La sentenza TAR Piemonte n. 1361/2025, pubblicata il 2 ottobre 2025, ha fissato in trenta giorni il termine massimo entro cui l'Amministrazione deve pronunciarsi sulla domanda di accesso alle misure di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Il silenzio protratto oltre tale limite è stato qualificato come illegittimo, riaffermando il principio di tempestività quale componente strutturale del diritto. Il contributo sviluppa una lettura discorsiva e comparativa della pronuncia, integrando riflessioni dottrinali, contrasti giurisprudenziali e prassi europee, con l'obiettivo di proporre una riforma normativa operativa. Particolare attenzione è riservata al legame tra effettività del diritto e celerità procedimentale, evidenziando il ruolo sostanziale del tempo nella tutela dei diritti fondamentali.
La tutela dei richiedenti protezione internazionale rappresenta uno dei settori più delicati del diritto amministrativo contemporaneo, poiché intreccia la disciplina dei procedimenti con la salvaguardia di diritti fondamentali, quali la dignità, la salute e l'integrità fisica della persona. La sentenza TAR Piemonte n. 1361/2025, pubblicata il 2 ottobre 2025[1], si colloca in questo scenario come un punto di svolta, introducendo un principio di effettività che supera la logica meramente formale del procedimento e affrontando una problematica ancora poco esplorata: il silenzio dell'Amministrazione nei procedimenti incidenti sui diritti primari.
Nel caso concreto, la Prefettura di Torino aveva omesso di rispondere a una domanda di accesso alle misure di accoglienza, nonostante l'evidente urgenza derivante dalla condizione dei richiedenti protezione internazionale. Il TAR ha imposto un termine perentorio di trenta giorni per la pronuncia, prevedendo la possibilità di nominare un commissario ad acta in caso di inerzia. La sentenza non si limita a risolvere il singolo contenzioso, ma sancisce un principio operativo: la tempestività non è opzionale, ma parte integrante della tutela dei diritti fondamentali.
In un contesto caratterizzato da criticità organizzative e ritardi strutturali delle Amministrazioni, la decisione rappresenta un richiamo alla responsabilità, alla trasparenza e all'effettività della tutela, sottolineando che la dignità dei soggetti più vulnerabili non può essere sacrificata sull'altare della lentezza burocratica. La sentenza impone una svolta: il tempo non è più una variabile amministrativa, ma una misura di giustizia.
Il concetto di tempo non può essere ridotto a semplice misura dell'attività amministrativa: esso costituisce una condizione fondamentale della legittimità sostanziale dell'azione pubblica. Come osserva G. D'Alberti, "il tempo non è solo misura dell'azione amministrativa, ma condizione della sua legittimità sostanziale".[2] I ritardi o l'inerzia nella conclusione dei procedimenti che incidono su diritti fondamentali producono una compressione del diritto stesso, con conseguenze immediate e tangibili sulla dignità e sulla sicurezza dei soggetti coinvolti.
Marcello Clarich sottolinea come "la dilazione nella conclusione dei procedimenti che incidono su diritti fondamentali comporta una compressione del diritto stesso, trasformando l'inerzia in una forma di lesione sostanziale". [3]Questi orientamenti dottrinali trovano applicazione concreta nella sentenza del TAR Piemonte, che qualifica il silenzio protratto oltre i trenta giorni come silenzio-inadempimento, attribuendogli effetti sostanziali e vincolanti, non meramente formali.
Questa lettura rafforza la concezione dell'Amministrazione non come semplice macchina burocratica, ma come soggetto obbligato al rispetto dei principi di buon andamento, imparzialità e tutela dei diritti fondamentali, sanciti dall'art. 97 della Costituzione e dall'art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. La decisione del TAR introduce così un criterio essenziale: la celerità procedimentale non è un elemento accessorio, bensì condizione necessaria e sostanziale per garantire il diritto all'accoglienza, trasformando il tempo in uno strumento di effettività, presidio di legalità e garanzia sostanziale dei diritti fondamentali.
