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Notizie Giuridiche

» Il riconoscimento della Palestina
25/09/2025 - Erik Stefano Carlo Bodda

L'ordine degli eventi che hanno cambiato il Medio Oriente

Il 22 settembre 2025 segna una data spartiacque nella storia del diritto internazionale contemporaneo: mentre l'Assemblea generale delle Nazioni Unite si appresta a ratificare il riconoscimento della Palestina da parte di 150 Stati membri, l'Italia continua a guardare dalle tribune di un teatro che ha ormai cambiato copione.

La decisione di Francia e Regno Unito di riconoscere lo Stato palestinese, annunciata rispettivamente il 24 luglio e il 29 luglio 2025, ha innescato un effetto domino che ha travolto le cancellerie europee.

Malta, Spagna, Belgio, Irlanda e Norvegia hanno seguito l'esempio, portando a 150 il numero degli Stati che riconoscono la Palestina.

Un numero che non è solo statistico, ma giuridicamente dirimente per la formazione del diritto internazionale consuetudinario.

La situazione attuale: 150 Stati e l'Italia che resta a guardare

Al 22 settembre 2025, la mappa del riconoscimento internazionale della Palestina presenta uno scenario che avrebbe dell'incredibile solo due mesi fa. Dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite, 150 riconoscono ora la Palestina come Stato sovrano.

Tra i 43 che ancora non l'hanno fatto, spiccano gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, il Giappone e, appunto, l'Italia.

La posizione italiana appare sempre più isolata non solo nel contesto internazionale, ma soprattutto in quello europeo. Dei 27 Stati membri dell'Unione Europea, solo 8 non riconoscono ancora la Palestina: Italia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Austria, Repubblica Ceca e Croazia. Un gruppo sempre più ristretto che rischia di trovarsi in una posizione di minoranza qualificata anche all'interno delle istituzioni comunitarie.

Il quadro costituzionale italiano: tra competenze statali e vincoli internazionali

L'art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di "politica estera e rapporti internazionali dello Stato", confermando che le decisioni relative al riconoscimento di Stati esteri rientrano nella sfera di competenza del Governo nazionale. Tuttavia, la stessa norma stabilisce che "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".

Questo doppio vincolo - costituzionale e internazionale - pone l'Italia di fronte a un dilemma giuridico di non poco conto. L'art. 10 della Costituzione stabilisce che "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", mentre l'art. 11 sancisce che "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" e "promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte" alla pace e alla giustizia.

La formazione del diritto internazionale consuetudinario: quando 150 Stati fanno la differenza

Dal punto di vista del diritto internazionale pubblico, il riconoscimento simultaneo di 150 Stati rappresenta un caso di scuola per comprendere come si forma il diritto internazionale consuetudinario. La teoria giuridica distingue tra teoria costitutiva e teoria dichiarativa del riconoscimento: la prima sostiene che il riconoscimento crea la soggettività internazionale, la seconda che si limita ad accertare una situazione preesistente.

Nel caso palestinese, la massa critica di 150 riconoscimenti - pari al 78% degli Stati membri dell'ONU - configura una prassi internazionale accompagnata dalla opinio iuris che potrebbe contribuire alla formazione di una norma consuetudinaria. Come ha chiarito la Cassazione civile, "la norma consuetudinaria di diritto internazionale generalmente riconosciuta, che impone agli Stati l'obbligo di astenersi dall'esercitare il potere giurisdizionale nei confronti degli stati stranieri per gli atti iure imperii, non ha carattere incondizionato, ma, quando venga in contrapposizione con il parallelo principio, formatosi nell'ordinamento internazionale, del primato assoluto dei valori fondamentali della libertà e dignità della persona umana, ne rimane conformata".

Le implicazioni per il riconoscimento delle sentenze straniere

Il sistema italiano di riconoscimento delle decisioni straniere, disciplinato dall'art. 64 della l. n. 218/1995, stabilisce che "la sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento" quando sussistono determinate condizioni, tra cui il rispetto dell'ordine pubblico.

Come ha precisato la Cassazione civile, "la verifica della compatibilità con i principi di ordine pubblico internazionale ai sensi dell'art. 64 della legge n. 218 del 1995 deve riguardare esclusivamente gli effetti che l'atto è destinato a produrre nell'ordinamento italiano e non anche la conformità alla legge interna di quella straniera posta a base della decisione".

