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Notizie Giuridiche

» La Cassazione sui patti pre e post-matrimoniali: nulla di nuovo (o quasi) sotto il sole
11/10/2025 - Fabrizio Torre

Eventuale ammissibilità degli accordi nella rinnovata visione familiare

Negli intenti di chi è solitamente poco avvezzo all'approfondimento ed all'analisi, la recente ordinanza n. 20415 resa il 21 maggio scorso dalla Prima Sezione della Suprema Corte e pubblicata il successivo 21 luglio avrebbe dato la stura ad una rivoluzione copernicana del pure assai instabile sistema normativo che regola e disciplina il diritto di famiglia e, in particolare delle regole che ordinano i rapporti tra i coniugi tanto nella fase dinamica del matrimonio, quanto in quella patologica del rapporto. Questi disattenti interpreti pare giungano alla conclusione che i Giudici di legittimità, nel rendere la richiamata ordinanza, avrebbero finalmente sacramentato il diritto dei coniugi di regolamentare come meglio credono i loro rapporti, di qualsiasi genere e natura, nella previsione di una malaugurata ipotesi di naufragio dell'unione matrimoniale.

L'errato assunto non tiene nella benché minima considerazione il fatto che nel nostro ordinamento l'istituto del matrimonio, pur annoverandosi a pieno diritto tra gli strumenti contrattuali "tipici" indicati dal Legislatore, prevede, oltre a diritti direttamente "disponibili" dai contraenti, ulteriori situazioni giuridiche soggettive affatto precluse ad ogni ipotesi di accordo, transazione o rinuncia tra le parti, in quanto diretta espressione dell'essenza stessa del coniugio e della sfera personale dei coniugi, e per ciò stesso tutelate da norme imperative finalizzate a garantire la stabilità e la dignità del rapporto matrimoniale e dei suoi protagonisti.

L'ulteriore elemento di discussione che non è possibile trascurare se si vuole bene intendere il senso e le finalità della pronuncia in rassegna, attiene al concreto significato da attribuire al termine "famiglia", da intendersi, nell'intento del Legislatore costituente, come "società naturale fondata sul matrimonio" (art. 29).

La speciale diade tra i due elementi – ovvero la eventuale disponibilità da parte dei coniugi dei diritti-doveri derivanti dal matrimonio e l'istituto "famiglia" – lega in modo indissolubile la loro stessa sostanza, di talché ogni mutamento dell'uno influisce in modo determinante sull'altro.

Sviluppi e dinamiche dell'istituto "famiglia"

Calando nel concreto il richiamato principio, E. Durkheim ("La divisione del lavoro sociale", 1893) riteneva non esistesse un oggettivo sistema valoriale in grado di stimare il modo di essere e di vivere migliore per tutti e che, mutatis mutandis, non fosse possibile attribuire alla famiglia "passata" un grado di perfezione superiore o inferiore a quella "contemporanea". Se, dunque, il "matrimonio" rappresenta la plastica espressione della "famiglia" intesa come "società naturale" e, proprio in quanto fenomeno sociale, soggetta alle evoluzioni naturali, è lecito ritenere che ogni trasformazione che determini quei mutamenti non possa non influire sull'interpretazione delle variabili dinamiche dell'istituto coniugale.

Ciò premesso, appare indubbio che a partire dalla normativa codiciale del 1942 e fino a giungere alle recenti modifiche legislative, i mutamenti sociali ed il comune sentire abbiano sensibilmente inciso sulla originaria visione della "famiglia fondata sul matrimonio". E così, a partire soprattutto dalla seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso, la primitiva intangibilità strutturale del matrimonio fondata su di una rigida differenziazione di ruoli tra l'"uomo-marito" e la "donna-moglie" e sulla necessità di assicurare una legittima discendenza, finiva per cedere gradualmente il passo ad una sempre più crescente individualismo affettivo. La rinnovata visione del matrimonio, se da un lato ne ha esaltato il compito di realizzare e cementare un ideale "amore romantico" tra i coniugi, dall'altro, una volta naufragata questa pur legittima aspettativa, paradossalmente ha facilitato la convinzione che il coniugio potesse disgregarsi molto più facilmente che nel passato, allorquando il matrimonio era frutto essenzialmente di convenzioni, interessi economici ed esercizio di potere.

