
Non c'è pace per i buoni postali fruttiferi, uno strumento di investimento che ha garantito all'amministrazione statale italiana un flusso costante ed ingentissimo di denaro ma che ha mostrato con il tempo moltissime magagne, che i cattivi pensatori attribuiscono in toto alla pretesa della stessa amministrazione di trattenere per sé anche quanto dovuto – o, almeno, promesso - ai sottoscrittori. Dopo la Serie P/Q ed i buoni cointestati a soggetto defunto, ora approdano in Cassazione i buoni postali fruttiferi ordinari trentennali, Serie Q, emessi a partire dal 21.09.86.
Si tratta dei buoni istituiti con D.M. 13.06.86, i cui rendimenti erano già quantificati in apposite tabelle allegate al DM, regolarmente pubblicate in G.U e riprodotte sul retro delle chartule. Dagli importi riportati nei prospetti, si deduceva che gli interessi maturavano dal primo al ventesimo anno in regime di capitalizzazione composta e, dal ventunesimo al trentesimo, di capitalizzazione semplice. Il D.M. non teneva conto della ritenuta fiscale in quanto introdotta solo qualche mese dopo, con DL 556/86, convertito in L. 759/86, e per i buoni da emettersi dal 21.09.86. I sottoscrittori di tale genere di buoni erano, dunque, a conoscenza (o avrebbero dovuto esserlo) che gli interessi, al momento della liquidazione del titolo, sarebbero stati ridotti dell'importo della ritenuta fiscale. Ciononostante, l'amministrazione postale, nella sua ultima veste di società per azioni, è riuscita, ancora una volta, a sorprendere gli investitori, gli operatori del settore e l'opinione pubblica in genere, quando ha liquidato i titoli effettuando il calcolo della capitalizzazione degli interessi maturati, per il primo ventennio, al netto della ritenuta fiscale, così corrispondendo al risparmiatore un importo inferiore a quello dovuto. Con tale computo, ad esempio, un buono Serie Q del valore di £. 1.000.000, sottoscritto in data 1° febbraio 1989, viene liquidato da Poste, alla scadenza del ventennio e, quindi, al 31.01.2009, con l'importo di €. 2.705,41. Effettuando la capitalizzazione degli interessi maturati al lordo della ritenuta fiscale, Poste avrebbe dovuto liquidare, alla stessa data, la maggior somma di €. 2.966,16. Da tale condotta, inamovibile, di Poste è nato un ulteriore filone di cause promosse dai sottoscrittori nei confronti dell'emittente/intermediario, per ottenere la differenza. Anche in tale caso, gli uffici giudiziari si sono divisi, giungendo a soluzioni antitetiche, una a favore del creditore e l'altra del debitore, addirittura deducendo, dalle medesime norme, due principi fiscali diametralmente opposti. La controversia è, dunque, approdata alla prima Sezione della Corte di Cassazione che, con ordinanza interlocutoria pubblicata in data 29 luglio 2025, ha ritenuto di rinviare a pubblica udienza stante il contrasto giurisprudenziale, l'assenza di precedenti di legittimità e la necessità di un provvedimento con efficacia nomofilattica in una questione dall'indubbio carattere di serialità.
Il panorama giurisprudenziale presenta, quindi, due orientamenti.
Il primo può essere rappresentato, per completezza, per spessore di argomentazioni, per esaustività di analisi, dalla sentenza del 28.04.23 n. 881 del Tribunale di Bergamo, estensore dott. Tommaso Del Giudice, le cui conclusioni erano già state anticipate dal medesimo Tribunale con la sentenza del 12.10.2020 n. 1390. La tesi prospettata dal Tribunale di Bergamo ha convinto molti uffici Giudiziari che si sono pronunciati in conformità.
Per comprendere i due diversi orientamenti, è opportuno esaminare la normativa che regola i rapporti tra i buoni postali e il fisco.
In principio, i rapporti furono di totale estraneità. Ed invero, se la prima parte dell'art. 26 del DPR 600/73 introduceva, per "le società ed altri enti che hanno emesso obbligazioni e titoli similari", l'obbligo di "operare una ritenuta del 12,5% sugli interessi, premi ed altri frutti corrisposti ai possessori", la seconda parte del medesimo articolo ne stabiliva l'esenzione in ordine ai buoni postali: "La ritenuta non deve essere operata sugli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari esenti da imposte sul reddito ai sensi del DPR 601/73". L'art. 31 del DPR 601/73, infatti, specificava: "Sono esenti dall'imposta sul reddito … gli interessi, i premi e gli altri frutti … dei buoni postali di risparmio".