Le misure di accoglienza disciplinate dal D.lgs. n. 142/2015 costituiscono un insieme coordinato di prestazioni materiali e organizzative volte a garantire condizioni di vita dignitose ai richiedenti protezione internazionale durante l'iter procedimentale. Tali misure includono alloggio, vitto, assistenza sanitaria, informazione legale e orientamento sociale, strumenti indispensabili per consentire la piena partecipazione del soggetto alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale.[4]
L'art. 1, comma 2, del decreto stabilisce che le misure si applicano dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale, sancendo un principio di immediatezza che non ammette differimento. Tuttavia, l'assenza di un termine esplicito di conclusione del procedimento ha generato nel tempo interpretazioni divergenti, spesso legate alle prassi locali o alla capacità organizzativa degli enti preposti.
La L. 241/1990, art. 2, prevede un termine ordinario di trenta giorni per la conclusione dei procedimenti amministrativi, salvo diversa disposizione. La combinazione tra normativa nazionale e obblighi derivanti dalla Direttiva 2013/33/UE, che impone l'accesso tempestivo alle misure di accoglienza, attribuisce a tale termine un valore sostanziale, elevandolo a garanzia concreta dell'effettività del diritto. In questo senso, la tempestività non è solo un parametro procedurale, ma diventa presidio dell'effettività del diritto stesso, proteggendo soggetti in condizioni di particolare vulnerabilità.
Il TAR Piemonte ha chiarito che il procedimento di accesso alle misure di accoglienza non può essere assimilato ai procedimenti ordinari in materia di immigrazione, i quali, secondo il Consiglio di Stato, possono tollerare termini più lunghi, fino a 180 giorni, per motivi istruttori o organizzativi. La sentenza n. 5399/2022 del Consiglio di Stato, ad esempio, aveva affermato che la dilazione era giustificata dalla complessità delle pratiche di permesso di soggiorno e dalla necessità di assicurare valutazioni accurate.
Tuttavia, il TAR Piemonte distingue chiaramente la procedura di accesso alle misure di accoglienza, sottolineando che un termine così esteso sminuirebbe il valore stesso delle misure, che non sono prestazioni accessorie, ma strumenti di garanzia funzionali alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale e alla tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti.
Questa distinzione introduce una linea di frattura significativa nella giurisprudenza amministrativa. Da un lato, la giurisprudenza tradizionale privilegia la flessibilità dei termini, adattandoli alle esigenze istruttorie; dall'altro, il TAR Piemonte attribuisce alla tempestività un rilievo sostanziale, ponendola come condizione necessaria per assicurare l'effettività del diritto. La sentenza segna così un passo decisivo verso la definizione di un principio generale: i diritti fondamentali non tollerano dilazioni e non possono essere subordinati a logiche burocratiche.
Nel caso in esame, il ricorrente aveva presentato istanza di accesso alle misure di accoglienza presso la Prefettura di Torino senza ricevere alcuna risposta. Il TAR Piemonte, Sez. I, con sentenza n. 1361 del 2 ottobre 2025, ha stabilito un termine perentorio di trenta giorni per la pronuncia dell'Amministrazione e, in caso di ulteriore inerzia, ha previsto la possibilità di nominare un commissario ad acta, garantendo così l'effettività della tutela.[5]
La decisione va oltre la risoluzione del singolo contenzioso: ribadisce che la tempestività non è un'opzione procedurale, bensì un obbligo sostanziale quando il procedimento incide su diritti fondamentali. Il TAR qualifica il silenzio protratto come silenzio-inadempimento e collega esplicitamente la responsabilità dell'Amministrazione a strumenti di coercizione positiva e alla possibile responsabilità dei dirigenti, in linea con i principi di buon andamento e imparzialità sanciti dall'art. 97 Cost. e con l'art. 2-bis L. 241/1990.
