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Notizie Giuridiche

» Illogicità della giurisprudenza sull'assegnazione della casa familiare
21/10/2025 - Marino Maglietta

Le circostanze di fatto

Siamo di fronte ad una vicenda in cui la cronologia riveste un ruolo fondamentale. Così la riassume la Suprema Corte (Ordinanza del 16 settembre 2025 n. 25403) nel momento in cui discute dell'assegnazione della casa familiare, premesso che si tratta di coppia non coniugata che viveva a Roma: "Le circostanze relative alla destinazione dell'immobile a casa familiare sono state accertate dalla Corte di merito che colloca l'inizio della convivenza more uxorio nel gennaio 2022 … , prima della nascita della minore, avvenuta il 18 settembre 2022, cui era seguito a novembre 2022 un temporaneo trasferimento della madre e della bambina in Calabria, presso i genitori di lei, in conseguenza del palesarsi della crisi familiare e dell'avvio del procedimento giudiziario che aveva portato al provvedimento di assegnazione della casa familiare … da parte del Tribunale (pubblicato il 6 marzo 2023) su richiesta della madre." Pertanto, nel momento in cui il Tribunale di Roma assegna la casa familiare alla madre, la bimba vi aveva trascorso circa due mesi, i primi due della sua esistenza, cioè da neonata, quando si passa il tempo quasi sempre addormentati, mentre aveva vissuto in Calabria, nella casa dei nonni, i successivi cinque mesi.

Il reclamo in Corte di Appello

A questo punto il padre ricorre in Appello, chiedendo la revoca dell'assegnazione alla madre della casa familiare, tuttavia senza effetto.

I contenuti del reclamo sono riferiti in dettaglio nell'ordinanza della Cassazione, secondo la quale viene contestata "la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 sexies cod. civ. con riguardo alla qualificazione d'abitazione familiare ed ai presupposti dell'assegnazione". In particolare: "A parere del ricorrente, la Corte di appello avrebbe disposto l'assegnazione della casa individuata come familiare omettendo di esaminare i seguenti fatti: l'inesistenza di una stabile convivenza, l'assenza di un'astratta destinazione famigliare, la breve permanenza della minore e l'intervenuto trasferimento in Calabria che avrebbe reciso ogni e qualsiasi legame, astrattamente ipotizzabile con l'abitazione di proprietà del ricorrente, disattendendo la ratio dell'assegnazione costituita dall'esigenza di conservare l'habitat domestico della prole".

A dispetto di questa premessa, la Suprema Corte concentra la propria attenzione sotto il profilo della legittimità solo sulla prima parte, che costituisce quella meno rilevante del reclamo, ed evita di approfondire e sostanzialmente di pronunciarsi su quella di maggiore interesse.

Definizione e attribuzione della "casa familiare"

In concreto, il focus è posto sulla "definizione" di "casa familiare" a danno dei criteri per la sua "attribuzione". Vero che, in effetti, il ricorrente aveva prospettato entrambe le questioni, probabilmente con l'idea di rafforzare l'obiezione principale, come diligentemente riportato: "la madre non aveva provato che l'immobile di proprietà del padre fosse l'abitazione familiare, che la minore (al momento dell'insorgenza del conflitto) avesse creato un legame con quell'abitazione e che quell'asserito legame dovesse ritenersi persistente nonostante l'intervenuto allontanamento." E giustamente segnala e lamenta lo spostamento cronologico da ex tunc a ex nunc effettuato dalla CA: "la Corte di merito ha confermato l'assegnazione della casa familiare non in ragione dell'esistenza di un habitat da preservare al momento dell'insorgenza del conflitto, ma "del fatto che, presso tale abitazione, madre e figlia risiedono ormai da oltre un anno".

Come anticipato, dunque, la Corte si sofferma – ampiamente e giustamente respingendola – sulla prima obiezione mentre per quanto riguarda il secondo aspetto evita di esprimersi sul piano della legittimità, come se si trattasse di una questione di merito: che tuttavia non respinga come tale. In altre parole, non viene centrata la questione se fosse o no lecito considerare legittima una valutazione della Corte di Appello a far data dalla propria pronuncia e non a partire da quella del tribunale, coerentemente con quanto era stata chiamata a valutare. Per questa via, in pratica dà il via libera alla scelta di merito dell'Appello, omettendo di pronunciarsi su rilevanti obiezioni di legittimità del reclamo, anche se forse proposte in modo non lineare. Il che è davvero curioso ove si consideri che l'ordinanza si premura di rammentare che: "Il giudice chiamato a fissare la regolamentazione a seguito della crisi familiare, nel decidere se assegnare la casa coniugale, deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore a beneficiare dell'abitazione in cui quest'ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita (che, in quanto tale, è proiezione nello spazio della sua identità all'interno di uno specifico contesto ambientale e sociale)". Con il che sembrerebbe, nello specifico, propendere per negare una valutazione ex nunc, ma riportare indietro le lancette del tempo, a quando ad appena due mesi la bimba era uscito dalla casa di Roma.