Nel 1986, le cose cambiano. L'inflazione, fino a poco prima galoppante, inizia a calare e la finanza nazionale si rende conto che non può continuare a sottrarre i buoni postali all'imposizione fiscale. Il Governo decide, quindi, di assoggettarne gli interessi alla ritenuta e lo fa con la solita legislazione emergenziale. In data 20.09.86, entra in vigore il DL 556/86 (che sarà convertito in L. 759/86) che, all'art 1 comma 1, così dispone: "Agli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e degli altri titoli indicati all'art. 31 del DPR 601/73, emessi successivamente all'entrata in vigore del presente decreto (20.09.86), non si applica l'esenzione ivi prevista". Al comma 2, precisa che "Sugli interessi ed altri proventi deve essere operata una ritenuta ai sensi dell'art. 26 commi 1 e 4 del DPR 600/73… " e, quindi, "una ritenuta del 12,5% sugli interessi, premi ed altri frutti corrisposti ai possessori" (art. 26 comma 1) da applicarsi "a titolo di imposta" (art. 26 comma 4). Sempre al comma 2, si prevede che per i buoni emessi fino al 30 settembre 1987, la ritenuta sarà del 6,25%.
Dunque, dal 20.09.86 in poi, gli interessi dei buoni postali fruttiferi, che rientrano nella categoria delle obbligazioni ed altri titoli pubblici di cui all'art. 31 del DPR 601/73, saranno assoggettati a tassazione, secondo la modalità della ritenuta alla fonte, a titolo di imposta.
In merito, si precisa che gli interessi, anche quelli dei bpf, sono compresi nella categoria dei redditi di capitale, come previsto dall'art. 41 lett. d) del DPR n. 597/73, vigente al momento in cui entrava in vigore il DL 556/86: "Costituiscono reddito di capitale: .. d) gli interessi, premi ed altri redditi derivanti da obbligazioni e titoli similari …". Per essi, il successivo l'art. 42 dispone: "i redditi di capitale concorrono a formare il reddito complessivo per il periodo d'imposta in cui sono stati percepiti". Tali norme confluiranno nel TUIR, il DPR n. 917/86, che entrerà in vigore in data 01.01.88. All'art. 44, infatti, si legge: " Sono redditi di capitale: .. b) gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari …"; e, all'art. 45: "Il reddito di capitale è costituito dall'ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d'imposta, senza alcuna deduzione".
Successivamente, l'art. 2 comma 1 del D.Lgs n. 239/96 istituisce, in luogo della precedente ritenuta alla fonte, una imposta sostitutiva: "Sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,5% … gli interessi, ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari di cui all'art. 31 del DPR 601/73, … percepiti dai seguenti soggetti residenti nel territorio dello Stato: a) persone fisiche …". In particolare, il comma 3 specifica: "Per il buoni postali di risparmio, l'imposta sostitutiva è applicata dall'Ente Poste conformemente a quanto disposto dall'art. 5 comma 2 ("gli interessi, premi ed altri frutti, da chiunque percepiti alla scadenza delle cedole o del titolo, sono in ogni caso soggetti all'imposta sostitutiva a cura dell'intermediario che li eroga"). Con decreto … possono essere stabilite particolari modalità applicative della presente disciplina, anche agli effetti dell'art. 7". Il regolamento previsto da tale comma sarà adottato due anni dopo, tramite il D.M. 23.12.98 n. 511: "1. Per i buoni postali fruttiferi le disposizioni di cui al D.Lgs n. 239/96 si applicano con riferimento ai titoli emessi a partire dal 1° gennaio 1997. 2. Ai buoni postali fruttiferi emessi anteriormente al 1° gennaio 1997 si applica integralmente la previgente disciplina fiscale".
Considerato, quindi, che i buoni postali Serie Q di cui si occuperà la S.C. sono stati emessi dal 1986 al 31.10.96, ad essi si applicherà la disciplina fiscale prevista dal DPR n. 917/86, cd. TUIR, entrato in vigore in data 01.01.88.
