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Notizie Giuridiche

» Nomi e dignità: il confine tra informazione e rispetto
19/10/2025 - Alessandro Pagliuca

Negli ultimi anni, i media hanno assunto un ruolo centrale nel racconto della violenza di genere. Quotidianamente, giornali, telegiornali e testate online riportano casi di femminicidio, maltrattamenti, violenze domestiche e abusi, contribuendo in modo significativo alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica su un tema che, per troppo tempo, è rimasto sommerso.

Tuttavia, dietro ogni notizia si cela un equilibrio fragile tra diritto di cronaca e diritto alla dignità. Quando un giornalista decide di raccontare la storia di una donna vittima di violenza, la scelta di pubblicare il suo nome o la sua immagine non è mai un atto neutro: ha conseguenze giuridiche, morali e sociali profonde.

Il diritto di cronaca e i suoi limiti

Il diritto di cronaca è una manifestazione della libertà di stampa sancita dall'articolo 21 della Costituzione italiana. È il diritto di informare e di essere informati, un pilastro essenziale di ogni democrazia. Tuttavia, tale diritto non è assoluto: incontra limiti nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, tra cui l'onore, la reputazione, la riservatezza e la dignità umana.

La giurisprudenza costante della Corte di Cassazione individua tre condizioni per la liceità dell'esercizio del diritto di cronaca:

  1. Verità della notizia, anche putativa, purché frutto di un serio lavoro di verifica;

  2. Interesse pubblico alla conoscenza del fatto;

  3. Continenza espressiva, cioè l'obbligo di usare un linguaggio corretto e misurato, evitando toni sensazionalistici o lesivi.

Nel caso delle vittime di violenza, è il secondo e il terzo requisito — interesse pubblico e continenza — a richiedere particolare attenzione. L'interesse collettivo a conoscere un fatto di cronaca non implica il diritto di violare l'intimità di chi ha subito un danno, soprattutto quando la diffusione di informazioni personali non aggiunge nulla alla comprensione del fenomeno, ma serve solo ad alimentare la curiosità morbosa del pubblico.

La tutela normativa della riservatezza delle vittime

Il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003), integrato dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR), impone limiti chiari al trattamento dei dati che possono identificare le vittime di reati, in particolare quelli di natura sessuale o domestica.

L'art. 137 del Codice prevede che, anche per finalità giornalistiche, i dati debbano essere trattati nel rispetto dei principi di essenzialità dell'informazione e di proporzionalità. In altre parole, il giornalista deve pubblicare solo le informazioni strettamente necessarie per l'interesse pubblico della notizia, evitando ogni riferimento superfluo che possa rendere identificabile la persona offesa.

A ciò si aggiunge l'art. 8 del Codice deontologico dei giornalisti, che stabilisce testualmente:

"Il giornalista non deve pubblicare notizie o immagini di persone coinvolte in casi di violenza sessuale o di altri reati quando ciò possa portare alla loro identificazione, salvo che vi sia il consenso espresso della vittima o che sussista un rilevante interesse pubblico alla pubblicazione."

Questo principio trova applicazione anche nei casi di violenza domestica e di femminicidio, dove spesso la vittima non può più esprimere il proprio consenso, e spetta dunque alla sensibilità del giornalista e al dovere etico dell'editore evitare un'ulteriore violenza simbolica: quella della esposizione pubblica.

Dott. Alessandro Pagliuca

Avvocato abilitato all'esercizio della professione forense- DPO- Criminologo

alessandropagliuca12@gmail.com


[Fonte: www.studiocataldi.it]

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