Questo meccanismo potrebbe assumere rilevanza crescente nel caso di controversie coinvolgenti lo Stato palestinese riconosciuto da 150 Paesi, ma non dall'Italia. La Corte d'appello di Genova ha chiarito che "il riconoscimento è subordinato al rispetto dell'ordine pubblico internazionale di cui all'art. 64, lett. g) della Legge 218/1995, che deve essere verificato sia sotto il profilo sostanziale che processuale".

L'immunità statale e i crimini internazionali: lezioni dalla giurisprudenza italiana

La giurisprudenza italiana ha affrontato questioni complesse relative alla giurisdizione nei confronti di Stati esteri, particolarmente rilevanti nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Il tribunale di Firenze ha stabilito che "l'immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti iure imperii costituisce una prerogativa la cui operatività è preclusa nell'ordinamento italiano per i delicta imperii, ossia per quei crimini compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens".

Questo principio assume particolare rilevanza nel contesto palestinese, dove la tutela dei diritti umani rappresenta una questione centrale.

Come ha precisato il tribunale di Torino, "il diritto internazionale consuetudinario sancisce l'immunità di uno Stato dalla giurisdizione civile straniera in caso di acta iure imperii, ovvero di atti rappresentativi della potestà di imperio dello Stato estero", ma tale principio "non trova applicazione nei soli casi di acta iure imperii che si siano concretati in violazioni dei diritti umani fondamentali di gravità tale da costituire crimini internazionali".

La posizione italiana: tra realismo politico e isolamento giuridico

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha mantenuto una posizione di cautela, dichiarando che "bisogna costruirlo, però, lo Stato palestinese, bisogna costruire l'unità". Parole che rivelano come l'Italia stia valutando un possibile cambio di rotta, pur mantenendo la tradizionale prudenza che ha sempre caratterizzato la diplomazia italiana in Medio Oriente.

Tuttavia, questa posizione appare sempre più difficile da sostenere dal punto di vista giuridico. L'art. 11 Cost. impone all'Italia di "promuovere e favorire le organizzazioni internazionali" orientate alla pace e alla giustizia, suggerendo un approccio multilaterale alla risoluzione del conflitto.

Il paradosso temporale: riconoscere uno Stato che non esiste più

Ed è qui che emerge il paradosso più amaro di questa vicenda. Mentre 150 Stati si affrettano a riconoscere la Palestina, sul terreno rimangono solo macerie. Gaza è stata rasa al suolo, la Cisgiordania è frammentata da insediamenti e checkpoints, Gerusalemme Est è de facto annessa. Il riconoscimento giuridico arriva quando la realtà fisica dello Stato palestinese è stata sistematicamente demolita.

Come giurista e libero pensatore, non posso fare a meno di notare l'ironia tragica di questa situazione. Il diritto internazionale riconosce ciò che la forza ha distrutto. Le cancellerie celebrano la nascita di uno Stato mentre i bulldozer ne cancellano le fondamenta. È il trionfo del formalismo giuridico sulla sostanza politica, della teoria sulla realtà.

L'eredità kelseniana nell'era delle macerie

Tornando al pensiero di Hans Kelsen, la questione del riconoscimento della Palestina ci pone di fronte al problema fondamentale della validità dell'ordinamento giuridico internazionale. Secondo la teoria pura del diritto kelseniana, la validità di una norma deriva dalla sua conformità alla norma superiore, in una gerarchia che culmina nella Grundnorm.

Ma cosa accade quando la Grundnorm del diritto internazionale - la sovranità statale - si scontra con la realtà della forza"

Il riconoscimento di 150 Stati crea una norma consuetudinaria che riconosce l'esistenza di uno Stato palestinese che, nei fatti, è stato cancellato dalla mappa. È il diritto che si ribella alla realtà, o la realtà che rende il diritto una finzione"

De iure condendo: verso un nuovo ordine giuridico internazionale?

Dal punto di vista prospettico, il riconoscimento della Palestina da parte di 150 Stati potrebbe rappresentare un precedente per situazioni analoghe. Cosa accadrebbe se domani 150 Stati riconoscessero l'indipendenza del Tibet, del Kurdistan, della Catalogna" Il diritto internazionale si troverebbe di fronte a una rivoluzione copernicana: non più il riconoscimento che segue la realtà, ma la realtà che deve adeguarsi al riconoscimento.