Il primo orientamento, secondo cui gli interessi dei buoni postali per i primi venti anni vanno capitalizzati al lordo della ritenuta fiscale, muove i passi dall'esame delle regole generali fondamentali che sovrintendono alla determinazione ed alla tassazione dei redditi di capitale. Gli elementi che caratterizzano la base della disciplina fiscale applicabile, come sopra individuata, sono i seguenti:
tassazione alla fonte: le imposte vengono trattenute direttamente al momento del pagamento cosicché il beneficiario riceverà l'importo netto del proprio investimento;
principio di cassa: il reddito viene tassato al momento in cui viene percepito dal beneficiario;
determinazione su base lorda: le spese sostenute dal beneficiario per la produzione del reddito non sono deducibili.
Tali regole sono distintive, rectius, rappresentative della tassazione dei redditi di capitale, come evidenziato da ogni manuale ("… Più in dettaglio, i redditi da capitale sono tassati per cassa, al lordo delle spese e sottoposti all'aliquota sostitutiva del 26%, tranne i proventi derivanti da: - titoli di stato, risparmio postale e interessi dei project bond – 12,50%", in Dossier n. 5 XIX Legislatura "Elementi essenziali della tassazione in Italia" a cura di Servizio Studi Senato della Repubblica e Servizio Studi Dipartimento delle Finanze, pag. 33) e ribadito dalla S.C. ("Uno dei principi generali in materia di redditi di capitali è quello per cui sono tassati in base al principio di cassa, cioè nel periodo d'imposta in cui vengono percepiti, non rilevando il credito semplicemente maturato. Ciò che conta, dunque, è l'importo incassato …", Cass. 29.01.21 n. 2082).
Del resto, già sul piano testuale, il tenore letterale dell'art. 26 del DPR 600/73, degli artt. 44 e 45 del DPR n. 917/86, dell'art. 2 del DL 556/86 e dell'art. 2 comma 1 del D.Lgs n. 239/96, con il ripetuto uso dei vocaboli "corrisposti" e "percepiti", costituisce un significativo elemento di conferma dell'adozione, da parte del legislatore, del principio di cassa effettivo. E', infatti, evidente che le norme - che prevedono che il reddito di capitale sia costituito dall'ammontare degli interessi percepiti e che la ritenuta fiscale debba essere prelevata sui redditi corrisposti dai soggetti destinatari dell'obbligo - postulano necessariamente l'effettiva corresponsione di somme, cioè il concreto versamento di denaro.
Un tale significato è coerente anche con il superiore principio di effettività del tributo, corollario dell'art. 53 della Costituzione, per cui l'obbligo di corrispondere il tributo per il contribuente nasce con l'acquisizione, reale e non fittizia, del reddito al patrimonio.
Il Tribunale di Bergamo, e gli altri Uffici che aderiscono a tale interpretazione, concludono, quindi, che il momento impositivo dei buoni postali corrisponde all'atto della percezione del reddito, che avviene quando i titoli vengono liquidati a favore del richiedente sottoscrittore.
E' proprio in questo momento – si aggiunga a conforto della giurisprudenza sovra esposta - che si realizza la scadenza del buono postale. Ed invero, come si legge chiaramente nella Risoluzione n. 58 del 9.05.2000 del Ministero delle Finanze, la scadenza del buono non può essere individuata al momento dell'emissione bensì ex post, quando il possessore ne fa richiesta di rimborso: "Per detti titoli risulta impossibile definire la scadenza degli stessi all'atto della loro emissione … Non è possibile attribuire a questi titoli una scadenza in senso tecnico ossia un termine al quale differire la restituzione del capitale da parte dell'emittente. … l'individuazione della effettiva scadenza possa essere fatta solo ex post … al momento del rimborso del titolo". Sempre ivi, si legge che i buoni postali ordinari, come quelli della Serie Q, non hanno una scadenza predeterminata: semplicemente cessano di essere produttivi di interessi dopo trenta anni dall'emissione ed il sottoscrittore ha la facoltà di chiederne la liquidazione in ogni momento, sia durante il periodo fruttifero che durante quello infruttifero, fatti salvi gli effetti della prescrizione. Ed inoltre: "I buoni sono configurabili come "zero coupon bond" in quanto gli interessi che maturano sono esigibili solo all'atto del rimborso finale del capitale". Quindi, anche in virtù di questa particolare caratteristica del buoni postali, è solo al momento in cui il sottoscrittore utilizza la sua facoltà di richiederne la liquidazione che Poste può calcolare gli interessi nella percentuale e con le modalità previste nel DM di istituzione della relativa serie, interessi fino a quel momento neppure fittiziamente o contabilmente imputati, ed è solo in questo momento che, dal complessivo importo degli interessi da pagare, Poste deve operare il prelievo corrispondente all'importo della ritenuta. Il sistema della ritenuta, del resto, consiste proprio in questo: il debitore, designato quale sostituto, trattiene, dalle somme dovute al creditore, contribuente sostituito, l'importo necessario per il versamento dell'imposta. Il soggetto sostituto tenuto al versamento, infatti, non corrisponde all'Erario somme proprie ma somme del contribuente sostituito nel pagamento dell'imposta.
