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Notizie Giuridiche

» La differente qualità degli stupefacenti non basta all'accertamento del reato
20/10/2025 - Andrea Cagliero

La vicenda processuale

Un soggetto veniva condannato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, ai sensi dell'art.73 c.5 D.P.R. 309/90, in quanto trovato in possesso di plurime droghe, sia di tipo leggero che pesante (nello specifico: cocaina, anfetamina, hashish e marijuana).

Secondo la Corte d'appello, il fatto era provato dalla pluralità delle sostanze - difficilmente compatibile con l'uso personale - e dal rinvenimento nella stanza di albergo, ove l'imputato alloggiava per le vacanze, di materiale di confezionamento intriso di cocaina, indice che questi provvedeva alla suddivisione in dosi destinate allo spaccio. Non avrebbe poi giovato alla difesa il silenzio del prevenuto, che quindi non ha fornito una sua ricostruzione dei fatti.

Le doglianze difensive

L'imputato proponeva ricorso per cassazione enunciando quattro motivi, tra i quali la manifesta illogicità della motivazione, così come sopra riassunta, poiché: non veniva considerato il quantitativo obiettivamente modesto (13 grammi); non si spiegava la ragione per cui il soggetto agente avrebbe percorso migliaia di chilometri dalla residenza solo per vendere quella risicata quantità di droga; non veniva tenuto conto che la perquisizione in albergo, al netto della confezione permeata di coca, avevo dato esito negativo, in quanto non era stato rinvenuto altro materiale stupefacente o strumenti notoriamente usati per la suddivisione in dosi.

La decisione della Corte di cassazione

La Suprema corte (Cass. pen., Sez. VI, Sent., - data ud. 17/09/2025 - 14/10/2025, n. 33770) ha accolto il motivo della difesa.
In punto qualità dello stupefacente, la motivazione del Giudice territoriale è assertiva, non poggiando su basi scientifiche. Infatti, non v'è alcuna correlazione diretta tra pluralità di sostanze e i fini di spaccio, ben potendo l'assuntore fare uso personale di più droghe. Non fornisce poi una spiegazione alla circostanza per cui il soggetto si sarebbe spostato di migliaia di chilometri solo per spacciare quella modica quantità di stupefacente.
L'affermazione relativa al rinvenimento del materiale di confezionamento non è corrispondente al dato fattuale, in quanto non viene considerato che la bustina trovata era vuota, ancorché sporca, e che non erano stati ritrovati i consueti strumenti per la suddivisione in dosi.
Anche in ordine al silenzio dell'imputato la Corte d'appello pecca di motivazione logica. Esso fa parte del più ampio diritto di difesa costituzionalmente tutelato ed è espressione del principio generale "nemo tenetur se detegere". Trattasi di una strategia processuale che non può tradursi in un'argomentazione a sostegno dell'accusa. Precisa il Consesso di legittimità che non è precluso al Giudice di valutare il comportamento processuale dell'imputato, purché apprezzato unitamente ad altre circostanze sintomatiche: "il silenzio, dunque, non è valutabile come prova e non è confessione di colpevolezza. Solo al cospetto di un quadro probatorio significativo il non offrire una versione alternativa può essere un ulteriore argomento di prova."


[Fonte: www.studiocataldi.it]

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