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Notizie Giuridiche

» IA: dalla "regola alla creazione"
26/10/2025 - Luisa Claudia Tessore

Nel corso dei secoli l'uomo ha cercato non solo di "imitare la vita", ma di comprendere e riprodurre ciò che rende unico il pensiero e il comportamento umano, tra tecnica, immaginazione e riflessione morale. La possibilità di sostituire l'essere umano con la macchina nelle funzioni della mente è stata, fin dalle origini, il cuore del programma di ricerca sull'intelligenza artificiale: riprodurre prestazioni identiche o simili a quelle umane per quanto riguarda le capacità logiche e intellettive, logos e noesis.

Nonostante non sia facile trovare una semplice e universale definizione che copra l'intero spettro dell'IA, dal ragionamento alla cognizione, è possibile indicarne la finalità: obiettivo dell'intelligenza artificiale è, nel lungo periodo, far sì che tutto ciò che l'uomo può fare in termini di ragionamento possa essere compiuto da un sistema informatico. Secondo la definizione dell'EU Artificial Intelligence Act (art.3 – Definitions): "AI system' means a machine-based system that is designed to operate with varying levels of autonomy and that may exhibit adaptiveness after deployment, and that, for explicit or implicit objectives, infers, from the input it receives, how to generate outputs such as predictions, content, recommendations, or decisions that can influence physical or virtual environments".[1]

La definizione di sistema di IA fonda sulla capacità di inferenza, elemento distintivo rispetto ai software tradizionali, ovvero la possibilità di generare output che possono influenzare ambienti sia fisici, quali macchine, robot o impianti industriali, sia virtuali, come sistemi digitali, applicazioni online o simulazioni. Tale capacità si realizza attraverso approcci di machine learning, che apprendono dai dati per raggiungere obiettivi specifici, e approcci basati su logica o conoscenza, che inferiscono a partire da rappresentazioni simboliche o conoscenze codificate. Il processo va oltre la semplice elaborazione dei dati, includendo apprendimento, ragionamento e modellizzazione.

Apprendimento profondo e co-creazione uomo-macchina

Con l'avvento del deep learning è emersa la Generative AI (GenAI), una delle evoluzioni più significative dell'intelligenza artificiale contemporanea. A differenza dei sistemi tradizionali, GenAI non si limita ad analizzare o classificare dati, ma è in grado di generare nuovi contenuti, testuali, visivi, musicali o di codice, basandosi su modelli appresi durante l'addestramento.

Le sue capacità si fondano su architetture avanzate quali i transformer generativi pre-addestrati (Generative Pretrained Transformers, GPTs), famiglia di Large Language Models (LLMs) basata su un'architettura di deep learning chiamata "transformer". A differenza delle reti neurali tradizionali, dove le informazioni fluiscono in un'unica direzione, i transformer permettono a ciascun livello di interagire con tutti gli altri, concentrandosi su diverse parti della sequenza di input in fasi differenti. Questo meccanismo è noto come self-attention o attention.

Altra architettura chiave sono le reti generative avversarie (Generative adversarial networks GANs), che generano dati attraverso un gioco competitivo: il generatore crea output falsi simili ai dati di addestramento, mentre il discriminatore cerca di distinguere tra dati reali e output del generatore. Entrambe le reti migliorano iterativamente fino a quando il generatore produce contenuti difficili da distinguere dal reale.

GenAI ha permesso applicazioni prima considerate sperimentali: generazione di immagini realistiche, conversazioni simili a quelle umane, scrittura di programmi e persino la progettazione di nuovi trattamenti medici. A differenza dell'IA tradizionale, orientata all'analisi, all'automazione e alla previsione, GenAI si concentra sulla creazione di contenuti originali.

L'interazione tra esseri umani e GenAI è un processo dinamico e iterativo. Gli utenti esplorano idee, producono contenuti, valutano la qualità dei risultati e interagiscono con diversi stakeholder, sviluppando competenze e strategie per integrare efficacemente GenAI nei loro contesti. È tuttavia importante sottolineare che l'uso efficace richiede anche di affrontare sfide non strettamente tecniche, quali la proprietà dei contenuti, la privacy dei dati e il rischio di allucinazioni, queste ultime informazioni generate dall'IA apparentemente corrette ma prive di senso. Durante l'addestramento, i modelli di GenAI apprendono relazioni complesse tra i dati e sviluppano la capacità di produrre contenuti coerenti e contestualmente appropriati in risposta a prompt o istruzioni. Possono essere addestrati su dati non strutturati e multimodali—testi, immagini, audio o video—provenienti da fonti eterogenee come social media, archivi visivi o registrazioni vocali.

Mentre dal punto di vista dell'apprendimento, i sistemi tradizionali utilizzano prevalentemente approcci supervisionati o semi-supervisionati, con dati etichettati che guidano l'addestramento, GenAI sfrutta spesso approcci non supervisionati o auto-supervisionati, individuando autonomamente schemi e relazioni all'interno di grandi quantità di dati non etichettati. Non è solo uno strumento tecnologico, ma un vero partner creativo, capace di ampliare il ruolo dell'intelligenza artificiale nella co-creazione di contenuti complessi e innovativi.[2]

Tra innovazione e tutela dei diritti

All'incrocio tra scienza, tecnica e creatività, gli algoritmi sfidano le categorie classiche della proprietà intellettuale. Durante il funzionamento e il processo decisionale, gli algoritmi possono inoltre generare criticità quali discriminazione, collusione algoritmica o comportamenti non trasparenti, fenomeni legati alla cosiddetta "black box", che rendono difficile comprendere come le decisioni vengano effettivamente prese. La loro complessità intrinseca, l'incertezza sulla titolarità dei diritti e le implicazioni etiche di innovazioni tecnologiche ad alto impatto rendono la tutela ancora più complessa e urgente.

