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» Lettere Dazn e il pezzotto: come difendersi senza farsi intimidire
27/10/2025 - Aldo Andrea Presutto

Quando la legalità bussa alla porta

Negli ultimi mesi, migliaia di persone in tutta Italia hanno ricevuto una lettera da DAZN. Dentro, poche righe ma un messaggio che pesa: "Versi 500 euro entro sette giorni per chiudere bonariamente una presunta violazione del diritto d'autore."
Il motivo" L'uso del pezzotto, cioè la visione di partite o eventi sportivi attraverso abbonamenti IPTV illegali.

Molti si sono spaventati, altri si sono sentiti ingiustamente accusati. È una multa" È obbligatorio pagare" Si rischia il penale"
Domande legittime, che meritano risposte chiare, perché in questa storia si intrecciano diritto, privacy, tecnologia e un tema più grande: il modo in cui la legalità si fa strada nel mondo digitale.

La legge "anti pezzotto": un'arma contro la pirateria

Nel luglio 2023 è entrata in vigore la legge n. 93, meglio conosciuta come "legge anti pezzotto". L'obiettivo è combattere la pirateria audiovisiva, che da anni erode introiti e diritti delle piattaforme di streaming e dei produttori.
La norma affida all'AGCOM nuovi poteri: può ordinare il blocco immediato di siti e indirizzi IP che trasmettono illegalmente e farlo entro mezz'ora. È previsto anche un sistema automatizzato di blocco e una collaborazione più stretta con le autorità giudiziarie.

La legge nasce da un principio condivisibile: tutelare la proprietà intellettuale. Ma, come spesso accade, tra le buone intenzioni e le conseguenze pratiche c'è un divario. Perché se è giusto perseguire chi lucra sulla pirateria, diverso è il discorso per l'utente finale, quello che magari ha cliccato su un link sbagliato o ha usato un servizio di cui non conosceva la natura illecita.

La lettera di DAZN: non una multa, ma una proposta

Le lettere inviate da DAZN non sono multe, né atti del tribunale. Sono proposte private di "chiusura bonaria", cioè transazioni. In sostanza, l'azienda propone di chiudere la questione pagando 500 euro, senza andare in giudizio.
È importante capirlo: nessuna autorità pubblica impone questo pagamento. Non è una sanzione amministrativa né una condanna. È un'iniziativa privata, che ciascun cittadino è libero di accettare o rifiutare.

Il pagamento, però, ha un effetto preciso: significa riconoscere implicitamente la propria responsabilità. E per questo è bene pensarci due volte, chiedendo prima consiglio a un avvocato.

Prove, indirizzi IP e responsabilità

Se DAZN decidesse di agire in tribunale, dovrebbe dimostrare che l'utente ha effettivamente utilizzato un servizio illegale. E qui entra in gioco una questione fondamentale: le prove.
In diritto, chi accusa deve provare. Nel caso del pezzotto, questo significa dimostrare che un determinato indirizzo IP è stato usato per guardare contenuti illegali, in un certo giorno, a una certa ora, da un certo dispositivo.

Ma un indirizzo IP non è una persona. Identifica una linea, non chi la usa. Può appartenere a una famiglia, a un condominio, a un locale pubblico. Può essere condiviso o manipolato.
La giurisprudenza ha chiarito che l'indirizzo IP, da solo, non è sufficiente a fondare una responsabilità certa. In ambito penale, la Cassazione ha ribadito che occorrono elementi ulteriori e convergenti per attribuire la condotta all'utente finale, specie in assenza di lucro o diffusione. Servono elementi ulteriori e concreti.

In sede civile, il principio del contraddittorio impone che l'utente possa contestare ogni elemento probatorio, anche tramite una consulenza tecnica di parte. La verifica della riconducibilità soggettiva di un IP non può essere presunta, ma deve essere dimostrata con rigore, attraverso un accertamento tecnico indipendente.

In altre parole, non basta dire "quel collegamento è tuo": serve dimostrare che tu lo hai usato consapevolmente per commettere un illecito.

Privacy e uso dei dati: un confine delicato

Un altro aspetto cruciale riguarda la privacy. Le lettere di DAZN si basano su dati raccolti durante indagini della Guardia di Finanza, coordinate dalla Procura di Lecce. Ma l'uso di quei dati da parte di un soggetto privato non è scontato.

Il GDPR, il regolamento europeo sulla protezione dei dati, è chiaro: ogni trattamento deve basarsi su una base giuridica precisa (articolo 6) e rispettare i principi di finalità e minimizzazione (articolo 5).
Ciò significa che i dati raccolti per un'indagine penale non possono automaticamente essere usati da un'azienda per chiedere un risarcimento, se non esiste una base legale autonoma e trasparente.