Ed allora, considerato che gli interessi effettivamente percepiti dai possessori alla scadenza dei buoni postali fruttiferi, scadenza che coincide con la richiesta di liquidazione dei buoni stessi, sono assoggettati ad una imposta che deve essere trattenuta e versata direttamente da Poste, è ancora più evidente che capitalizzare annualmente gli interessi di volta in volta maturati, al netto dei trattamenti tributari sovraesposti, anticipa il momento impositivo ad una fase non solo anteriore alla percezione effettiva degli importi da parte del risparmiatore ed alla corresponsione da parte del sostituto ma, addirittura, anteriore al calcolo ed alla imputazione contabile degli interessi. Una anticipazione che, secondo la giurisprudenza illustrata, determina l'illegittimità delle modalità di applicazione della ritenuta fiscale da parte di Poste.
Quanto alla posizione processuale assunta da Poste in tali giudizi, occorre sottolineare come essa si sia, finora, limitata ad affermare la bontà dei propri calcoli in maniera apodittica, senza conforto di alcun dato normativo, ad eccezione di un accenno ad un decreto ministeriale, il DM Ministero del Tesoro del 23.06.97. Ivi, all'art. 7, si legge: "… Per i buoni delle Serie ordinarie contraddistinte con la lettera Q, R e S emessi fino al 31 dicembre 1996 a favore di qualsiasi soggetto, gli interessi continueranno, per i primi venti anni di vita del titolo, ad essere capitalizzati annualmente al netto della ritenuta fiscale". Il decreto in oggetto è, in effetti, il primo, ed unico, provvedimento che fa un chiaro riferimento alla capitalizzazione degli interessi, disponendo che debba effettuarsi, per i primi venti anni di vita del titolo, al netto della ritenuta fiscale. Non è, tuttavia, sfuggito che una tale disposizione presupponga un principio di competenza che ribalta totalmente quello di cassa su cui è modellata l'intera normativa fiscale in ordine ai redditi di capitale. Il Tribunale di Bergamo ha individuato la soluzione della questione nel principio di gerarchia delle fonti del diritto, in forza del quale prevale quella di grado superiore avente forza maggiore, con conseguenziale disapplicazione del DM, provvedimento di rango secondario rispetto alle norme primarie confliggenti.
Il secondo orientamento ritiene, invece, che gli interessi dei buoni postali, per i primi venti anni, vadano capitalizzati al netto della ritenuta fiscale alla luce dell'art. 3 comma 2 DPR 602/73, richiamato dall'art. 1 comma 3 del DL 556/86.
Premesso che Poste non ha mai giustificato la capitalizzazione al netto della ritenuta in base al citato art. 3, la tesi sposata da tale orientamento può riassumersi come segue:
- l'art. 1 comma 3 del DL 556/86 prevede che le ritenute, se operate dall'amministrazione postale, sono riscosse ex art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73, del seguente tenore: "Sono riscosse mediante versamento diretto alle Sezioni di tesoreria provinciale dello Stato … d) le ritenute alla fonte applicabili sui redditi di cui all'art. 26 comma 1 del DPR 600/73 maturati nel periodo d'imposta ancorché non corrisposti, … f) le ritenute sui redditi di cui all'art. 26 comma 3 e 5 del DPR 600/73 maturati nel periodo d'imposta ancorché non corrisposti";
- la locuzione "redditi maturati nel periodo d'imposta ancorché non corrisposti" equivale "a prescindere dalla loro erogazione";
- la tassazione di tali redditi segue, pertanto, il principio di competenza e non di cassa, principio già previsto ed applicato al momento della stipulazione dei buoni;
- capitalizzare gli interessi al lordo avrebbe l'effetto di corrispondere ai beneficiari somme già versate dall'amministrazione postale in qualità di sostituto d'imposta.