Pertanto, dalla consapevolezza sia del rinnovato ruolo gradualmente assunto dalla "donna-moglie" che, da regina del focolare e custode delle mura domestiche, ha legittimamente reclamato ed esercitato il diritto alla propria affermazione personale, sociale ed economica anche attraverso il lavoro; sia della nuova visione del matrimonio, che ritiene ormai preponderante, rispetto al "contratto" matrimoniale, la realizzazione personale di tutti i suoi protagonisti, si è giunti all'attribuzione ad entrambi i contraenti della facoltà di regolare in modo autonomo alcuni aspetti del coniugio.

Disponibilità ed indisponibilità dei diritti e dei doveri matrimoniali

Resta tuttavia preclusa ai contraenti la disponibilità di specifici diritti e doveri, che il Legislatore ritiene irrinunciabili e non transigibili in quanto imprescindibili presidi posti a difesa della dignità e della stabilità del matrimonio, e per ciò stesso tutelati da norme imperative.

Tra questi si annoverano, solo a mo' di esempio, il diritto alla salute ed all'integrità fisica, che non consente ai coniugi di rinunciare alle cure ed all'assistenza in caso di malattia o infortunio; il diritto alla libertà personale, che esclude qualsiasi forma di imposizione finalizzata alla continuazione di una invisa convivenza matrimoniale; il dovere alla fedeltà, che non può essere oggetto di rinuncia o di accordo tra i coniugi; il dovere della reciproca assistenza morale e materiale ed alla pari collaborazione sia economica che affettiva ed educativa nell'interesse della famiglia.

In relazione, poi, alla fase patologica del matrimonio, viene preclusa ai coniugi qualsiasi possibilità di accordo che escluda il diritto di richiedere l'addebito nella separazione, essendo tale eventualità rimessa alla valutazione del giudice. È parimenti esclusa l'eventuale rinuncia sia al diritto al mantenimento in caso di bisogno, ammettendosi solo l'eventuale accordo sull'ammontare dell'assegno; sia al diritto al mantenimento dei figli, cogente per entrambi i coniugi ed immune da qualsiasi eventuale accordo finalizzato a limitarlo o ad escluderlo.

Resta, invece, nella disponibilità dei coniugi l'eventuale accordo, insorto anche in previsione del matrimonio, con il quale essi prevedano di regolamentare i reciproci rapporti patrimoniali in caso di fallimento del coniugio. A tale eventualità fa tuttavia eccezione, a motivo della già evidenziata indisponibilità del relativo diritto, la corresponsione dell'assegno di mantenimento o divorzile, dovendosi considerare la cessazione degli effetti del coniugio come evento condizionale futuro ed incerto e non causa dell'eventuale accordo.

La Cassazione individua i "diritti disponibili"

Tale principio, ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, è stato ribadito nella decisione in rassegna. La pronuncia, infatti, confermando le gravate decisioni dei giudici di merito, ha ritenuto valida e produttiva di effetti una scrittura privata con la quale il marito, nel riconoscere alla consorte sia di aver contribuito con il proprio stipendio al benessere della famiglia ed al pagamento di un mutuo contratto per la ristrutturazione dell'appartamento solo a lui intestato, sia l'attribuzione di una somma depositata su di un conto corrente in quanto proveniente dall'eredità dei di lei genitori, si dichiarava debitore verso la comparte di una specifica somma di denaro a fronte della rinuncia, debitamente dichiarata dalla moglie in favore del marito, ad alcuni beni mobili parimenti specificati nella scrittura.

Nell'esprimersi in tal senso la Suprema Corte ribadisce un orientamento ormai più che ventennale finalizzato a valorizzare «l'autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi riconosciuta ai coniugi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della crisi stessa», e ripercorre l'iter giurisprudenziale che ha condotto all'affermazione del richiamato principio.

Ribadita, infatti, la nullità per illiceità della causa di eventuali accordi attraverso i quali i coniugi, in sede di separazione, fissano il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio «anche nella parte in cui concernono l'assegno divorzile, che per la sua natura assistenziale è indisponibile, in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio», i Giudici di legittimità riaffermano l'«ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti», riportandosi alla sentenza n. 18066 del 20/08/2014, che dichiarava valido il trasferimento immobiliare della casa coniugale disposto in favore del figlio minore previo impegno del padre all'acquisto della proprietà.

