
Con la decisione n. 76/2025, pubblicata il 7 settembre sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha affrontato il tema dei rapporti che l'avvocato può intrattenere con i testimoni e, in particolare, con la persona offesa dal reato.
Il CNF ha chiarito che l'avvocato non può intrattenersi con testimoni o persone informate sui fatti al fine di ottenere deposizioni compiacenti, poiché ciò violerebbe i principi di lealtà e correttezza professionale sanciti dal codice deontologico.
Il Consiglio ha tuttavia ribadito che rientra nei diritti della difesa il poter concordare con il proprio assistito la strategia processuale e, quindi, anche il contenuto delle dichiarazioni che quest'ultimo deve rendere agli inquirenti. Tale facoltà, però, trova un limite invalicabile quando l'avvocato interagisce con soggetti esterni al mandato difensivo, in particolare con la parte offesa chiamata a deporre come testimone.
La sentenza sottolinea che è indubbio il divieto per l'avvocato di intrattenersi con la parte offesa priva di difensore, la quale deve rendere testimonianza in merito al reato per il quale è indagato il suo assistito.
Con riferimento all'art. 55, comma 1, del Codice deontologico forense, è stato precisato che non è consentito concordare con la persona offesa una versione dei fatti compiacente, non veritiera o comunque diversa dalla realtà, poiché tale comportamento si tradurrebbe in un tentativo di sviare le indagini.
L'art. 55, comma 1, del Codice deontologico prevede che l'avvocato non deve sollecitare o indurre testimoni o terzi a rendere dichiarazioni non veritiere. Il CNF, richiamando questo principio, ha ritenuto che l'intervento del professionista volto a influenzare la persona offesa integri una violazione grave, in quanto mina l'integrità del processo e la funzione stessa della difesa tecnica.

