
La gestione dell'assenza del lavoratore rappresenta un terreno di costante tensione tra esigenze organizzative e tutela della persona.
Se la giurisprudenza ha a lungo disciplinato le ipotesi di assenza giustificata o ingiustificata, meno esplorato è il confine sottile che separa l'impedimento oggettivo dall'inadempimento comunicativo.
La Sentenza n. 1105/2025 del Tribunale di Latina – Sezione Lavoro interviene in questo spazio grigio, affrontando la questione della mancata comunicazione di un'assenza dovuta a detenzione cautelare.
Il giudice riconosce che la causa dell'assenza è legittima, ma ritiene che la mancanza di tempestiva, efficace ed esaustiva comunicazione giustifichi il licenziamento per giusta causa.
La pronuncia assume rilievo sistemico, perché ribadisce un principio cardine del diritto del lavoro contemporaneo: la buona fede non è sospesa dall'impedimento, e la fiducia resta l'asse portante del vincolo contrattuale.
Nel rapporto di lavoro, la comunicazione dell'assenza non è una mera formalità procedurale, ma un obbligo sostanziale.
Essa trova il suo fondamento negli articoli 1175 e 1375 del codice civile, che impongono alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto.
Il lavoratore, anche quando si trova nell'impossibilità di adempiere alla prestazione, è tenuto a informare il datore di lavoro in modo tempestivo, veritiero e completo circa la causa dell'assenza e, per quanto possibile, la sua durata.
La comunicazione può avvenire con qualsiasi mezzo idoneo — telefono, e-mail, PEC, telegramma, intermediario — purché garantisca certezza di provenienza e chiarezza di contenuto.
La ratio di tale obbligo è evidente: consentire al datore di lavoro di riorganizzare l'attività e prevenire disservizi, tutelando così l'efficienza aziendale e il diritto degli altri lavoratori a un ambiente ordinato e funzionale.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la giusta causa di licenziamento (art. 2119 c.c.) non si esaurisce nell'ipotesi di inadempimento doloso o grave negligenza, ma può ricorrere anche in presenza di comportamenti formalmente neutri, se idonei a minare il vincolo fiduciario.
In questa prospettiva, la mancata comunicazione dell'assenza assume un rilievo autonomo: non è la durata o la giustificazione dell'assenza a fondare il recesso, ma la condotta omissiva che impedisce la collaborazione e altera l'equilibrio fiduciario.
Le pronunce della Corte di Cassazione (ex multis n. 10352/2014; n. 23669/2016) hanno consolidato l'idea che anche un'assenza legittima può giustificare il licenziamento, se non accompagnata da una comunicazione adeguata.
Il principio si innesta nella più ampia visione del rapporto di lavoro come relazione fiduciaria bilaterale, nella quale la lealtà informativa è condizione essenziale di sopravvivenza del vincolo.
Il lavoratore, dipendente di una società che gestisce il servizio di raccolta rifiuti, veniva arrestato il 21 ottobre 2023 e sottoposto a misura cautelare detentiva.
Nell'impossibilità di presentarsi al lavoro, affidava verbalmente a terzi l'incarico di comunicare l'accaduto. Tuttavia, le informazioni trasmesse erano parziali e non ufficiali: nessuna comunicazione scritta, nessuna indicazione sulla durata della misura o sulle prospettive di rientro.
Dopo oltre due settimane di assenza non formalmente giustificata, l'azienda avviava il procedimento disciplinare e, in data 5 dicembre 2023, intimava il licenziamento per giusta causa.
Il lavoratore impugnava il provvedimento, sostenendo che la detenzione fosse una causa di forza maggiore che lo esonerava da ogni obbligo comunicativo.
Il Tribunale di Latina, invece, rigettava il ricorso.
Pur riconoscendo l'esistenza di un impedimento oggettivo, affermava che il lavoratore avrebbe potuto — e dovuto — attivarsi, anche tramite legale o familiari, per fornire una comunicazione tempestiva e adeguata.
La mancanza di tale condotta costituiva violazione dei doveri di correttezza e collaborazione, sufficiente a giustificare la sanzione espulsiva.
L'obbligo di comunicare l'assenza appartiene alla categoria dei doveri accessori di protezione e cooperazione.
Si tratta di obblighi non direttamente produttivi di prestazione, ma funzionali alla tutela dell'affidamento e alla salvaguardia dell'organizzazione lavorativa.
La sua violazione non comporta solo inadempimento contrattuale, ma lesione del rapporto fiduciario, che è l'elemento essenziale del lavoro subordinato.
Da ciò deriva che, anche in presenza di un'assenza legittima, la condotta comunicativa può essere valutata in sé come indice di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto.
La decisione del Tribunale si fonda su una logica di bilanciamento tra esigenze organizzative e tutela personale.
Laddove l'assenza sia giustificata, ma la comunicazione manchi o risulti inefficace, il giudice riconosce che viene meno la fiducia funzionale che il datore di lavoro ripone nel dipendente.
Il Tribunale applica il principio della "ragione più liquida" (Cass. S.U. 9936/2014), decidendo la controversia sul punto più evidente: l'inadempimento comunicativo.
Non serve indagare sulla proporzionalità della sanzione o sulla durata della misura cautelare: la semplice omissione di comunicazione, in un contesto organizzativo delicato come il servizio rifiuti, basta a interrompere il vincolo fiduciario.
La ratio è chiara: il rapporto di lavoro si regge non solo sull'idoneità a rendere la prestazione, ma anche sulla disponibilità a mantenere viva la collaborazione, persino nelle difficoltà più estreme.
La sentenza di Latina si colloca nel solco di un orientamento ormai consolidato, ma ne rafforza il fondamento valoriale.
Dopo Cass. 10352/2014, la Corte di legittimità aveva già affermato che "l'assenza legittima, se non correttamente comunicata, può integrare giusta causa di licenziamento".
La novità della pronuncia pontina risiede nella declinazione etica e relazionale del principio: non si tratta solo di un obbligo formale, ma di una manifestazione concreta della lealtà contrattuale.
Il Tribunale eleva dunque la comunicazione dell'assenza a cartina di tornasole della buona fede, trasformando un adempimento tecnico in una prova di affidabilità personale e professionale.
La Sentenza n. 1105/2025 del Tribunale di Latina rappresenta un passo importante nella riflessione contemporanea sul significato del rapporto di lavoro.
Essa ci ricorda che la subordinazione non è mera esecuzione, ma partecipazione a un progetto comune, fondato su fiducia, rispetto e responsabilità comunicativa.
Nel mondo del lavoro moderno — sempre più fluido, interconnesso e precario — la parola diventa il primo strumento di cooperazione: informare, spiegare, rendere partecipe l'altro del proprio impedimento non è solo un dovere giuridico, ma un atto di civiltà organizzativa.
Il messaggio che la pronuncia lancia è limpido:
"La legittimità dell'assenza non esclude la responsabilità del silenzio."
E così, anche quando il lavoratore è fisicamente lontano dal suo posto, la buona fede continua a pretendere la sua presenza — non nel gesto, ma nella comunicazione.

