La Legge n. 144/2025, pubblicata in G.U. n. 230 del 3 ottobre 2025, introduce un modello di tutela salariale fondato sulla contrattazione collettiva e sulla funzione parametrica dei CCNL maggiormente applicati. In alternativa al salario minimo legale, la riforma mira a garantire retribuzioni proporzionate e sufficienti ex art. 36 Cost., contrastare il dumping contrattuale e promuovere la partecipazione gestionale dei lavoratori. Il contributo analizza le linee portanti della legge, con particolare attenzione alla rappresentatività sindacale, al coordinamento normativo e alla dimensione costituzionale del "diritto alla giusta retribuzione".
La Legge n. 144/2025 nasce in risposta al dibattito politico e sindacale sul salario minimo legale, sviluppatosi tra il 2023 e il 2024. In luogo di una soglia retributiva fissa, il Parlamento ha scelto di rafforzare la contrattazione collettiva, affidando al Governo il compito di definire, per ciascuna categoria, un trattamento economico minimo coerente con l'art. 36 della Costituzione. La riforma si propone di contrastare il lavoro sottopagato, stimolare il rinnovo dei CCNL e combattere il dumping contrattuale, valorizzando al contempo la partecipazione dei lavoratori alla vita dell'impresa.
La legge individua il "trattamento economico complessivo minimo" nei CCNL maggiormente applicati, selezionati in base al numero di imprese e lavoratori. Per i lavoratori non coperti da contrattazione, si prevede l'applicazione del contratto della categoria "più affine". È essenziale chiarire che tale estensione non ha efficacia erga omnes in senso tecnico (come previsto dall'art. 39, co. 3, Cost., mai attuato), ma assume valore parametrico, utile al giudice per valutare la sufficienza della retribuzione.
La giurisprudenza della Cassazione ha già tracciato questa linea: le sentenze n. 27711/2023, n. 27769/2023 e n. 28320/2023 [1]hanno escluso ogni presunzione assoluta di conformità dei CCNL all'art. 36 Cost., affermando che il giudice può disapplicare il contratto anche se stipulato da soggetti rappresentativi, qualora il trattamento risulti inadeguato.
Uno dei nodi tecnici più rilevanti riguarda la misurazione della rappresentatività sindacale. I criteri possono essere associativi (deleghe), elettorali (RSU) o convenzionali. Il Protocollo interconfederale del 10 gennaio 2014 e il Messaggio INPS n. 2843/2021 hanno proposto regole condivise per la certificazione della rappresentanza, ma non hanno valore legislativo[2]. I decreti attuativi dovranno scegliere e motivare il criterio adottato, poiché da esso dipenderà la legittimità dell'intero impianto.
La legge impone l'applicazione dei minimi contrattuali negli appalti di servizi, ma dovrà coordinarsi con l'art. 29, comma 1-bis, del D.Lgs. 276/2003, che fa riferimento alla comparativa rappresentatività. La delega si limita agli appalti di servizi, mentre la norma vigente include anche quelli di opere. I decreti attuativi dovranno chiarire il rapporto tra le due disposizioni, evitando conflitti applicativi e garantendo coerenza sistemica.
La L. 144/2025 si raccorda con la L. n. 76/2025, che disciplina la partecipazione gestionale (alla direzione e all'organizzazione aziendale) e finanziaria (al capitale e agli utili), in attuazione dell'art. 46 Cost.[3] È una norma pluridimensionale, che mira a superare la subordinazione passiva e a riconoscere ai lavoratori un ruolo attivo nella vita dell'impresa. La partecipazione non è solo un principio, ma una leva di prosperità condivisa.
La riforma interagisce indirettamente con l'art. 39 Cost., e in particolare con il terzo comma, che prevede l'efficacia erga omnes dei contratti stipulati dai sindacati registrati. La mancata attuazione di questo comma ha impedito finora una vera estensione formale dei contratti, costringendo il legislatore a ricorrere a forme di estensione parametrica. La L. 144/2025, pur non colmando questo vuoto, ne riconosce implicitamente la portata.
La riforma si colloca nel solco della Direttiva UE 2022/2041,[4] che promuove salari minimi adeguati e contrattazione collettiva. A differenza di Francia e Germania, che hanno optato per un salario minimo legale nazionale (SMIC e Mindestlohn), l'Italia sceglie una via contrattuale, più complessa ma più flessibile, capace di adattarsi alle specificità settoriali e territoriali.
La L. n. 144/2025 segna il passaggio dalla giurisprudenza dell'art. 36 alla politica dell'art. 36: dal giudice al legislatore, dalla tutela ex post alla garanzia ex ante.
È una legge che tenta di riscrivere il patto retributivo tra impresa e lavoratore, trasformando la contrattazione collettiva in fonte di diritto sostanziale.
Se attuata con rigore, potrà inaugurare una nuova stagione di giustizia contrattuale. Se invece resterà priva di presidi qualitativi, rischierà di cristallizzare le disuguaglianze che intende combattere.
Ai giuristi spetta il compito di vigilare, interpretare e proporre. Ai lavoratori, quello di conoscere, rivendicare e partecipare. Perché — come ricordava Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori — «il diritto del lavoro è un diritto della libertà attraverso la subordinazione».[5]
Una subordinazione che non può essere eliminata, ma deve essere compensata attraverso la contrattazione collettiva, la presenza sindacale e la garanzia di diritti fondamentali.
La riforma del 2025, nel suo impianto, sembra raccogliere proprio questa eredità: non una negazione del potere datoriale, ma la costruzione di un contropotere collettivo capace di bilanciare la diseguaglianza strutturale del rapporto di lavoro.
In questo senso, la funzione parametrica dei CCNL, il rafforzamento della rappresentatività e la promozione della partecipazione aziendale non sono solo strumenti tecnici, ma proiezioni operative del principio di dignità costituzionale. In questo equilibrio tra norma e contratto, tra giudice e legislatore, si gioca oggi il futuro del diritto del lavoro.
[1] Cass., sez. lav., 3 ottobre 2023, n. 27711; 4 ottobre 2023, n. 27769; 9 ottobre 2023, n. 28320.
[2] Protocollo interconfederale CGIL-CISL-UIL-Confindustria, 10 gennaio 2014; INPS, Messaggio n. 2843 del 22 luglio 2021.
[3] Art. 46 Cost.: "alla gestione delle aziende, in forme e nei limiti stabiliti dalla legge."
[4] Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea.
[5] G. Giugni, Lavoro, legge, contratti, Bologna, il Mulino, 1989, p. 260; cit. in V. Speziale, "L'idea di lavoro di Gino Giugni nello Statuto dei lavoratori", in Idee di lavoro e di ozio per la nostra civiltà, Firenze University Press, 2024, p. 1376.