La pronuncia si configura come precedente operativo, destinato a orientare l'azione amministrativa e la giurisprudenza futura. Ogni ritardo ingiustificato non è più tollerabile e può determinare interventi correttivi immediati. Contemporaneamente, offre ai richiedenti protezione internazionale un meccanismo concreto e vincolante di tutela, trasformando il diritto all'accoglienza in un diritto effettivo, immediatamente agibile e pienamente rispettoso della dignità e della sicurezza dei soggetti più vulnerabili.
In sintesi, la sentenza non chiarisce solo un termine: impone una postura amministrativa vincolante, trasformando il tempo in presidio di legalità, dignità e giustizia, e definendo un principio generale secondo cui l'inerzia dell'Amministrazione costituisce violazione sostanziale dei diritti fondamentali.
La pronuncia del TAR Piemonte non va letta in isolamento, ma inserita in un contesto europeo dove il principio di tempestività nell'accesso alle misure di accoglienza è considerato un requisito essenziale per garantire l'effettività dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale.
In Francia, il CESEDA (Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile)[6] prevede l'attivazione immediata delle misure di accoglienza dal momento della registrazione della domanda. Il legislatore francese pone particolare attenzione ai soggetti vulnerabili, come minorenni o vittime di traumi, garantendo non solo il vitto e l'alloggio, ma anche percorsi di accompagnamento sociale e sanitario entro tempi brevissimi. La prassi francese evidenzia che la tempestività non è un semplice adempimento formale, ma una condizione sostanziale per prevenire situazioni di grave disagio materiale e psicologico.
In Germania, l'Asylbewerberleistungsgesetz (Legge sulle prestazioni per richiedenti asilo) [7]stabilisce che le prestazioni materiali siano erogate entro pochi giorni dalla registrazione della domanda. La normativa tedesca introduce anche strumenti di monitoraggio a livello federale, riducendo le differenze tra i vari Länder e assicurando uniformità nell'accesso ai servizi. La rapidità è concepita come garanzia di effettività, perché qualsiasi ritardo può compromettere la dignità dei richiedenti e la possibilità di partecipare efficacemente alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale.
La Spagna, attraverso la Ley 12/2009, impone che le misure di accoglienza siano attivate entro trenta giorni,[8] con un sistema nazionale di monitoraggio delle Prefetture e degli enti locali. L'ordinamento spagnolo integra la tempestività con la responsabilità amministrativa, prevedendo sanzioni per ritardi ingiustificati e strumenti di intervento straordinario, come il commissariamento, analoghi a quelli adottati dal TAR Piemonte.
Dal confronto emerge una costante europea: la celerità procedimentale non è mai un elemento puramente tecnico o organizzativo, ma un vincolo sostanziale, direttamente correlato all'effettività dei diritti fondamentali. In Italia, il TAR Piemonte si allinea a questi standard, ma introduce un ulteriore livello di vincolatività: il termine di trenta giorni diventa prescrizione sostanziale, con possibilità di commissariamento ad acta in caso di inerzia. Tale approccio rafforza l'idea che la tutela dei richiedenti protezione internazionale richiede non solo diritti formali, ma anche strumenti concreti per la loro effettività, evitando che ritardi amministrativi compromettano la dignità e la sicurezza dei soggetti più vulnerabili.
In sintesi, l'analisi comparata mostra come le esperienze europee possano essere lette come linee guida normative: l'Italia si posiziona ora tra i paesi che non si limitano a stabilire tempi astratti, ma che vincolano concretamente l'Amministrazione al rispetto della tempistica come contenuto sostanziale del diritto.