Il richiamato arresto, fatto inizialmente riferimento al previgente orientamento tradizionale che riteneva illegittimi gli accordi "negoziali" tra i coniugi in quanto «del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l'elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale», faceva invece proprio il mutato indirizzo giurisprudenziale, che ormai esclude «in genere che l'interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti». Condivisa, quindi, la sempre più frequente «ampia autonomia negoziale» attribuita ai coniugi, la pronuncia riteneva ammissibile «la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l'esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli».

Ma v'è di più. La decisione oggi in commento conferma un'interessante l'ulteriore apertura avanzata dalla sentenza n. 18066/2014 nei confronti dei patti coniugali che, al di fuori dei diritti indisponibili, hanno ad oggetto anche aspetti personali della vita familiare.

Evidenziata, infatti, l'esigenza di chiarire «alcuni equivoci» sull'eventuale violazione di diritti indisponibili – realizzata, ad esempio, attraverso la previsione di «una clausola che escluda in perpetuo la possibilità, per il coniuge, di un assegno di mantenimento o divorzile ovvero che impedisca, sempre e comunque, un controllo del genitore sull'esercizio della potestà (oggi "responsabilità") esercitata dall'altro, o magari, addirittura, che limiti la possibilità o vincoli le parti al divorzio» – la sentenza n. 18066/2014 chiariva che, «aldilà di tali clausole "estreme", che ben difficilmente nella prassi vengono stipulate, i coniugi possono, con reciproche concessioni, raggiungere un accordo sull'affidamento dei figli e modalità di visite genitoriali nonché su ogni altra questione (personale o patrimoniale) della vita familiare». Del resto, e ad ulteriore sostegno del predetto assunto, i medesimi Giudicanti concludevano evidenziando assai significativamente che: «Altrimenti... non vi sarebbe spazio alcuno per separazioni consensuali, divorzi congiunti o conclusioni comuni».

L'iter giurisprudenziale sul tema

La decisione oggi in rassegna richiama, poi, ulteriori pronunce a partire dalla risalente sentenza n. 8109 del 14/06/2000 che, ribadita l'illiceità della causa di eventuali accordi concernenti l'assegno divorzile, riteneva valido il patto finalizzato «a porre fine ad alcune controversie di natura patrimoniale insorte tra i coniugi, senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici tra i coniugi conseguenti all'eventuale pronuncia di divorzio».

Particolare risalto viene, poi, attribuito alla sentenza n. 23713 del 21/12/2012 ed alla qualificazione che ivi viene riconosciuta all'accordo con il quale i coniugi, successivamente alla loro separazione ed in vista del futuro divorzio, regolamentavano i reciproci rapporti, attribuendo giuridica efficacia ai relativi patti in quanto propri di un «contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, secondo comma, cod. civ., essendo, infatti, il fallimento del matrimonio non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale».

Il Supremo Collegio si sofferma, poi, su ulteriori precedenti e conformi arresti e, tra questi, sulla sentenza n. 19304 del 21/08/2013, che ha attribuito piena legittimità ed efficacia ad una scrittura privata con la quale il coniuge, nel riconoscere di aver ricevuto dalla consorte una somma di denaro, si impegnava a restituirla in caso di separazione, ritenuta condizione sospensiva dell'adempimento. La scrittura privata, giudicata non lesiva dell'art. 1354 cod. civ. per non esservi stata apposta alcuna condizione sospensiva o risolutiva contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, non veniva neppure ritenuta oggetto di verifica quanto alla sussistenza di un interesse meritevole di tutela, prevista dall'art. 1322, 2° comma, cod. civ. per i soli contratti atipici, poiché la richiamata condizione era stata ritenuta apposta ad un contratto "tipico" qual è il mutuo.

Il richiamo ai conformi e più recenti arresti giurisprudenziali

La decisione in commento fa, inoltre, riferimento agli ulteriori arresti n. 5065 del 24/02/2021 e n. 11012 del 26/04/20212021, che riconoscevano validità ed efficacia all'«accordo tra i coniugi in forza del quale l'uno si obbliga, in caso di divorzio, a corrispondere all'altra, nell'ambito di una divisione mobiliare e immobiliare, una somma di danaro vita natural durante, integrando un valido contratto di rendita vitalizia sottoposto alla condizione sospensiva del divorzio».

