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Notizie Giuridiche

» I confini tra la delega delle competenze dirigenziali e le mansioni superiori
25/10/2025 - Alessio Piccirilli

Seppur la normativa vigente assegni al dirigente amministrativo un consolidato ruolo di ordinario centro decisionale si impone, alla luce delle contingenti esigenze che caratterizzano la vita della P.A., un'analisi approfondita della possibilità di delega di tali specifiche funzioni ad altri soggetti. La validità, i limiti e le conseguenze in termini di responsabilità amministrative e contabili di eventuali assegnazioni illegittime, così come interpretate dalla Giurisprudenza, rappresentano il nucleo centrale della presente trattazione.

La normativa di riferimento

Le basi normative delle competenze dirigenziali sono rappresentate dagli artt. 4, 5 e 17 del d.lgs 165 del 2001 (c.d. T.U. del pubblico impiego) che attribuiscono al dirigente amministrativo la gestione dell'attività amministrativa e delle relative risorse materiali ed umane ed il potere di adottare gli atti e provvedimenti amministrativi. In altre parole il d.lgs 165 del 2001 riserva agli organi politici la "straordinaria amministrazione" ovvero le funzioni di indirizzo politico amministrativo (come ad esempio l'adozione di atti normativi e regolamentari) e la definizione di programmi, piani, obiettivi e priorità nonché l'attribuzione e ripartizione delle risorse materiali ed umane nell'ambito degli uffici. Al contrario, al dirigente amministrativo residua la "ordinaria amministrazione" ovvero l'organizzazione e direzione degli uffici e la gestione dell'erogazione dei servizi.

Più in particolare, con riferimento al procedimento amministrativo, al dirigente amministrativo compete il controllo ed il coordinamento dell'attività dei responsabili del procedimento con poteri sostitutivi in caso di inerzia. In tale ambito si evidenzia come il d.lgs 165 del 2001, attribuendo espressamente al dirigente il potere di adottare i provvedimenti amministrativi, vada ad integrare le disposizioni di cui agli artt. 4, 5 e 6 della l.241 del 1990 che a loro volta delineano i compiti e le modalità di identificazione del responsabile del procedimento. Infatti, l'art. 6 della l. 241 del 1990 assegna al responsabile del procedimento, qualora ne abbia la competenza, il potere di adottare il provvedimento finale al termine dell'istruttoria procedimentale, mentre l'art. 5 disciplina le modalità di individuazione di tale responsabile da parte del dirigente, il quale può nominare sé stesso o un altro dipendente (salva l'attribuzione automatica del ruolo al funzionario responsabile dell'unità operativa in caso di omissione di nomina). Si deve quindi concludere che ad oggi, alla luce del combinato disposto delle suddette disposizioni normative, la normale attribuzione del potere di adozione del provvedimento finale (ed anche del titolo di responsabile del procedimento in caso di avocazione) spetti sempre al dirigente, fatta salva la possibilità di delega di tale funzione ad altri pubblici dipendenti con adeguati titoli professionali, come si vedrà in seguito.

Distinzione e coordinamento tra gli istituti della delega di funzioni e delle mansioni superiori

La delega di funzioni dirigenziali si distingue nettamente dalla disciplina delle mansioni superiori, previste rispettivamente dall'art. 17, comma 1-bis e dall'art. 52 del d.lgs. 165 del 2001, attraverso una separazione netta, seppur complessa nella prassi, tra il trasferimento di esercizio del potere e l'assegnazione di compiti essenziali della qualifica superiore.

L'art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. 165/2001 consente al dirigente, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, di delegare per un periodo determinato alcune delle proprie competenze (lettere b, d, ed e del comma 1) a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate (ad esempio titolari di Posizioni Organizzative, a seconda dell'ordinamento dell'ente).

La natura della delega delle competenze è quella di un atto di natura organizzativa e non di attribuzione di qualifica in quanto trasferisce al delegato solo l'esercizio di determinate funzioni, ma non la titolarità della funzione e della qualifica dirigenziale. La norma stessa stabilisce che "non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile": ciò significa che l'atto di delega non comporta l'automatica acquisizione della qualifica superiore né del relativo trattamento economico (salvo che sia concordata in sede contrattuale una specifica indennità accessoria per lo svolgimento dell'incarico).