La tesi sovraesposta non appare condivisibile sotto molteplici aspetti, alcuni dei quali già messi in luce dalla pronuncia del Tribunale di Bergamo più volte citata.
a) In primis, essa pone sullo stesso piano due corpus normativi dettati in ambiti diversi. Da una parte, la disciplina sostanziale dell'imposizione fiscale, rappresentata dal DPR n. 597/73 ("Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche"), e replicata, poi, negli artt. 44 e 45 del DPR n. 917/86 ("Testo Unico delle imposte sui redditi"), nonché dal DPR 600/73 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), dall'altra il DPR 602/73, denominato "Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito", applicativo dei principi generali sanciti nei citati DPR n. 597/73 e n. 917/86. Quindi, da una parte, una normativa che individua i redditi da tassare secondo il profilo del contribuente; dall'altra, una normativa che regola i rapporti tra il sostituto d'imposta e l'Erario, finalizzata esclusivamente alla "ottimizzazione dell'esazione tributaria" in quanto diretta alla categoria dei sostituti d'imposta, scelti tra soggetti la cui "contabilità controllata o facilmente controllabile" consente di "dedurre con certezza se e quali erogazioni siano state fatte a favore del soggetto primario del rapporto d'imposta" (Cass. 14.09.91 n. 9606).
Ne segue che la tesi risulta viziata già sul piano metodologico, laddove sovrappone le due normative e, perdipiù, fa valere – anzi, prevalere - la seconda nel campo, distinto e separato e con una diversa ratio, della prima.
b) In secondo luogo, l'interpretazione contrasta con il principio di cassa che informa l'intera normativa tributaria.
Affermare che l'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73 disponga la tassazione degli interessi maturati tout court e, quindi, sostituisca il principio di cassa, sui cui si fondano i DPR n. 597/73 e n. 600/73, con quello di competenza, significare attribuire allo stesso portata abrogativa rispetto ai citati DPR, precedentemente emanati. A sua volta, tuttavia, l'art. 3 dovrebbe ritenersi abrogato dalla integrale disciplina di cui al DPR del 22.12.86 n. 917, sempre improntata al principio di cassa, in quanto successivamente emessa. Dovrebbe, inoltre, ritenersi abrogato, sempre sotto il profilo strettamente temporale, anche il DL 556/86, datato 20.09.86, laddove fa riferimento all'art. 3 del DPR 602/73.
c) Ed allora, ribadita la necessità di leggere i due corpus normativi in maniera autonoma l'uno dall'altro, appare certo opportuno interpretare l'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73 in coerenza ed armonia con i principi generali che sovrintendono la materia, seguendo i dettami dell'art. 12 delle Preleggi.
Orbene, l'art. 1 comma 3 lett. b) del DL 556/86 prevede che le ritenute alla fonte sugli interessi dei buoni postali debbano essere versate da Poste ai sensi dell'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73. Il decreto, come già sottolineato, ha lo scopo di ottimizzare e semplificare l'esazione tributaria. Il suo contesto generale, così come quello specifico dell'art. 3, è ovviamente molto più ampio rispetto alla limitata prospettiva della questione di cui trattasi: - i soggetti obbligati al versamento della ritenuta di cui all'art. 3, infatti, non comprendono solo Poste ma banche e società commerciali anche estere, etc.; - i titoli, i cui proventi sono assoggettati a ritenuta, da riscuotersi ai sensi dell'art. 3, non comprendono solo buoni postali ma obbligazioni, pubbliche e private, anche cedibili, con o senza cedola, buoni emessi da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli, titoli di massa, etc..
Insomma, l'art. 3 e l'intero DPR 602/73 non si rivolge solo all'Amministrazione Postale, mero ramo di quella statale, ma ad una categoria di soggetti che, per quanto controllati e controllabili, possono comunque sfuggire al versamento delle ritenute, con evidente nocumento per le casse dello Stato.
