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Notizie Giuridiche

» Unioni civili come il matrimonio: la Cassazione dice sì all'assegno di mantenimento
26/09/2025 - Erik Stefano Carlo Bodda

Una svolta per l'uguaglianza dei diritti

La giurisprudenza italiana ha compiuto un passo decisivo verso la piena equiparazione delle unioni civili al matrimonio tradizionale, sancendo un principio che molti considerano rivoluzionario: anche dopo lo scioglimento di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, è possibile ottenere un assegno di mantenimento secondo le stesse regole previste per il divorzio.
La recente Ordinanza della Cassazione rappresenta una pietra miliare nell'evoluzione del diritto di famiglia italiano, destinata a ridefinire i contorni della tutela giuridica delle coppie omosessuali.
La vicenda che ha portato all'attenzione dei Supremi giudici riguarda proprio la fine del rapporto tra due donne del Friuli Venezia Giulia, che avevano siglato l'unione tra loro nel 2016, un caso che ha permesso alla Corte di chiarire definitivamente i criteri applicabili quando si tratta di sciogliere un'unione civile e di stabilire eventuali obblighi economici tra gli ex partner.

Il quadro normativo: dalla legge Cirinnà all'interpretazione giurisprudenziale

Per comprendere appieno la portata di questa decisione, occorre partire dal fondamento legislativo rappresentato dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, meglio nota come legge Cirinnà, che ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Il comma 25 dell'articolo 1 di tale legge stabilisce che allo scioglimento delle unioni civili si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge sul divorzio n. 898 del 1970, incluso il cruciale articolo 5 che disciplina l'assegno divorzile.
La norma di riferimento per l'assegno di mantenimento post-divorzio è contenuta nel sesto comma dell'articolo 5 della legge 898/1970, che prevede la possibilità per il tribunale di disporre "l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".
Il legislatore ha voluto che questa disciplina si applicasse anche alle unioni civili, ma la questione interpretativa che si è posta riguardava i criteri di valutazione della durata del rapporto, elemento fondamentale per la determinazione dell'assegno.
La questione della durata: convivenza di fatto e unione civile Il nodo centrale della controversia risiedeva in una questione apparentemente tecnica ma dalle implicazioni profondissime: nel calcolare la durata del rapporto ai fini dell'assegno di mantenimento, deve essere considerato soltanto il periodo di formalizzazione dell'unione civile oppure anche quello della precedente convivenza di fatto"
Le Sezioni Unite hanno fornito una risposta inequivocabile, stabilendo che "la durata del rapporto deve essere valutata considerando anche il periodo di convivenza di fatto che ha preceduto la formalizzazione dell'unione, anche se antecedente all'entrata in vigore della legge n. 76/2016".
Questa interpretazione si fonda su una visione sostanzialista del diritto di famiglia, che guarda alla realtà effettiva dei rapporti piuttosto che alle mere formalità giuridiche. La Corte ha motivato questa scelta interpretativa richiamando "la natura composita della realtà sociale e la pari dignità dei diversi modelli familiari costituzionalmente tutelati", nonché "la necessità di non discriminare le coppie omosessuali che, prima della legge n. 76/2016, non potevano accedere ad alcuna forma di unione legalmente riconosciuta".
Si tratta di un ragionamento che evidenzia la sensibilità della giurisprudenza di legittimità verso le peculiarità storiche e sociali delle coppie same-sex, costrette per decenni a vivere ai margini del riconoscimento giuridico.
L'approccio sostanzialista della Cassazione Particolarmente significativa è l'argomentazione con cui la Suprema Corte ha giustificato questa interpretazione estensiva. Secondo i giudici, "la convivenza che sfocia nell'unione civile non può essere equiparata ad una mera convivenza di fatto, in quanto partecipa retrospettivamente della natura del vincolo che l'ha seguita, testimoniando la volontà delle parti di dare continuità alla vita familiare pregressa".
Questa formulazione rivela un approccio giurisprudenziale innovativo, che riconosce alla convivenza precedente all'unione civile una sorta di "dignità retroattiva", derivante dalla successiva formalizzazione del rapporto. È come se l'atto di costituzione dell'unione civile gettasse una luce nuova sul passato della coppia, conferendo rilevanza giuridica anche ai periodi precedenti la
formalizzazione.
La Corte ha inoltre precisato che, ai fini dell'assegno, "devono essere considerate le scelte di vita e le rinunce compiute durante la convivenza in funzione del rapporto, come il trasferimento della residenza o le dimissioni dal lavoro, in quanto idonee ad incidere sulla
situazione economico-patrimoniale delle parti anche dopo lo scioglimento dell'unione".
Questo passaggio è cruciale perché riconosce che le dinamiche economiche e patrimoniali di una coppia non iniziano con la formalizzazione giuridica del rapporto, ma si sviluppano nel corso dell'intera relazione affettiva.