Alla luce della pronuncia del TAR Piemonte, Sez. I, n. 1361/2025, appare ormai inderogabile l'introduzione di una disciplina normativa chiara e vincolante, capace di fissare termini certi per i procedimenti di accesso alle misure di accoglienza. In chiave riformativa, si propone l'inserimento di un comma aggiuntivo all'art. 2 della L. 241/1990, che stabilisca:
Proposta normativa "Nei procedimenti relativi all'accesso alle misure di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale, l'Amministrazione è tenuta a provvedere entro trenta giorni dalla presentazione della domanda. Decorso tale termine, il silenzio si considera inadempimento e il giudice amministrativo provvede alla nomina d'ufficio di un commissario ad acta."
Questa proposta non si limita a definire un termine procedurale, ma incide direttamente sull'effettività dei diritti fondamentali. Garantirebbe certezza del diritto, uniformerebbe le prassi amministrative su tutto il territorio nazionale e responsabilizzerebbe dirigenti e funzionari, sottolineando che la tempestività non è un optional, ma un elemento strutturale della tutela dei soggetti più vulnerabili.
La proposta si colloca in continuità con l'art. 2-bis della L. 241/1990, che già prevede la responsabilità per il mancato rispetto dei termini procedimentali, e si fonda sull'orientamento giurisprudenziale emergente e sulle posizioni dottrinali che riconoscono al tempo una funzione sostanziale nella tutela dei diritti fondamentali.
In termini giurisprudenziali, la norma offrirebbe un riferimento operativo chiaro ai tribunali amministrativi, riducendo interpretazioni divergenti e aumentando la prevedibilità delle decisioni. Inoltre, la proposta si inserisce coerentemente nel contesto europeo: seguendo le prassi di Francia (CESEDA, art. L.744-1), Germania (Asylbewerberleistungsgesetz, §3) e Spagna (Ley 12/2009, art. 18), l'Italia consoliderebbe l'idea che il tempo non sia solo un parametro organizzativo, ma un contenuto intrinseco del diritto stesso, indispensabile per garantire la dignità e la sicurezza dei richiedenti protezione internazionale.
In questo quadro, il tempo non è più una variabile neutra, ma un presidio di legalità, dignità e giustizia.
La sentenza del TAR Piemonte conferma con decisione che la tempestività non è un elemento accessorio dei procedimenti amministrativi, ma costituisce un contenuto essenziale del diritto all'accoglienza. Il tempo si trasforma in misura di tutela: l'inerzia dell'Amministrazione configura una vera e propria violazione dei diritti fondamentali.
La pronuncia stabilisce una postura inequivocabile: l'Amministrazione è obbligata a decidere, garantire e rispettare la dignità dei soggetti più vulnerabili. Il diritto amministrativo è così chiamato a riconoscere il tempo come strumento di effettività, prevedendo rimedi concreti, come il commissariamento ad acta, per assicurare il rispetto dei termini e la tutela sostanziale dei diritti.
In tal senso, la sentenza del TAR non si limita a fissare un termine procedimentale: ridefinisce la centralità della celerità come garanzia sostanziale dei diritti fondamentali, affermando che la tempestività è parte integrante della legalità, della dignità e della giustizia amministrativa.
[1] TAR Piemonte, Sez. I, sent. n. 1361 del 2 ottobre 2025, commentata da Melting Pot Europa il 9 ottobre 2025.
[2] G. D'Alberti, Il procedimento amministrativo tra forma e sostanza, Giuffrè, 2018, p. 45.
[3] M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, 2022
[4] Art. 97 Cost.; art. 41 Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.
[5] Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 5399 del 28 luglio 2022. La sentenza ha riconosciuto la legittimità di una dilazione fino a 180 giorni nei procedimenti di rilascio del permesso di soggiorno, in ragione della complessità istruttoria. Tale orientamento è stato superato dal TAR Piemonte in riferimento ai procedimenti incidenti su diritti fondamentali.
[6] CESEDA (Francia), art. L.744-1.
[7] Asylbewerberleistungsgesetz (Germania), §3
[8] Ley 12/2009 (Spagna), art. 18.