Per l'Italia, la sfida è duplice: da un lato, non rimanere isolata in un contesto internazionale che si sta rapidamente orientando verso il riconoscimento; dall'altro, non partecipare a quella che potrebbe essere percepita come una finzione giuridica priva di sostanza.

Il controllo giurisdizionale e l'ordine pubblico internazionale

La Cassazione civile ha chiarito che "in materia di riconoscimento ed esecuzione di sentenze straniere ai sensi degli artt. 64 e 67 della legge n. 218/1995, il giudice italiano deve limitarsi ad un controllo estrinseco dell'atto, verificando il contenuto precettivo della statuizione senza alcuna valutazione nel merito della decisione adottata".

Questo principio assume particolare rilevanza nel caso di sentenze provenienti da tribunali palestinesi eventualmente riconosciuti da 150 Stati ma non dall'Italia. Come ha precisato la Corte d'appello di Catanzaro, "la compatibilità con l'ordine pubblico richiesta dagli artt. 64 e seguenti deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle convenzioni internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti".

Riflessioni filosofico-giuridiche: quando il diritto diventa letteratura

Mi trovo di fronte a un paradosso che trascende il diritto per entrare nel regno della filosofia politica. Il riconoscimento della Palestina da parte di 150 Stati mentre Gaza giace in macerie è l'epitome della scissione tra essere e dover essere, tra Sein e Sollen, per usare la terminologia kelseniana.

Il diritto internazionale, in questo caso, non descrive la realtà ma la prescrive. Non riconosce ciò che esiste, ma afferma ciò che dovrebbe esistere. È un atto di fede giuridica, una scommessa sul futuro, un'utopia normativa che si scontra con la distopia della realtà.

L'Italia e il dilemma della scelta

Per l'Italia, il dilemma è esistenziale prima che giuridico. Riconoscere la Palestina significherebbe aderire a una finzione giuridica condivisa da 150 Stati, ma priva di sostanza territoriale altro che verso la costituzione di due Stati.

Non riconoscerla significherebbe rimanere ancorati a una realtà che nega il diritto all'autodeterminazione di un popolo,.

L'art. 10 Cost. ci impone di conformarci "alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute". Ma quando 150 Stati su 193 riconoscono uno Stato, quella norma può considerarsi "generalmente riconosciuta"" E se sì, l'Italia può continuare a sottrarsi a questo riconoscimento senza violare la propria Costituzione"

Il riconoscimento tardivo di uno Stato fantasma

Arriviamo così alle conclusioni di questa analisi, che non possono essere che amare. Il riconoscimento della Palestina da parte di 150 Stati arriva quando la Palestina, come entità territoriale coerente, non esiste più. È il riconoscimento tardivo di uno Stato fantasma, l'epitaffio giuridico di una nazione cancellata dalla mappa.

L'Italia, rimanendo fuori da questo coro di riconoscimenti, si trova nella paradossale situazione di essere più realista del re: riconosce implicitamente che non si può riconoscere ciò che non esiste.

Ma questo realismo rischia di trasformarsi in complicità con chi ha reso impossibile l'esistenza di quello Stato.

La lezione kelseniana ci ricorda che il diritto è uno strumento per l'organizzazione sociale e la risoluzione pacifica dei conflitti.

Ma quando il diritto arriva dopo che i conflitti hanno già distrutto ciò che doveva essere organizzato, diventa un esercizio di stile, una consolazione per le coscienze, un alibi per l'inazione.

Il 22 settembre 2025 passerà alla storia come il giorno in cui 150 Stati hanno riconosciuto uno Stato che non c'è più!

E l'Italia, per una volta, ha scelto di guardare la realtà invece che le carte geografiche.

Non so se sia una scelta giusta o sbagliata. So solo che è una scelta tragica, come tutte le scelte che la storia ci impone quando è ormai troppo tardi per scegliere davvero.



Avv. Erik Stefano Carlo Bodda è iscritto al Foro di Torino e specializzato in diritto internazionale e costituzionale. Libero pensatore e critico del formalismo giuridico, ha pubblicato articoli e studi sui rapporti tra diritto e realtà politica.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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