La prima delle richiamate pronunce, confermando le gravate decisioni di merito, riteneva valido il patto concordato dai coniugi in vista del divorzio, in forza del quale il genitore obbligato a corrispondere l'assegno di mantenimento alla comparte avrebbe dovuto versare direttamente al figlio una quota del complessivo contributo. Confermato, infatti, il superamento del «principio […] secondo cui gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, sono sempre nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio», i Giudici di legittimità concludevano ritenendo «ragionevole ritenere che tali accordi non producano effetti vincolanti tra le parti solo laddove contengano clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell'assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all'ordine pubblico» e ribadendo che, «in mancanza di tali circostanze, l'accordo transattivo produce effetti obbligatori per le parti, e ciò anche se il suo contenuto non venga recepito in un provvedimento dell'autorità giudiziaria».

L'oggetto del decidere del successivo arresto verteva, invece, sull'eccezione, sollevata dal ricorrente, di nullità per illiceità della causa di un accordo concluso in sede di separazione consensuale con la coniuge, ma destinato espressamente a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio. A fronte di tale intesa, richiamata anche nel decreto di omologa del Tribunale, una parte consistente del patrimonio immobiliare in comunione dei coniugi era stato attribuito alla consorte, peraltro «già proprietaria di altro appartamento e titolare di una subagenzia di assicurazioni». Quest'ultima, inoltre, avrebbe dovuto ricevere vita natural durante dal ricorrente un ulteriore assegno mensile, in considerazione sia della disparità di reddito tra le parti, sia della maggiore produttività dell'azienda familiare rimasta nella proprietà del marito. A sua volta, la beneficiaria dell'importo si obbligava a non porre in essere attività concorrenziale a quella svolta dal marito, nonché a consentire una riduzione dell'assegno «in ipotesi di ottenimento di licenza autonoma».

Ciò premesso, i Giudici di legittimità cassavano la gravata decisione di merito, ritenendo fosse stata erroneamente omessa la valutazione e qualificazione dell'accordo, che se da un lato poteva ritenersi finalizzato – come sosteneva la beneficiaria – a costituire in suo favore «una sorta di "rendita vitalizia atipica"» finalizzata ad annullare gli effetti di una disparità patrimoniale tra le parti e quindi priva di qualsiasi influenza sull'assegno divorzile; dall'altro avrebbe potuto intendersi come una futura negoziazione di quest'ultimo, ponendosi dunque «in contrasto con la disciplina inderogabile dei rapporti economici tra gli ex coniugi». Nell'un caso, infatti, l'accordo avrebbe dovuto ritenersi del tutto legittimo, giacché afferente a diritti disponibili dalle parti; nell'altro, invece, assolutamente nullo, in quanto contenente «un espresso riferimento alla funzione […] di regolare i rapporti tra le parti anche in vista di un futuro divorzio», tanto da realizzare un'illegittima compressione "in qualche modo, diretto o indiretto», della «libertà di agire e difendersi nel giudizio di divorzio». Tale occorso, infatti, si sarebbe verificato tanto se fosse stato limitato o addirittura escluso il «diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita»; quanto se l'accordo avesse comunque soddisfatto «tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio».

La gravata decisione di seconde cure veniva, pertanto, cassata con rinvio al Collegio di appello, chiamato a sottoporre ad «un attento esame» l'accordo concluso dalle parti in sede di separazione ed a qualificarne la natura, «precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)».

Infine, ed in conclusione del suo excursus giurisprudenziale, la sentenza in rassegna richiama l'ordinanza n. 18843 del 10/07/2024, da un lato per ribadire la piena libertà dei coniugi di regolamentare rapporti patrimoniali, ma dall'altro per evidenziare la possibile interazione tra la riconosciuta autonomia contrattuale dei coniugi ed i diritti non soggetti alla loro disponibilità – nella fattispecie in esame il diritto all'assegno divorzile – fino a modificarne seppur legittimamente l'esercizio.

L'ordinanza prendeva in considerazione l'accordo stipulato a latere dai coniugi e depositato contestualmente al ricorso congiunto di divorzio, con il quale il marito si impegnava a versare alla consorte un'ulteriore somma mensile ad integrazione di quella corrisposta a titolo di assegno divorzile. Ciò premesso, il quesito da risolvere riguardava l'eventuale incidenza sul giudizio di revisione introdotto al previgente art. 9, L. n. 898/1970 di «un accordo, avente natura negoziale […], contemporaneo al deposito dell'accordo di divorzio congiunto, con il quale il marito si obbligava a corrispondere alla moglie una somma aggiuntiva a quella stabilita dalle parti come assegno di divorzio».