Le differenti teorie sulla natura giuridica degli algoritmi offrono approcci diversi per la regolamentazione, sottolineandone la natura ibrida. Tra le principali prospettive si annoverano la teoria del discorso (speech theory), la teoria del segreto industriale (trade secret theory), la teoria del due process e la teoria del brevetto (patent theory), ciascuna delle quali propone strumenti specifici per affrontare il delicato equilibrio tra innovazione tecnologica, tutela dei diritti e interesse pubblico.

Teoria del discorso (speech theory): gli algoritmi sono considerati una forma di "discorso", perché rappresentano l'espressione delle idee e delle decisioni dei loro sviluppatori, con i computer che ne costituiscono la manifestazione esterna. Se gli algoritmi rientrano nel discorso, qualsiasi dato, modalità operativa o risultato prodotto può costituire espressione personale dello sviluppatore o "affare interno" dell'azienda, protetta dalla libertà di espressione.

Teoria del segreto industriale (trade secret theory): gli algoritmi possono essere considerati informazioni riservate dell'azienda o dello sviluppatore, proteggendo così dati, codice sorgente e processi decisionali dalla divulgazione non autorizzata. Questo approccio tutela la proprietà intellettuale e incentiva l'innovazione, evitando che concorrenti copino o sfruttino indebitamente le soluzioni sviluppate. Tuttavia, classificare tutti gli algoritmi come segreti industriali può generare criticità, ad esempio nel verificare il rispetto di leggi su discriminazione, privacy o pratiche anticoncorrenziali, e nel raccogliere prove e responsabilità in caso di violazioni dei diritti civili o danni causati da algoritmi.

Teoria del due process: gli algoritmi devono essere soggetti a principi di trasparenza, correttezza e controllo legale, perché le loro decisioni possono influenzare diritti e interessi delle persone. La "scatola nera" algoritmica — ossia l'impossibilità di comprendere completamente come i dati vengano trasformati in risultati — non significa automaticamente ingiustizia, ma può diventare problematica se il potere decisionale dell'algoritmo viene usato in modo manipolativo o discriminatorio. In altre parole, il due process garantisce che esista un meccanismo di supervisione e responsabilità, per assicurare che le decisioni prese dagli algoritmi siano giuste, verificabili e conformi alla legge, anche se non può intervenire direttamente durante la fase iniziale di progettazione.[3]

Teoria del brevetto (patent theory): gli algoritmi possono essere regolati tramite la normativa sui brevetti, basata sul principio dello "scambio tra divulgazione e protezione". Per ottenere protezione legale, lo sviluppatore deve rendere pubblici il set di dati utilizzato e lo scopo dell'algoritmo, spiegando come funziona e quali problemi risolve. Questo approccio tutela i diritti dello sviluppatore, incentiva la ricerca e l'innovazione, promuove uno sviluppo sociale responsabile e riduce il rischio che il potere algoritmico venga sfruttato per scopi illeciti o ingiusti, bilanciando protezione dell'innovazione e trasparenza. L'applicazione dei brevetti agli algoritmi di intelligenza artificiale, in particolare a quelli self-learning, presenta tuttavia sfide significative. Tradizionalmente considerati la forma più solida di protezione della proprietà intellettuale, i brevetti devono soddisfare requisiti rigorosi di novità e attività inventiva, spesso difficili da garantire per algoritmi che evolvono autonomamente senza intervento umano. L'elemento di auto-apprendimento comporta che l'algoritmo stesso possa modificarsi durante l'uso, rendendo complessa la valutazione del carattere tecnico della soluzione e la sua protezione. Nonostante tali criticità, il sistema dei brevetti offre trasparenza, rendendo pubblicamente accessibili le informazioni su come funzionano le tecnologie AI e permettendo di attribuire responsabilità a chi ne è titolare, rappresentando quindi uno strumento utile per bilanciare innovazione e accountability.[4]

Conclusioni

L'adozione dei sistemi di GenAI offre opportunità straordinarie, ma introduce anche nuove sfide, soprattutto in termini di supervisione e responsabilità. Un principio fondamentale, ribadito dalle linee guida degli esperti, è il mantenimento del "human-in-the-loop": garantire la partecipazione attiva dell'essere umano nelle fasi cruciali del ciclo di vita di un progetto, dalla progettazione e addestramento dei modelli, alla revisione e perfezionamento dei risultati prodotti. Ciò richiede non solo procedure adeguate, ma anche competenze, mindset e fiducia da parte di chi interagisce con l'IA.

Costruire una relazione efficace con la GenAI richiede preparazione, consapevolezza e pratica, così da adottare approcci in cui diventa un partner creativo e responsabile, integrato e non sostituto, nelle decisioni e nei processi dell'individuo, nel rispetto dei principi di non esclusività della decisione algoritmica, conoscibilità e non discriminazione.

La protezione legale dei risultati creativi è riservata alle opere ove l'IA, pur svolgendo un ruolo strumentale, rimane subordinata alla direzione e al controllo dell'autore. Definire chiaramente autorialità e diritti associati è quindi essenziale per garantire riconoscimento e valorizzazione del lavoro umano.

dott.ssa Luisa Claudia Tessore


Note bibliografiche

[1] https://artificialintelligenceact.eu/article/3/

[2] Kumar, A., Shankar, A. et al. (2025) Generative artificial intelligence (GenAI) revolution: A deep dive into GenAI adoption. Journal of Business Research, Volume 189

[3] Chen, J. (2020) The legal nature of algorithms: speech, trade secrets, or due process" Comparative Law Research, (02):120-132

[4] WU, H. (2019) Patent Law for AI-generated Inventions. Contemporary Law 33(04):24-38.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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