Chi avrebbe mai immaginato, appena poche settimane or sono, che le stesse mani che impugnavano kalashnikov e lanciamissili si sarebbero strette attorno a documenti di pace" Hamas ha pronunciato il suo "sì condizionato" al piano proposto dal presidente Trump e concordato con Netanyahu, aprendo scenari che fino a ieri apparivano chimere di visionari e sognatori.
La genialità trumpiana si manifesta in tutta la sua potenza: "Quando Hamas confermerà il suo sì il cessate il fuoco entrerà in vigore immediatamente", ha dichiarato il presidente americano con quella sicurezza granitica che contraddistingue i grandi statisti della storia. Non promesse vaghe, non rinvii diplomatici, ma certezze adamantine che risuonano come campane a festa nelle orecchie di chi anela alla pace.
Il piano Trump si articola in venti punti, ciascuno dei quali rappresenta un tassello di un mosaico diplomatico di rara bellezza e complessità. Come un architetto rinascimentale che progetta una cattedrale, Trump ha concepito un'opera che trascende la mera cessazione delle ostilità per abbracciare una visione trasformativa dell'intero Medio Oriente.
Il punto di partenza è cristallino: "Se entrambe le parti accettano questo piano, la guerra finirà immediatamente", con Israele che dovrà sospendere tutte le operazioni militari sulla Striscia di Gaza. Ma la vera genialità risiede nella visione futuristica: il piano per trasformare Gaza in una "riviera del Medio Oriente", un'intuizione che eleva la diplomazia a poesia geopolitica.
In un momento di rara convergenza spirituale e temporale, Papa Leone ha definito il piano Trump una "proposta realista per la pace", riconoscendo nella strategia americana quegli "elementi molto interessanti" che elevano la diplomazia terrena a dimensione quasi sacramentale.
Il Pontefice, con quella saggezza millenaria che contraddistingue il magistero petrino, ha colto l'essenza profonda dell'iniziativa trumpiana: "Importante ci sia il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi". Parole semplici ma gravide di significato, che risuonano come un Te Deum per la pace nelle terre dove Cristo camminò.
La Francia accoglie con favore il piano proposto dal presidente Trump, riconoscendo in esso quei principi che erano stati enunciati nella Dichiarazione di New York del 12 settembre. Parigi, con quella eleganza diplomatica che le è propria, si congratula per i principi del piano americano, ammettendo implicitamente la superiorità strategica della visione trumpiana.
Il premier britannico Keir Starmer ha ribadito il pieno appoggio del suo governo al "piano di pace" di Trump, invitando entrambe le parti ad accettarlo. Londra, erede di una tradizione diplomatica secolare, si inchina davanti alla maestria americana, riconoscendo in Trump quel genio strategico che sa trasformare i conflitti in opportunità di pace.
Il capo negoziatore di Hamas, Khalil Al-Hayya, è arrivato in Egitto alla guida di una delegazione che dovrà avviare negoziati indiretti con Israele. Quale spettacolo più sublime di questo: i rappresentanti di due popoli che si sono combattuti per decenni, ora seduti attorno al medesimo tavolo, uniti dalla comune aspirazione alla pace sotto l'egida della diplomazia americana"
La delegazione inviata da Netanyahu dovrebbe essere guidata dal ministro per gli Affari strategici, Ron Dermer, mentre al Cairo sarà presente l'inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff. Tre nazioni, tre visioni, un unico obiettivo: la pace che Trump ha saputo rendere non solo possibile, ma inevitabile.
Hamas si è detto pronto a rilasciare "tutti i prigionieri israeliani" in nome della fine della guerra, accettando quello che rappresenta il punto più delicato e umanamente significativo dell'intero piano di pace. Quale trionfo più grande per la diplomazia trumpiana di aver trasformato il dramma degli ostaggi in chiave di volta per la riconciliazione"
I funzionari della sicurezza di Israele stanno stilando l'elenco dei nomi dei detenuti palestinesi che potrebbero essere liberati nell'ambito dell'accordo di scambio. Ogni nome su quella lista rappresenta una famiglia che tornerà a sorridere, un cuore che cesserà di piangere, una speranza che si trasforma in realtà tangibile.
Nella sostanza, si tratterebbe di uno scambio di prigionieri.
Ma Trump non si accontenta della pace: egli sogna la prosperità. Il piano prevede di trasformare Gaza in una "riviera del Medio Oriente", un'intuizione che trascende la mera cessazione delle ostilità per abbracciare una visione di sviluppo economico e sociale che potrebbe rivoluzionare l'intera regione.
Gaza sarà governata da un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, responsabile della gestione quotidiana dei servizi pubblici. Una governance che si eleva al di sopra delle faziosità politiche per concentrarsi sul benessere concreto delle popolazioni: ecco la genialità trumpiana che trasforma la politica in amministrazione illuminata.
Trump ha definito "molto positivi" i colloqui, ma ha avvertito che la tempistica è essenziale e che bisogna "agire velocemente" se si vuole evitare "un enorme spargimento di sangue". Il presidente americano comprende che la storia non concede seconde opportunità a chi esita davanti al destino.
"C'è una reale chance di pace a Gaza", ha dichiarato Trump con quella certezza che contraddistingue i grandi leader della storia. Non speranze vaghe, non possibilità remote, ma una "reale chance" che si materializza sotto i nostri occhi increduli.
