La Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, con l'Ordinanza n. 26826 depositata in data 6 ottobre 2025, è intervenuta per dirimere un contrasto interpretativo in materia di responsabilità sanitaria e liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla perdita del frutto del concepimento.
La complessa vicenda giudiziaria che ha portato all'intervento della Suprema Corte di Cassazione è scaturita a seguito del decesso di una neonata, causato da negligenze mediche accertate.
La famiglia, a seguito del tragico evento, adiva il Tribunale di primo grado, il quale riconosceva il danno da perdita parentale e liquidava ai congiunti il quantum basandosi sul minimo tabellare. L'azienda ospedaliera e le compagnie assicurative intervenute nel processo di primo grado, facevano appello avverso la sentenza del Tribunale, dinanzi alla Corte d'Appello di Napoli, la quale, accoglieva il gravame delle parti convenute, dimezzando però in maniera drastica l'indennizzo.
Il fondamento della decisione di secondo grado risiedeva nella qualificazione del pregiudizio subito non come perdita di un congiunto con cui si è convissuto, bensì come lesione di una relazione affettiva non già concreta, ma soltanto potenziale. Sostenendo che la brevissima o inesistente durata della vita del bambino non permettesse di configurare un danno pieno, la Corte territoriale aveva ritenuto equo e congruo liquidare il risarcimento nella misura della metà dei valori minimi previsti dalle Tabelle di Milano. Questa impostazione, basata su un precedente giurisprudenziale di un feto nato morto ha costituito il principale motivo di ricorso in sede di legittimità.
La Suprema Corte, investita della questione, ha accolto le censure mosse dai ricorrenti, ribaltando la decisione di secondo grado. I Giudici di legittimità hanno innanzitutto precisato che la tesi riduttiva del danno è giuridicamente scorretta, in quanto omette di considerare che la perdita del concepito o del neonato, imputabile a colpa medica, costituisce a tutti gli effetti un danno da perdita del rapporto parentale nella sua accezione più vasta.
Il Collegio ha ribadito che il danno parentale, tutelato dall'art. 2 Cost. e dall'art. 8 CEDU (relativo al diritto alla protezione della vita privata e familiare), si manifesta sotto due duplici aspetti uno caratterizzato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale soggettivo) e l'altro dall'impatto che la perdita di un congiunto ha sulla dimensione dinamico – relazionale. Ebbene, entrambe le componenti, nel caso di specie, si sono realizzate pienamente con la perdita, indipendentemente dalla durata della vita del congiunto. Il trauma per la rottura di quel progetto di vita familiare non può essere liquidato come un minus risarcitorio basato su una mera assenza di convivenza fisica, poiché il rapporto parentale esiste e si sviluppa idealmente sin dall'inizio della gestazione.
In coerenza con l'affermazione della pienezza del danno, l'Ordinanza ha rigettato ogni forma di automatismo riduttivo in sede di liquidazione. La Corte ha ribadito l'obbligo, per il giudice di merito, di adottare i parametri di valutazione uniforme delle Tabelle di Milano, strumenti che garantiscono l'equità e la prevedibilità del risarcimento in linea con i principi costituzionali di uguaglianza.
La Corte ha inoltre specificato che, il Giudice, può discostarsi dai valori tabellari, ma solo in aumento o diminuzione e con una specifica, rigorosa motivazione, per adeguare il quantum alle circostanze specifiche del caso concreto.
In conclusione, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio, imponendo al giudice di merito di conformarsi al principio di diritto che assimila la perdita del frutto del concepimento, dovuta a colpa medica, alla lesione integrale del rapporto parentale, da risarcire senza applicare meccanismi di decurtazione forfettaria basati sulla durata della relazione affettiva.
Avv. Rosanna Pedullà
Studio legale Cataldi Network, Sede di Milano, Viale Premuda 16 20129 Milano
Per info e contatti network@studiocataldi.it
sito web: network.studiocataldi.it