Le criticità sorgono quando la delega rischi di sconfinare nell'assegnazione di fatto di mansioni superiori. La distinzione tra una legittima delega di alcune funzioni (art. 17, c. 1-bis) e un'illegittima assegnazione di mansioni superiori (art. 52, c. 5) si basa sulla qualità, quantità e prevalenza dei compiti trasferiti:

1) La delega di funzioni ha ad oggetto solo alcune competenze dirigenziali ovvero quelle di gestione e non quelle di alta amministrazione ed ha esclusivamente la finalità di rispondere a specifiche e provvisorie esigenze organizzative. Non spetta il trattamento economico della qualifica superiore ma è possibile solo un eventuale compenso accessorio se previsto contrattualmente (es. indennità di Posizione Organizzativa). Il delegante mantiene la responsabilità per culpa sia in eligendo che in vigilando (errore nella scelta o nel controllo), ma la responsabilità per l'atto (interna ed esterna) si trasferisce al delegato. L'atto deve illustrare chiaramente le "specifiche e comprovate esigenze di servizio" che rendono necessaria la delega (es. assenza prolungata del titolare, carenza di organico temporanea, necessità di gestire un progetto specifico). Se la delega non ha una motivazione circostanziata rischia perciò di risultare illegittima. Inoltre, la delega deve riguardare solo "alcune delle competenze", non la totalità o la prevalenza delle funzioni dirigenziali e deve indicare con precisione quali poteri specifici vengono trasferiti, rendendo palese il carattere vicario e limitato dell'incarico. In caso di carenza o eccessiva genericità nell'identificazione delle specifiche funzioni delegate vi è pertanto un forte rischio di violazione della norma e di sconfinamento nell'attribuzione di mansioni superiori. In sostanza, un atto di delega poco chiaro, non motivato o troppo esteso è un segnale di allarme per il Giudice del Lavoro, che sarà portato a concludere che il datore di lavoro abbia tentato di sfruttare la flessibilità della delega per negare al dipendente il legittimo differenziale stipendiale dovuto per la qualità effettiva del lavoro svolto.

2) L'assegnazione di mansioni superiori riguarda l'espletamento di mansioni proprie della qualifica superiore in modo prevalente per quantità, qualità e rilevanza rispetto a quelle della qualifica di inquadramento ed è finalizzata alla copertura di un posto vacante o sostituzione provvisoria di un dipendente assente (art. 52, c. 2) oppure, al di fuori di tali ipotesi, deriva da esercizio illegittimo dell'assegnazione (art. 52, c. 5). Spetta in ogni caso al lavoratore la differenza di trattamento economico rispetto alla qualifica superiore per il periodo di effettiva prestazione. La responsabilità (amministrativa, contabile, etc.) rimane in capo al dirigente che ha illegittimamente assegnato le mansioni, ma anche il funzionario che le svolge è soggetto a responsabilità. Se il funzionario era consapevole dell'illegittimità dell'assegnazione, la sua responsabilità può aggravarsi. La Corte di Cassazione è costante nel ribadire che l'assegnazione di mansioni superiori, anche se avvenuta al di fuori dei casi tassativi previsti o in modo informale, dà diritto al dipendente al trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore per il periodo di effettiva prestazione ex art. 52, comma 5 del d.lgs. 165/2001, dando quindi prevalenza al contenuto rispetto alla forma dell'atto e comunque tenendo sempre conto del comportamento concludente del datore di lavoro (ex multis Cassazione Civile Sez. lavoro, Ordinanza n.18877 del 2025). La ratio è quella di evitare che l'Amministrazione si arricchisca indebitamente utilizzando personale sottopagato per svolgere funzioni di livello più elevato. Il funzionario, ai sensi dei commi 5 e 6 del suddetto art. 52, ha diritto solo alla differenza retributiva, ma non acquisisce il diritto alla promozione o all'inquadramento definitivo nella qualifica dirigenziale. La Cassazione precisa però la necessità che "le mansioni superiori siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri e assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni" (ex multis Cassazione sez. lavoro, n. 31156 del 2021). Dunque occorrerà verificare se il delegato sia stato costretto ad adottare non solo "alcune" delle funzioni come previsto dalla legge, bensì la maggior parte dei provvedimenti amministrativi, degli atti di gestione quotidiana e di organizzazione del personale.