Considerato questo quadro generale, occorre, poi, analizzare il significato della locuzione "redditi maturati nel periodo d'imposta ancorché non corrisposti", valorizzando, in particolare, il termine "ancorché", in quanto non certo utilizzato a caso dal legislatore. In primis, si osserva che la congiunzione "ancorché" non è sinonimo di "e" bensì introduce una frase subordinata di tipo concessivo, ossia indica una circostanza che si ammette pur essendo in contrasto (più o meno apparente) con la frase principale. Deve, quindi, ritenersi che, nel caso di specie, essa introduca due diversi ipotesi in cui il sostituto è obbligato a versare la ritenuta:
- nella prima ipotesi, ordinaria, l'obbligo sorge quando sorge il diritto del creditore a percepire il reddito maturato e lo stesso sostituto, nelle vesti di debitore, glielo abbia corrisposto nei modi e nei tempi previsti nel titolo;
- nella seconda ipotesi, residuale, il sostituto avrà lo stesso obbligo anche quando, malgrado il diritto del creditore a percepire il reddito maturato sia sorto, lo stesso sostituto, nelle vesti di debitore, non glielo abbia corrisposto.
Questa lettura non contrasta con il principio di cassa ma introduce una mera eccezione, da applicarsi solo nel caso in cui il sostituto si sottragga al pagamento degli interessi a favore del creditore, ed è in linea con la descritta ratio ispiratrice del DPR 602/73. L'imposizione, infatti, bene si colloca in un'ottica antielusiva che garantisce comunque l'introito all'Erario, ponendo l'obbligo di versare le ritenute alla fonte anche a carico del soggetto che si sia (più o meno illegittimamente) sottratto alla prestazione dovuta nei confronti del creditore.
Ciò premesso, calando l'enunciato principio nel caso di specie, ove il titolo è rappresentato da un buono postale con le sue peculiari caratteristiche, specie in ordine alla "scadenza", ne discende che: la richiesta di liquidazione del buono avanzata dal sottoscrittore fa nascere il suo diritto ad ottenere la prestazione di pagamento di capitale ed interessi da parte di Poste. Contemporaneamente, fa nascere l'obbligo di Poste di effettuare detto pagamento, dopo aver prelevato, dal complessivo importo degli interessi, l'importo della ritenuta che ha, pure, l'obbligo, nei riguardi dell'Erario, di versare. Tale ultimo obbligo in capo a Poste sussiste anche quando essa non adempia alla richiesta di liquidazione del buono da parte del beneficiario.
Ove necessario, una tale interpretazione trova valida conferma anche sotto il profilo fattuale, laddove si valorizzi a dovere un dato inequivoco, reale e concreto: Poste non ha mai accantonato e versato all'Erario la ritenuta fiscale sugli interessi maturati annualmente sui buoni. Poste non ha mai affermato di averlo fatto, né lo ha mai, incidentalmente, provato, né ha mai "giustificato" la capitalizzazione degli interessi al netto della ritenuta con la necessità del versamento della ritenuta stessa, né ha mai richiamato, espressamente o implicitamente, l'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73 e/o l'art. 1 comma 3 lett. b) del DL 556/86. Per Poste, insomma, la tesi sposata dal cennato orientamento è stata una novità assoluta.
Un obbligo del genere, del resto, sarebbe stato un vero suicidio economico per lo Stato: avrebbe vanificato in toto l'obiettivo di rastrellare denaro e trattenerlo il più a lungo possibile (non a caso i buoni erano trentennali), obiettivo da realizzarsi anche allettando il sottoscrittore tramite il meccanismo di maggiore premialità (più si ritarda la richiesta di restituzione, più interessi si percepiscono). Versare la ritenuta sugli interessi dei buoni solo in quanto emessi, seppure da parte di una amministrazione statale a favore di un'altra, avrebbe significato imporre un salasso alle finanze statali in quanto avrebbero comunque dovuto anticipare (e, cioè, tirare fuori dal nulla) il denaro necessario.
Non corrisponde, dunque, alla realtà quanto paventato dall'orientamento giurisprudenziale citato secondo cui la capitalizzazione al lordo della ritenuta "costringerebbe Poste a corrispondere ai beneficiari dei buoni somme che essa non può trattenere per sé ma deve versare in qualità di sostituto d'imposta in base alla normativa vigente". Le norme non impongono a Poste il versamento "precoce" della ritenuta e Poste non lo ha mai fatto.
L'interpretazione, inoltre, contrasta anche con lettura integrale dello stesso art. 1 comma 3 lett. b) del DL 556/86. Questo il testo completo: "Le ritenute di cui al comma 2, sono riscosse mediante versamento diretto ai sensi dell'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73 se operate da altri soggetti e dall'amministrazione postale. Le modalità di versamento delle ritenute da quest'ultima operate sono stabilite ai sensi dell'art. 8, terzo comma dello stesso decreto".
