Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha bocciato l'iniziativa, sottolineando che la decisione "risulta essere stata adottata senza alcuna preventiva interlocuzione con gli uffici" e paventando "rischi che attengono direttamente all'ordine e alla sicurezza delle carceri". La relazione ispettiva disposta dal DAP ha evidenziato due criticità principali: la mancata interlocuzione preventiva con gli uffici centrali e le possibili ricadute sull'ordine interno dell'istituto.
I sindacati di polizia penitenziaria hanno reagito con durezza. Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA, ha definito l'iniziativa come "l'ammissione di rapporti promiscui i cui effetti sono da arginare attraverso la distribuzione di profilattici", certificando "il fallimento complessivo del sistema carceri". Leo Beneduci dell'OSAPP ha parlato di "indignazione", rilevando che l'amministrazione favorirebbe "di fatto" pratiche sessuali "nell'ambito delle celle detentive", senza sottacere che "anche le violenze sessuali all'interno delle sezioni delle carceri sono in preoccupante aumento".
Il carcere pavese, con poco più di 700 detenuti a fronte di una capienza di 512 e 237 agenti rispetto ai 456 necessari, rappresenta un microcosmo delle criticità sistemiche del nostro sistema penitenziario: sovraffollamento, carenza di personale, tensioni interne.
L'ordinamento penitenziario italiano, come delineato dall'art. 1 della legge n. 354 del 1975, stabilisce che "il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona". Il comma 3 dello stesso articolo sancisce che "ad ogni persona privata della libertà sono garantiti i diritti fondamentali; è vietata ogni violenza fisica e morale in suo danno".
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10 del 2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18 dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina. Un approdo importante, seppur ancora incompiuto, al diritto all'intimità per le persone detenute.
La questione della sessualità in carcere, come evidenziato da diversi osservatori, è spesso ignorata nelle normative ufficiali. La possibilità di rapporti tra detenuti non è formalmente regolata, ma la realtà quotidiana impone al sistema penitenziario di confrontarsi con i rischi legati alle malattie sessualmente trasmissibili. Diversi studi segnalano che la prevalenza di infezioni come HIV e sifilide risulta più alta tra le persone detenute.
Chi scrive, avendo avuto modo di visitare e studiare sistemi penitenziari in diversi Stati europei ed extraeuropei, non può esimersi dal rilevare come l'Italia si collochi, ahimè, tra i Paesi con le peggiori condizioni carcerarie d'Europa.
I dati sono impietosi. Secondo il Garante per i detenuti, al 25 novembre 2024 il numero delle persone in carcere risultava di 62.410, su una capienza di 51.165 ma 46.771 posti effettivi, con un indice nazionale di sovraffollamento del 133,44%. Al 16 dicembre 2024, secondo Antigone, la popolazione detenuta aveva raggiunto le 62.153 unità, portando il tasso di sovraffollamento al 132,6%, con picchi critici in istituti come San Vittore a Milano (225%) e Brescia Canton Mombello (205%).
Il Consiglio d'Europa, nelle statistiche penali annuali sulla popolazione carceraria (Space I) per il 2024, ha rilevato che "il sovraffollamento carcerario rimane una sfida importante per un terzo delle amministrazioni penitenziarie in Europa". Nel complesso, in Europa, il numero di detenuti ogni 100 posti disponibili è aumentato da 93,5 a 94,9 tra il 31 gennaio 2023 e il 31 gennaio 2024. L'Italia figura tra i Paesi con le situazioni più gravi, insieme a Slovenia, Cipro e Francia.
Secondo il rapporto SPACE I 2021, l'Italia risultava ospitare 105,5 detenuti ogni 100 posti disponibili, confermandosi tra i dieci Stati membri del Consiglio d'Europa in condizioni di sovraffollamento.
Per contro, altri Paesi europei hanno intrapreso percorsi virtuosi. La Lituania, che cinque anni fa era il "leader" dell'UE per numero di detenuti (220 ogni 100.000 abitanti), ha ora 155 detenuti per 100.000 abitanti, al sesto posto nell'UE. La Spagna, secondo il Sole 24 Ore, ha un tasso di occupazione di 73,4 detenuti per 100 posti, 9,1 punti al di sotto della media europea.
Sul tema specifico della distribuzione di preservativi, l'esperienza internazionale offre spunti interessanti. Uno studio australiano condotto da Tony Butler ha messo a confronto la vita sessuale di detenuti in due diversi carceri: quello del Nuovo Galles del Sud (NSW), dove dal 1996 vengono distribuiti 30.000 preservativi al mese gratuitamente, e quello di Queensland, dove non esiste tale disposizione. La ricerca ha dimostrato che l'introduzione dei preservativi in prigione non provoca grandi sconvolgimenti negativi, smentendo i timori che potessero incoraggiare i rapporti sessuali, aumentare gli stupri o essere usati come arma.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affrontato il tema delle condizioni detentive e della tutela dei diritti fondamentali dei detenuti.
La Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 40043 del 2023, ha chiarito che il sistema normativo prevede due azioni autonome e complementari disciplinate dagli artt. 35-bis e 35-ter dell'Ordinamento Penitenziario, che consentono rispettivamente di ottenere la cessazione di una condizione detentiva contraria al senso di umanità mediante un intervento di tipo preventivo-inibitorio, e di conseguire un ristoro per la violazione già subita attraverso una tutela risarcitorio-compensativa.
La Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1663 del 2022, ha affermato che "la tutela della dignità umana costituisce obiettivo primario e ineludibile dell'intervento giurisdizionale nell'applicazione delle norme dell'ordinamento penitenziario". La Corte ha sottolineato che "l'obbligo di interruzione della detenzione non conforme all'art. 3 CEDU impone allo Stato di assicurare condizioni detentive compatibili con la dignità umana, modalità esecutive che non espongano a sofferenze eccessive e cure mediche adeguate".
Particolarmente rilevante è la Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 12362 del 2024, che ha distinto il diritto soggettivo del detenuto nel suo nucleo intangibile, meritevole di protezione, dalle mere modalità di esercizio dello stesso, che restano affidate alla discrezionalità dell'Amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne.
La Corte ha precisato che "solo la negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo, mentre le modalità di esplicazione non sono sindacabili in sede giudiziaria se non manifestamente irragionevoli o sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto stesso".
La vicenda pavese impone una riflessione serena e ponderata, lontana da facili moralismi e da strumentalizzazioni ideologiche. La domanda che dobbiamo porci è: la distribuzione di preservativi in carcere costituisce una piaga o una necessità?
Dal punto di vista sanitario, la risposta appare evidente. Come rilevato da diversi studi, la prevalenza di infezioni sessualmente trasmissibili è più alta tra le persone detenute rispetto alla media della popolazione. L'espressione "motivi terapeutici" utilizzata dalla direttrice Musso, pur non accompagnata da ulteriori spiegazioni ufficiali, può essere legata alla prevenzione di malattie come HIV, epatiti o sifilide.
Il diritto alla salute, costituzionalmente garantito dall'art. 32 Cost., non può essere compresso dalla condizione detentiva. L'art. 11 della legge 354/1975, come riformulato, ribadisce che i detenuti e gli internati hanno diritto a prestazioni sanitarie (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione) pari a quelle di tutti i cittadini.
Tuttavia, non possono essere sottovalutate le legittime preoccupazioni espresse dal DAP e dai sindacati di polizia penitenziaria. La gestione della sicurezza interna degli istituti, in un contesto di drammatico sovraffollamento e carenza di personale, richiede un coordinamento attento e una valutazione ponderata di ogni iniziativa che possa incidere sull'ordine e sulla disciplina.
Il nodo cruciale della vicenda pavese non risiede tanto nell'an (se distribuire o meno preservativi), quanto nel quomodo (come farlo). L'assenza di una preventiva interlocuzione con gli uffici centrali, la mancanza di un protocollo condiviso, l'assenza di linee guida chiare sulle modalità di distribuzione e sui destinatari hanno trasformato un'iniziativa potenzialmente meritoria in un caso di cattiva amministrazione.
Il sistema carcerario italiano è in emergenza. Lo dicono i numeri del sovraffollamento, lo testimoniano i suicidi in carcere (30 al 15 aprile 2024, uno ogni 3,5 giorni), lo confermano le condanne della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
A oltre dieci anni dalla sentenza Torreggiani, che condannò l'Italia per violazione dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani, le condizioni delle carceri italiane restano difficili, spesso drammatiche. Come rilevato da Antigone, oggi siamo ad oltre 4.000 condanne l'anno per violazione dell'art. 3 CEDU, più che ai tempi della sentenza Torreggiani.
Occorrono provvedimenti urgenti che portino a ridurre notevolmente il sovraffollamento e a migliorare la qualità della vita nelle carceri: l'aumento di giorni della liberazione anticipata speciale; la depenalizzazione di alcuni reati; la liberalizzazione delle telefonate; l'assunzione di personale sia di polizia che civile (educatori, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, mediatori culturali).
Sul tema specifico della sessualità in carcere, è necessario un intervento legislativo organico che, sulla scia della sentenza n. 10/2024 della Corte Costituzionale, regolamenti in modo chiaro e trasparente il diritto all'affettività e all'intimità dei detenuti, prevedendo anche misure di prevenzione sanitaria adeguate.
La distribuzione di preservativi, lungi dall'essere una "piaga", può costituire una necessità sanitaria in un contesto in cui la sessualità, pur non formalmente regolata, è una realtà con cui il sistema penitenziario deve confrontarsi. Tuttavia, tale distribuzione deve avvenire nell'ambito di un protocollo condiviso, con il coinvolgimento delle autorità sanitarie, del DAP e delle direzioni degli istituti, nel rispetto delle esigenze di sicurezza e ordine interno.
Il caso di Pavia ci consegna una lezione importante: non possiamo continuare a ignorare la realtà della vita sessuale in carcere, nascondendoci dietro un velo di ipocrisia.
Al contempo, non possiamo improvvisare soluzioni senza un'adeguata programmazione e senza il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali.
Il carcere deve essere luogo di rieducazione, non di annientamento della dignità umana. Come affermato dalla Cassazione, "l'ordinamento penitenziario italiano, ispirato a principi costituzionali fortemente radicati nella coscienza collettiva nazionale, sia tra i più avanzati tra quelli vigenti nella comunità internazionale". Tuttavia, tra i principi e la realtà vi è un abisso che deve essere colmato con urgenza.
L'Italia deve guardare all'Europa, imparare dalle esperienze virtuose, investire risorse umane ed economiche nel sistema penitenziario.
Solo così potremo trasformare le nostre carceri da luoghi di mera afflizione a luoghi di effettiva rieducazione, nel rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali di ogni persona, anche di chi ha commesso reati.
La vicenda della direttrice Musso, al di là delle responsabilità individuali che saranno accertate nelle sedi competenti, deve costituire uno stimolo per una riflessione collettiva sul sistema carcerario italiano e sulla necessità di una riforma organica che non può più essere rinviata.