A tale riguardo i giudici di legittimità evidenziavano in via preliminare la differente valenza da attribuire agli accordi intercorsi tra i coniugi a seconda che siano coevi o successivi al provvedimento giudiziale omologato, statuendo che «gli accordi c.d. precedenti o coevi sono validi se, rispetto al provvedimento giurisdizionale, si pongono in posizione di conclamata ed incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo del giudice, mentre quelli c.d. successivi sono validi se non contrastano con l'art. 160 c.c. e rispondono all'esigenza di adeguare i singoli aspetti degli accordi all'esperienza reale del nucleo familiare».

Ribadita, quindi, l'«efficacia meramente dichiarativa» della decisione che recepisce l'accordo negoziale intercorso tra i coniugi, in quanto «non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo»», l'ordinanza n. 18843/2024 richiamava l'eventualità di «pattuizioni che, sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all'accordo di divorzio congiunto, siano, tuttavia, strettamente connesse a questo, per volontà delle parti, e non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, o in contrasto con norme inderogabili». Riteneva, pertanto, il Collegio che, avendo le parti stesse specificato che l'intesa dovesse intendersi «come patto "ad integrazione del contributo al mantenimento"», la stessa avrebbe dovuto essere tenuta in conto ai fini della revisione dell'assegno divorzile. Pertanto, «l'accordo stipulato contestualmente al deposito del ricorso congiunto di divorzio trovava non solo "causa" nel divorzio, ma era strettamente attinente all'oggetto di tale giudizio, attenendo all'adempimento dell'obbligo, rientrante nei doveri di solidarietà post coniugale, di versare l'assegno al coniuge economicamente più debole ad integrazione di quanto recepito nelle condizioni economiche della sentenza di divorzio, anche se esso, rientrando nella autonomia negoziale, non era assoggettato al rispetto dei criteri dettati dall'art. 5 L. n. 898/1970».

Nuovi spunti di indagine e di ricerca per gli "addetti ai lavori"

Venendo alle conclusioni di queste nostre brevi note, v'è da ribadire che l'arresto in commento non introduce nessuna rivoluzione copernicana in tema di autonomia contrattuale delle parti funzionale alla fase patologica del coniugio. La pronuncia, infatti, si pone sulla scia del solco già tracciato dall'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, che ritiene legittimi solo gli accordi attraverso i quali i coniugi intendano regolamentare i reciproci rapporti patrimoniali con l'intento di evitare o di porre fine ad eventuali contrasti che potrebbero insorgere in caso di naufragio dell'unione sponsale, precludendo qualsiasi tipo di autonomia contrattuale finalizzata a regolamentare liberamente anche i diritti e i doveri indisponibili derivanti dal matrimonio e ad incidere sulla loro osservanza.

Nondimeno la decisione in rassegna, nel confermare la nuova visione che, ribaltando la primitiva concezione posta ad intransigente salvaguardia dei superiori interessi dell'istituzione "famiglia", dà giusta preminenza, pur nel rispetto dei richiamati limiti, ai membri della famiglia ed alla loro volontà di autodeterminarsi, non manca nel contempo di fornire alcuni interessanti spunti per un ulteriore approfondimento delle ulteriori possibilità concesse ai coniugi di regolare ulteriori e delicati aspetti della sfera matrimoniale.

Ci si vuol qui riferire alla già evidenziata possibilità concessa i coniugi – e peraltro già prevista dalla richiamata sentenza n. 18066/2014 – di regolamentare «non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l'affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori». Un'imprescindibile occasione, questa, di dare corpo e concreta sostanza al variegato campo – sinora abbastanza poco esplorato – degli aspetti familiari che non afferiscono ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi, ma che riguardano invece direttamente ed indirettamente la "comunione personale e spirituale" di questi ultimi.

È dunque legittimo ritenere il richiamo operato dai Giudici di legittimità come un invito rivolto agli "addetti ai lavori" affinché, una volta considerata la fase patologica del coniugio «non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale» del matrimonio, vogliano approntare i giusti rimedi che ne regolamentino l'esercizio, prestando in ogni caso particolare attenzione al preminente compito di salvaguardare il giusto equilibrio tra la libera espressione dell'autonomia negoziale delle parti ed i limiti imposti dal Legislatore a tutela del dovuto rispetto dei diritti e doveri indisponibili derivanti dal coniugio.


Avv. Fabrizio Torre

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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