Il rischio di sovrapposizione dei due istituti è quindi concreto quando le funzioni delegate al funzionario siano di ampiezza e rilievo tali da assorbire il nucleo essenziale della funzione dirigenziale nell'ambito dell'ufficio, rendendo in pratica il delegato un "dirigente" di fatto senza averne la qualifica e la retribuzione. In tale frangente si evidenziano possibili criticità costituzionali per violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione per disparità di trattamento e mancanza di proporzione nella retribuzione. In sintesi, il diritto del dipendente non dipende dal nomen iuris (cioè se l'atto si chiami "delega di funzioni" oppure "incarico"), ma dalla concreta intensità e qualità della prestazione lavorativa effettivamente resa.

L'illegittima attribuzione di incarichi dirigenziali (in violazione dei requisiti o dei limiti temporali) può configurare danno erariale per gli oneri retributivi indebitamente sostenuti sulla base di atti nulli o in palese violazione di legge (ex multis Corte dei Conti, Sez. Giur. Calabria, Sentenza n. 120 del 2022). Qualora l'Autorità Giudiziaria dovesse poi ritenere che la delega di funzioni rappresenti, di fatto o per dolo, un tentativo di mascherare un'assegnazione illegittima di mansioni superiori, allora il dirigente delegante rischierebbe di incorrere non solo nella responsabilità contabile conseguente al riconoscimento della differenza retributiva al funzionario (Art. 52, c. 5), ma anche in una responsabilità disciplinare/dirigenziale ex art. 21 del d.lgs 165 del 2001 per violazione delle norme sull'organizzazione e inquadramento del personale. Per quanto riguarda poi gli eventuali atti amministrativi adottati dal dirigente di fatto, seppur viziati per l'illegittimità della sottoscrizione o dell'attribuzione di mansioni, essi possono essere salvati a mezzo del principio di conservazione degli atti giuridici e di continuità dell'azione amministrativa o come atti adottati dall'organo in via di fatto, ma questo non esonererebbe il dirigente (delegante) dalle proprie responsabilità interne (civili, disciplinari, amministrative) per aver violato le norme sull'ordinamento degli uffici.

Occorre inoltre evidenziare l'esistenza di un terzo istituto che potrebbe essere fonte di ulteriore confusione nel momento in cui si cerca di inquadrare la natura delle funzioni svolte dal funzionario delegato: si tratta della c.d. delega di firma, invalsa nella prassi amministrativa e riconosciuta e regolata dalla Giurisprudenza.

La delega di firma

Come visto, rispetto alla specifica e fondamentale competenza dirigenziale consistente nell'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, la delega di funzioni (art. 17, c. 1-bis d.lgs 165 del 2001) rappresenta un atto che trasferisce al delegato anche la competenza ad adottare l'atto e con essa, la relativa responsabilità per l'atto compiuto: quindi, in questo caso, il delegante si spoglia parzialmente del potere. Ben diversamente la c.d. delega di firma è un mero ordine di servizio con cui il delegante autorizza un dipendente (anche non dirigente) a sottoscrivere materialmente, per conto del dirigente delegante, un atto o provvedimento che però rimane giuridicamente imputabile al delegante. Infatti, a parere della Giurisprudenza (ex multis, Cassazione Civile Sez. V, Ordinanza n. 33195 del 2024), la delega di firma "realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l'atto firmato dal delegato imputabile all'organo delegante, con la conseguenza che, nell'ambito dell'organizzazione interna dell'ufficio, l'attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l'individuazione della qualifica rivestita dall'impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa. » (Cass., 19/04/2019, n. 11013; in senso conforme Cass., 08/11/2019, n. 28850).".