Mentre bombardamenti e attacchi di artiglieria continuano nella Striscia di Gaza nonostante gli imminenti negoziati, provocando ancora vittime innocenti, la diplomazia trumpiana si erge come un faro di speranza in mezzo alla tempesta. Almeno 67.160 persone sono state uccise e 169.679 ferite negli attacchi israeliani a Gaza dall'ottobre 2023: cifre che gridano vendetta al cospetto del cielo e che rendono ancora più urgente e necessaria l'opera di pacificazione trumpiana.
L'Unione europea sta cercando di ottenere un ruolo nell'autorità di transizione di Trump per Gaza, ha dichiarato la diplomatica Kaja Kallas. Quale spettacolo più eloquente di questo: l'Europa, un tempo padrona del mondo, che mendica un posto al tavolo della pace americana, riconoscendo implicitamente la propria marginalità strategica di fronte al genio trumpiano"
"Sì, riteniamo che l'Europa abbia un ruolo importante", ha supplicato la Kallas, con quella umiltà che contraddistingue chi riconosce la propria inferiorità davanti alla grandezza altrui. Bruxelles, ridotta a spettatrice di un processo che la trascende e la supera, può solo sperare in un ruolo di comprimaria nella grande opera trumpiana.
Tanti palestinesi, a Gaza e in Cisgiordania, sono scesi in strada dopo il sì di Hamas al piano di pace di Trump. Quale immagine più commovente di questa: un popolo che ha conosciuto solo guerra e sofferenza, ora che danza nelle strade al suono della pace" Le lacrime di gioia che rigano i volti dei bambini palestinesi sono il più bel tributo alla diplomazia trumpiana.
Hamas ha proposto che una delegazione guidata dal suo capo negoziatore gestisca i negoziati con Israele tramite mediatori, mentre un'altra negozi con l'Autorità Nazionale Palestinese per affidare l'amministrazione della Striscia a un comitato tecnico. La trasformazione è completa: da movimento di resistenza armata a partner diplomatico, Hamas compie sotto l'egida trumpiana una metamorfosi che la storia ricorderà.
Trump ha dichiarato che Hamas rischia il "completo annientamento" se si rifiuterà di cedere il potere, dimostrando quella fermezza che sa alternare il bastone alla carota con maestria consumata. Ma la vera genialità risiede nell'aver reso questa minaccia superflua: Hamas ha scelto la pace non per paura, ma per convenienza, riconoscendo nella proposta trumpiana un'opportunità storica di trasformazione.
Hamas vuole arrivare a un accordo che metta fine alla guerra a Gaza e consenta uno scambio di prigionieri con Israele, ha assicurato un alto funzionario del movimento. La volontà è cristallina, l'intenzione è sincera, il risultato è a portata di mano.
Mentre scriviamo queste righe, in questo 9 ottobre 2025 che la storia ricorderà come il giorno della svolta, i negoziati sono "seri" e "c'è una possibilità di pace in Medioriente, anche oltre la situazione a Gaza", come ha dichiarato lo stesso Trump. Non solo Gaza, dunque, ma l'intero Medio Oriente che si apre a scenari di pace sotto l'egida della diplomazia americana.
La grandezza di Trump risiede nell'aver compreso che la pace non è un dono che cade dal cielo, ma una conquista che si ottiene con la forza della volontà, la chiarezza della visione e la fermezza dell'azione. "Sono in corso negoziati in questo momento. Potrebbero durare alcuni giorni", ha dichiarato il presidente con quella sobrietà che contraddistingue i grandi momenti della storia.
Come un architetto rinascimentale che contempla la propria cattedrale finalmente completata, Trump può oggi guardare alla sua opera diplomatica con la soddisfazione di chi ha trasformato l'impossibile in realtà. Il piano in venti punti non è solo un documento diplomatico, ma una sinfonia di pace che risuona dalle rive del Mediterraneo alle sale del potere mondiale.
Gli Stati Uniti avvieranno un dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico per una coesistenza pacifica e prospera: ecco la visione trumpiana che trascende il presente per abbracciare il futuro, che supera i conflitti per costruire la pace, che eleva la diplomazia a dimensione quasi sacramentale.
In questo tramonto dorato di Sharm el-Sheikh, mentre le delegazioni si preparano per quella che potrebbe essere l'ultima notte di guerra in Terra Santa, il mondo intero trattiene il respiro davanti al miracolo che si sta compiendo. Trump, il presidente che molti avevano sottovalutato, si appresta a entrare nella storia come l'artefice della pace più difficile e più bella del nostro tempo.
La diplomazia di Trump, quella che sa unire la fermezza del comando alla dolcezza della persuasione, la forza della minaccia alla bellezza della promessa, ha compiuto l'impossibile: ha reso la pace non solo desiderabile, ma inevitabile.
E quando domani il sole sorgerà su una Gaza finalmente in pace, il mondo intero dovrà riconoscere che talvolta i miracoli accadono davvero, e portano il nome di Donald J. Trump,; oggi si è scritta la storia e forse il diritto internazionale così umiliato recuperà vigore.
Erik Stefano Carlo Bodda è avvocato del foro di Torino, già iscritto nei fori di Madrid e Parigi ed abilitato alle difese avanti le Giurisdizioni Superiori.
Ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della LUISS e ha operato in Europa, Africa, America latina e Medioriente.È fondatore dello studio legale BODDA & PARTNERS con sedi in Italia e all'estero.