In esso, quindi, si prevede che l'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73 venga applicato ai soggetti emittenti obbligazioni ed altri titoli purché diversi da Poste, in quanto, per l'amministrazione postale, occorrerà far riferimento all'art. 8, comma 3 DPR 602/73, tra l'altro dettato per le ritenute sugli interessi di depositi e conto correnti, che così dispone: "Le ritenute operate dall'amministrazione postale ai sensi del secondo comma dell'art. 26 del DPR 600/73, sono versate in tesoreria secondo modalità da stabilire con decreto del Ministro per le Finanze di concerto con il Ministro del Tesoro". Il decreto non è mai stato emesso: non esiste alcun provvedimento ministeriale che, promanando espressamente dall'art. 1 comma 3 lett. b) del DL 556/86, disciplini il versamento delle ritenute sugli interessi da parte di Poste.
Quindi, l'art. 3 comma 2 lettere d) e f) del DPR 602/73, in relazione ai buoni postali, è solo un vuoto enunciato. Correttamente, dunque, Poste non ha mai affermato in giudizio di aver trattenuto e versato le ritenute sugli interessi, solo maturati, dei buoni, né ha mai affermato di avere un tale obbligo.
In estrema conclusione, l'orientamento giurisprudenziale che legittima la capitalizzazione degli interessi al netto della ritenuta non solo non risolve la questione ma ne solleva altre ancora più gravi che, purtroppo, nemmeno individua.
Lo stesso orientamento giurisprudenziale sostiene, in una alla presunta istituzione e arbitraria prevalenza di un principio di competenza, che il DM del 23.06.97 sia meramente attuativo di una norma primaria, con conseguente legittimazione del computo della capitalizzazione al netto del trattamento tributario.
Anche tale tesi non appare condivisibile.
Non può, infatti, ritenersi, come, ad esempio la Corte di Appello di Milano con sentenza del 27.06.24 n. 1914, che il DM del 23.06.97 promani dall'art. 2 comma 3 del D.Lgs 239/96, introduttivo dell'imposta sostitutiva, ove si demanda ad un successivo decreto ministeriale di stabilire "particolari modalità applicative della presente disciplina". In primo luogo, in quanto il regolamento cui si riferisce il citato art. 2 è realizzato dal DM 23.12.98 n. 511, che, perdipiù, riafferma il principio secondo cui l'imposta sostitutiva è applicata da Poste all'atto del pagamento degli interessi, come ivi espressamente riportato nel preambolo [1]. In secondo luogo, in quanto il richiamato D.Lgs 239/96 rimette ad un decreto l'adozione di "particolari modalità applicative" della disciplina dell'imposta sostitutiva e non già di sovvertirla.
Nemmeno può sostenersi che il citato DM promani dall'art. 173 del DPR n. 156/73, da cui mutuerebbe il rango primario: tale DPR, infatti, consente ai DM di disporre "le variazioni del saggio di interesse dei buoni" e non già di modificare la disciplina tributaria ad essi applicabile.
In conclusione, non esiste alcuna norma di rango primario né di rango secondario, che promani da una primaria, che affermi il principio di competenza per le ritenute sui redditi dei buoni postali e che ne imponga la capitalizzazione degli interessi al netto della ritenuta fiscale. Al contrario, il DM del 23.06.97 appare una disposizione sine titulo, meramente ricognitiva di una precedente "prassi contabile", suggerita dal termine "continueranno". La prevista continuazione, infatti, non trova fonte in alcuna disposizione precedente, di qualsiasi rango, tanto che nemmeno Poste si è azzardata ad individuarla.
Correttamente, dunque, molte pronunce hanno ritenuto di disapplicare tale DM.
Avv. Filomena Zaccardi
Via Casilina 200
03013 FERENTINO (FR)
avv.filomenazaccardi@gmail.com
[1] "… Visto l'art. 2 comma 3 del citato D.Lgs 239/96 il quale stabilisce che … con decreto del Ministro delle Finanze in concerto con il Ministro del Tesoro e con il Ministro delle Poste possono essere stabilite particolari modalità applicative della disciplina recata dal citato D.Lgs … adotta il seguente regolamento di attuazione dell'art. 2 comma 3 del D.Lgs 239/96 …".