La decisione della Cassazione

Viceversa, si legge che "Nel caso in esame, l'assegnazione della casa disposta dal Tribunale in applicazione dei suddetti principi, accompagnata dal rientro della minore nella casa familiare, risulta esser stata rettamente confermata dalla Corte d'Appello". Dove il punto debole sta proprio nell'adesione e nel suggello della scelta del Tribunale, che viceversa, mancando il radicamento, non doveva essere disposta e che la Corte di Appello, adìta sul punto, avrebbe dovuto censurare. Viceversa, viene spostata la materia decidendi e la motivazione viene fatta dipendere, ex novo, dal tempo trascorso nelle more del giudizio, associato alla "tenera età". della bimba: "Le vicende che hanno visto protagonista la minore in così tenera età risultano ben esaminate dalla Corte di merito, in linea con i principi enunciati e tenendo in principale considerazione l'interesse della minore, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità; nella motivazione, invero, è precisato che "in ordine all'assegnazione della casa familiare, ritiene il Collegio di doverla mantenere in favore della madre, con cui la bambina stabilmente convive; ciò anche in considerazione del fatto che, presso tale abitazione, madre e figlia risiedono ormai da oltre un anno, in coincidenza con un periodo di particolare formazione della minore e ritenendosi che sradicare … dal suo abituale ambiente domestico potrebbe essere per lei destabilizzante; infatti, proprio la tenera età della minore induce a considerare preferibile non alterare le sue abitudini, onde evitare di ingenerare possibili disequilibri che potrebbero ripercuotersi sulla sua sana crescita psicofisica; su cui è fondata la statuizione." (fol. 8, decr. imp.) con statuizione immune da vizi."

Con il che si crea un continuo e inappropriato rimbalzo tra legittimità e merito. L'Appello trascura l'essenziale obiezione di legittimità sul periodo da prendere in considerazione, limitandosi ad approvare la soluzione di primo grado secondo criteri di merito. La Cassazione valuta come ineccepibile e legittima la motivazione di merito - dell'Appello in quanto ben sviluppata sul piano della opportunità. Ma si chiedeva se fosse legittima la sua impostazione

Conclusioni

Pertanto la vicenda pone anche, in parallelo, un altro interrogativo, che si presenta sempre più di frequente, ad es. nei casi di sottrazione di minore. Quanto tempo deve trascorrere perché un abuso sia da considerare sanato dal suo stesso perdurare" Abuso, perché il primo allontanamento della signora portando con sé la neonata avviene in assenza dell'accordo con il padre e del nullaosta del giudice. E la domanda nasce dalle scelte dei giudici del merito. Infatti, per coerenza con il criterio della "sanatoria" legata al trascorrere del tempo, il Tribunale avrebbe anche potuto disporre che la bimba restasse in Calabria, visto vi aveva già trascorso più del doppio del tempo vissuto altrove, nel caso in cui la madre lo avesse desiderato. Così come l'Appello neppure si pone il problema della legittimità dei comportamenti e fonda la sua scelta solo su circostanze di fatto, a suo tempo lette dal giudice di prime cure senza alcuno sforzo per cercare la soluzione più ragionevole, oltre che tecnicamente corretta. Difatti, se è condivisibile un prevalente legame della bimba con la madre e quindi una maggiore presenza di quest'ultima, visto che il rapporto della neonata con la casa di Roma era praticamente inesistente perché non attribuire al padre l'onere contribuire a sostenere le spese di un diverso alloggio in Roma, lasciandogli il suo appartamento" Secondo il costante (e ovvio) orientamento della Suprema Corte, che a tal proposito ha ribadito assai di recente che: "Il soddisfacimento dell'esigenza abitativa, ove non assolta mediante l'assegnazione della casa familiare – volta anche a preservare per la prole in primis il godimento dell'habitat domestico, la stabilità della organizzazione di vita e l'insieme degli affetti – può assumere una connotazione propriamente economica laddove è realizzata mediante il ricorso al mercato e la relativa spesa rientra nel quantum dovuto per il mantenimento ordinario" (Cass. 25821 del 16 settembre 2025).

Inutile sottolineare quanto sia sconcertante l'intera vicenda, sembrando voler suggerire, detto provocatoriamente, che in materia di diritto di famiglia non rispettare le regole comporta più vantaggi che rischi.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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