In assenza di questa base, il trattamento rischia di essere illegittimo. Ed è per questo che chi riceve la lettera ha il diritto di chiedere a DAZN chiarimenti scritti: da dove vengono i dati" Su quale base giuridica sono stati usati" Con quale finalità"
Se le risposte non arrivano, ci si può rivolgere al Garante per la protezione dei dati personali. Il Garante, in questi casi, non è solo un arbitro tecnico, ma un presidio costituzionale di legalità digitale, chiamato a vigilare sull'equilibrio tra repressione e tutela.

Difendersi, non subire

La prima regola, per chi riceve la lettera, è non farsi prendere dal panico. Non bisogna pagare subito, né ignorare la comunicazione. Serve invece agire con calma e metodo: rivolgersi a un avvocato esperto in diritto d'autore o in privacy, chiedere copia delle prove, contestare eventuali errori, e — se necessario — far valere i propri diritti davanti al Garante o al giudice civile.

Molte di queste lettere, infatti, si fondano su indizi generici e su tracciamenti di rete che non sempre reggono a una verifica approfondita. La difesa più efficace è la trasparenza: chiedere, capire, rispondere in modo consapevole.

Il rischio dei precedenti

C'è però un tema più ampio, che riguarda non solo DAZN ma il metodo. Se un'azienda privata può inviare migliaia di lettere chiedendo somme di denaro sulla base di dati non verificati, si apre un precedente pericoloso.
Il rischio è quello di una giustizia "parallela", dove le piattaforme tecnologiche sostituiscono ai tribunali la propria idea di sanzione.

La cifra di 500 euro non appare come un risarcimento commisurato al danno, ma come una misura deterrente, pensata per scoraggiare la pirateria attraverso la paura. In alcuni casi, gli utenti hanno già ricevuto sanzioni amministrative dalle autorità competenti: una richiesta economica ulteriore, da parte di un soggetto privato, rischia di configurare una duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio del ne bis in idem.

La legalità non può basarsi su automatismi intimidatori, ma su proporzionalità, trasparenza e prove verificabili. Altrimenti si rischia di spostare la giustizia dalla sede naturale del giudizio alla logica del ricatto economico.

I diritti non si negoziano

La nostra Costituzione parla chiaro. L'articolo 24 garantisce a tutti il diritto alla difesa, l'articolo 27 afferma la presunzione di innocenza, e l'articolo 3 richiama la proporzionalità come fondamento di ogni azione dello Stato — e, per estensione, anche dei soggetti privati che incidono sui diritti dei cittadini.

La Cassazione penale, nella sentenza n. 34819 del 2017, ha escluso ha escluso la configurabilità del reato di ricettazione per l'utente finale che fruisce di contenuti protetti tramite IPTV illegali, in assenza di lucro o di condotte attive di diffusione. Ha chiarito che la semplice fruizione, se non accompagnata da finalità commerciali o da una partecipazione alla distribuzione, non integra automaticamente una fattispecie penalmente rilevante.

Perché la giustizia, quando è giusta, distingue.

Una legalità con il volto umano

Combattere la pirateria è un dovere, ma non può diventare un pretesto per comprimere diritti. La legalità digitale non è una battaglia di numeri, ma di garanzie. Un cittadino che riceve una lettera come quella di DAZN non è un colpevole in attesa di condanna: è un soggetto di diritto, che ha diritto a capire, a contestare, a difendersi.

La responsabilità della legalità digitale non ricade solo sul cittadino, ma anche sulle piattaforme, chiamate a tutelare i propri diritti senza comprimere quelli altrui. Educare alla legalità significa rispettare il tempo, lo spazio e la dignità del contraddittorio. Solo così la legge resta uno strumento di giustizia e non una leva di pressione.

La rete è il nuovo spazio della vita civile e, come ogni spazio di libertà, ha bisogno di regole, equilibrio e umanità. La fretta tecnologica non può sostituire la lentezza garantista necessaria a evitare arbitrio o intimidazioni. In questo contesto, la giurisprudenza — in particolare la Cassazione — e il quadro normativo sul diritto d'autore chiariscono che l'azione privata volta a richiedere indennizzi agli utenti deve rispettare principi di proporzionalità, trasparenza e contraddittorio. Nessun soggetto privato può sostituirsi automaticamente al giudice o creare pressioni basate su dati non verificati, definendo così un limite chiaro all'azione privata in materia di pirateria digitale e tutelando i diritti fondamentali dei cittadini.

Serve ora un chiarimento sistemico, normativo o giurisprudenziale, che definisca i limiti dell'azione privata in materia di pirateria digitale, per evitare che la repressione si trasformi in automatismo intimidatorio.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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