all'apprezzamento dell'autorità amministrativa, e quindi soggetta ad una vera e propria autorizzazione discrezionale".

La Prospettiva Europea: Convenzioni e Raccomandazioni

Il quadro normativo europeo fornisce solide basi per il riconoscimento del diritto all'affettività. 

Nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sono previste le visite coniugali a chi è in carcere. 

La Corte di Strasburgo, pur dichiarando che gli Stati non sono obbligati a riconoscere le visite intime, applica il principio di proporzionalità, ribadendo però che i detenuti e le detenute continuano a godere di tutti i diritti e le libertà fondamentali garantiti dalla Convenzione.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha posto in evidenza che la detenzione, anche se correlata a reati di particolare gravità, non sopprime il diritto del detenuto al mantenimento di relazioni esterne e della vita affettiva, non potendo consistere, ai sensi dell'art. 3 della CEDU, in trattamenti inumani e degradanti. 

L'isolamento sociale correlato allo stato detentivo può essere, quindi, soltanto relativo, e non di tipo assoluto.

Le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa forniscono indicazioni precise: la Raccomandazione R. (2006) sulle regole penitenziarie europee prevede, con la regola n. 24.4, che "le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali"

Il concetto di normalità evoca chiaramente la necessità di superare le attuali limitazioni imposte dal controllo visivo costante.

Verso una Civiltà Penitenziaria: Conclusioni e Prospettive

Il diritto all'affettività nelle carceri non è una questione di lussuria o di permissivismo, ma una questione di civiltà giuridica che tocca l'essenza stessa della concezione moderna della pena. Come ha chiarito la Corte Costituzionale, l'intimità degli affetti non può essere sacrificata dall'esecuzione penale oltre la misura del necessario, venendo altrimenti percepita la sanzione come esageratamente afflittiva e quindi incompatibile con l'obiettivo della risocializzazione.

Per le famiglie dei detenuti, per le coppie separate dalle sbarre, per i figli che crescono senza un genitore presente, il riconoscimento di questo diritto rappresenta una speranza concreta di mantenere vivi i legami che costituiscono il fondamento della risocializzazione. 

Non si tratta di rendere la pena meno severa, ma di renderla più umana e, paradossalmente, più efficace nel suo scopo rieducativo.

Il caso di Vercelli, con tutto il suo carico di drammaticità umana, deve essere letto come un monito: il sistema penitenziario italiano deve evolversi rapidamente per adeguarsi ai principi costituzionali e agli standard europei. Le "stanze dell'amore" non sono un vezzo progressista, ma una necessità costituzionale che deriva direttamente dal principio di dignità umana e dalla finalità rieducativa della pena.

Il riconoscimento del diritto alla sessualità dei detenuti non solo favorirebbe la loro crescita personale, ma andrebbe a beneficio dell'intera istituzione carceraria perché migliorerebbe i rapporti con gli agenti di polizia penitenziaria e aiuterebbe il clima generale della vita in carcere. 

Questa osservazione del Garante nazionale coglie nel segno: l'umanizzazione del carcere non è solo un imperativo etico, ma anche una necessità pratica per il buon funzionamento del sistema penitenziario.

La strada è tracciata dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione. Ora spetta al legislatore e all'amministrazione penitenziaria percorrerla con la determinazione che la civiltà giuridica richiede. 

Il carcere di Torino Lorusso e Cotugno, con la sua pionieristica "stanza dell'amore", rappresenta il primo passo di un cammino che deve portare l'Italia all'altezza dei migliori standard europei.

Solo così potremo costruire un sistema penitenziario degno di una democrazia matura, che punisce per rieducare e non per annientare la dignità umana. Solo così potremo dire di aver compreso che dietro ogni sbarra c'è un essere umano che, pur avendo commesso errori, conserva il diritto inalienabile alla propria umanità, inclusa la dimensione più intima e profonda dell'affettività.

La rivoluzione è iniziata. 

Tocca a noi, giuristi e operatori del diritto, accompagnarla con la competenza e la sensibilità che il momento storico richiede, ricordando sempre che il diritto non è solo tecnica, ma anche e soprattutto strumento di giustizia e di umanità. 



Erik Stefano Carlo Bodda è avvocato del di Torino, già iscritto anche a Madrid e Parigi. 

Ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della LUISS e ha operato in Europa, Africa, America latina e Medioriente. È fondatore dello studio legale BODDA & PARTNERS con sedi in Italia e all'estero.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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