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Notizie Giuridiche

» La Cassazione sul calcolo del danno differenziale
08/10/2025 - Rosanna Pedullà


In materia di responsabilità medica, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15062 del 5 giugno 2025, ha affrontato nuovamente, il tema della quantificazione del danno biologico permanente in presenza di condizioni patologiche o invalidanti pregresse, ribadendo il principio del c.d. danno differenziale.

Il danno differenziale

Il danno differenziale rappresenta il maggiore pregiudizio alla salute direttamente imputabile all'inadempimento sanitario, che si somma all'esito patologico che si sarebbe comunque verificato anche in assenza di colpa medica.

Come chiarito anche da precedenti pronunce di legittimità (Cass., 19 marzo 2014, n. 6341; Cass. 11/11/2019, n. 28986; Cass. Sez, 6 n. 28327 del 20/09/2022), il danno differenziale va valutato monetizzando l'intera invalidità permanente residuata, sottraendo da essa la quota di invalidità che si sarebbe verificata anche in caso di trattamento conforme alle regole dell'arte.

In pratica, il calcolo da effettuare è il seguente:

valore monetario di invalidità totale – valore monetario di invalidità preesistente = danno differenziale

Questo approccio permette di quantificare il risarcimento in modo proporzionato, tenendo conto delle condizioni pregresse del paziente e dell'effettivo aggravamento imputabile all'evento illecito.

Ricorso in Cassazione

La Corte, con suddetta pronuncia, ha ribadito che in caso di aggravamento di una patologia preesistente, il danno biologico permanente, non può essere trattato come un danno autonomo, insorto su un soggetto sano, ma al contrario deve essere liquidato secondo i criteri del danno differenziale.

Nel caso di specie, il CTU aveva accertato un'invalidità totale del 60%, di cui il 50% derivante da una precedente invalidità dovuta da una patologia cardiaca, mentre il 10% derivante dall'aggravamento della patologia a seguito del mancato intervento tempestivo. Tuttavia, sia i Giudici di primo grado che la Corte d'Appello avevano liquidato il 10% come un danno autonomo.

La Cassazione ha invece corretto tale impostazione, chiarendo che il risarcimento non andava calcolato solo sul 10%, ma doveva essere il risultato della differenza tra il valore monetario di invalidità totale e il valore del 50% di invalidità preesistente.

La Suprema Corte ha inoltre affermato che, quando il consulente tecnico qualifichi espressamente il danno come "maggior danno" o "danno differenziale", il giudice non può ignorare questa qualificazione e liquidare l'invalidità come se fosse insorta su un soggetto sano. Sottolineando che una simile impostazione, non costituisce un mero errore di calcolo, ma un vero e proprio errore di diritto, il quale in mancanza di specifiche spiegazioni sul punto può determinare la nullità della sentenza per omessa pronuncia.

La decisione conferma dunque che, in materia di responsabilità sanitaria, il danno biologico permanente va sempre ricondotto al parametro differenziale, secondo criteri tabellari e con eventuale ricorso all'equità correttiva (ex. artt. 1223 e 1226), evitando liquidazioni automatiche e prive di una chiara motivazione.


Avv. Rosanna Pedullà

Studio legale Cataldi Network, Sede di Milano, Viale Premuda 16 20129 Milano

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[Fonte: www.studiocataldi.it]

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