Dunque, se il dirigente dovesse emanare una delega di funzioni che, nei fatti, si traducesse in una mera delega di firma, ovvero la sottoscrizione del provvedimento finale redatto dal medesimo o da altro funzionario in qualità di responsabile del procedimento, il rischio per il dirigente non si ridurrebbe mantenendo egli la piena responsabilità dell'adozione dell'atto, affidandosi "ciecamente" o quasi all'istruttoria ed al giudizio finale dei funzionari. Il dirigente non è infatti un semplice "timbro" e per legge deve rispettare le risultanze istruttorie del funzionario, e se decide diversamente, ha l'onere di motivare il proprio scostamento nell'atto finale. E' la legge che attribuisce le specifiche funzioni ai dirigenti (adottare atti, gestire risorse) e pertanto tali responsabilità possono essere derogate solo espressamente e ad opera di specifiche disposizioni promananti da fonti normative di pari grado gerarchico. In altre parole il dirigente è il vertice gestionale dell'unità e se, ad esempio, l'ufficio non dovesse funzionare per eccesso di carichi o disorganizzazione, la responsabilità di non aver adottato i debiti correttivi spetterebbe a chi aveva il potere di farlo. Il commodus discessus della complessità tecnica è riservato, semmai, all'organo politico (che fornisce l'indirizzo), ma è negato all'organo gestionale (che deve attuare e rispondere dei risultati), ne discende la permanenza della responsabilità per eventuali danni erariali derivanti da atti e provvedimenti da egli firmati (ex multis Corte dei Conti, Sez. Giurisdizionale per la Toscana, Sentenza n. 350 del 2019). Il funzionario delegato alla firma risponde invece direttamente della regolarità della firma (ossia di avere il potere di apporla) e della sua conformità all'ordine o direttiva ricevuta (non potendo andare oltre i limiti della delega) anche se, in ogni caso, chi firma un atto o un provvedimento amministrativo ha comunque l'onere di verificarne la correttezza, la completezza istruttoria e la legittimità al fine di evitare un'eventuale responsabilità per colpa grave ad esempio in caso di atto c.d. abnorme. In conclusione, la firma del dirigente sul provvedimento finale, in presenza di un responsabile del procedimento istruttore, rappresenta l'atto di massima assunzione di responsabilità per la correttezza tecnica e amministrativa del risultato finale, limitando fortemente la possibilità di invocare a proprio discarico gli errori sottostanti.

Quindi, l'uso generalizzato ed indiscriminato della delega di firma, senza effettivo trasferimento di compiti e responsabilità come previsto dall'art. 17 del d.lgs 165 del 2001, può essere valutato come un difetto di organizzazione o un tentativo di elusione dei propri doveri gestionali, con possibili ripercussioni sul piano della responsabilità dirigenziale e contabile. Dunque, in definitiva, la delega di firma non appare essere un meccanismo per la divisione della responsabilità bensì uno strumento di semplificazione amministrativa dove la titolarità rimane salda nel delegante, trasformando l'atto della firma in un momento di mera esecuzione finale di un atto il cui rischio ricade sul delegante.

L'incarico di funzioni dirigenziali in deroga ex art. 19 c. 6 D.Lgs. 165/2001

Su un piano del tutto distinto rispetto alla delega di funzioni, di firma ed alle mansioni superiori si situa l'istituto del conferimento di funzioni dirigenziali a persone esterne al ruolo dirigenziale ma dotate di particolari professionalità, previsto e regolato dal comma 6 dell'art. 19 del d.lgs 165 del 2001. Infatti, in quest'ultimo caso non si tratta di una delega da parte di un dirigente delle proprie funzioni bensì della creazione, da parte dell'Amministrazione, di una responsabilità dirigenziale del tutto autonoma ed indipendente. Il problema potrebbe però emergere nel caso di atti di conferimento degli incarichi che si prestino in concreto a significativi dubbi interpretativi e dunque l'autorità giudiziaria, nel valutare il reale contenuto dell'atto di delega o nomina, potrebbe andare oltre al mero nomen dell'atto ed alle norme ivi richiamate, dando prevalenza all'effettivo contenuto delle funzioni concretamente attribuite al funzionario. In conclusione una delega di funzioni dirigenziali, qualora ne esistessero tutti i presupposti materiali, potrebbe essere interpretata anche come un'attribuzione de facto di un ruolo dirigenziale c.d. in deroga, ai sensi ed agli effetti dell'art. 19 del d.lgs 165 del 2001.

Conclusioni

Alla luce delle normative vigenti e dei principi generali enucleati dalla Giurisprudenza si può concludere che ogni atto organizzativo destinato a modificare l'assetto ordinario delle funzioni dirigenziali deve essere rigorosamente tipico, preciso e dettagliatamente motivato. Il principale rischio giuridico risiede nella possibile ambiguità tra il parziale trasferimento della competenza gestionale e decisionale (proprio della delega ex art. 17, co. 1-bis del d.lgs 165 del 2001) e l'assegnazione di mere attività di natura esecutiva (come la delega di firma) o peggio, l'attribuzione di un contenuto lavorativo prevalente proprio di una qualifica superiore (mansioni superiori ex art. 52). In definitiva, la chiarezza dell'atto amministrativo non è mai un mero formalismo, ma è l'unico strumento per prevenire il danno erariale e per tutelare sia l'Amministrazione (assicurando la continuità e la legalità dell'azione) e sia i dipendenti (garantendo il giusto inquadramento e prevenendo la responsabilità per atti esorbitanti).

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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