I criteri per l'assegno: tra assistenza e compensazione

L'evoluzione giurisprudenziale in materia di assegno divorzile ha attraversato diverse fasi, e la recente ordinanza della Cassazione n. 24930 del 17 settembre 2024 ha chiarito che anche per le unioni civili l'assegno deve avere "una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa".
Questo significa che il giudice deve valutare non solo lo stato di bisogno del richiedente, ma anche il contributo fornito alla vita comune e la necessità di riequilibrare le posizioni economiche delle parti.
I criteri di valutazione sono quelli consolidati dalla giurisprudenza di legittimità: "l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex partner istante e dell'impossibilità oggettiva di procurarseli", da condurre "attraverso una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, considerando il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno, in relazione alla durata dell'unione ed all'età dell'avente diritto".
Le implicazioni pratiche: un caso concreto La concreta applicazione di questi principi emerge chiaramente dalla stessa ordinanza del 2024, che ha esaminato il caso di due donne la cui unione civile era stata sciolta.
Il Tribunale di Pisa aveva inizialmente riconosciuto un assegno di 100 euro mensili, ma la Corte d'Appello di Firenze aveva successivamente revocato tale obbligo, ritenendo che "la sostanziale e quasi totale assenza di redditi di entrambe le parti, unitamente alla presenza di debiti contratti durante l'unione civile a carico del soggetto obbligato, non consente di porre obblighi di sostegno economico a suo carico, non potendosi configurare come 'soggetto economicamente più forte'".
Questo caso evidenzia come la valutazione dell'assegno richieda sempre un'analisi concreta e comparativa delle condizioni economiche delle parti, non potendo prescindere dalla reale capacità contributiva del soggetto onerato. La Cassazione ha confermato questo orientamento, precisando che "non sono decisive, ai fini della concessione dell'assegno, le vicende familiari precedenti all'unione civile né la mera deduzione di una condizione di invalidità in assenza di prova dell'inabilità al lavoro".

Il confronto con la separazione: differenze sostanziali

È importante sottolineare come l'assegno previsto per lo scioglimento delle unioni civili si differenzi nettamente da quello stabilito in caso di separazione tra coniugi.
Come chiarito dalla recente ordinanza n. 30119 del 22 novembre 2024, "l'assegno di mantenimento previsto dall'art. 156 c.c. si fonda su presupposti e criteri diversi rispetto all'assegno divorzile, in quanto la separazione, a differenza dello scioglimento del matrimonio, non fa venir meno il vincolo coniugale e i doveri che ne derivano".
Mentre nell'assegno di separazione il parametro di riferimento è "il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio", permanendo "il dovere di assistenza materiale tra i coniugi", nell'assegno divorzile (e quindi anche in quello per lo scioglimento delle unioni civili) la logica è diversa, orientata verso criteri di autoresponsabilità economica temperati da esigenze assistenziali e compensative.

La tutela costituzionale e convenzionale

La decisione delle Sezioni Unite si inserisce in un quadro più ampio di tutela costituzionale e convenzionale dei diritti delle coppie omosessuali. La Corte ha infatti richiamato "gli obblighi positivi derivanti dall'art. 8 CEDU sul rispetto della vita familiare e la giurisprudenza della Corte EDU che riconosce tutela anche ai legami familiari di fatto tra persone dello stesso sesso".
Questo riferimento alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo evidenzia come la questione non sia meramente tecnico-giuridica, ma tocchi profili fondamentali di tutela dei diritti umani. La Corte Europea di Strasburgo ha infatti progressivamente riconosciuto che anche le coppie omosessuali hanno diritto al rispetto della loro vita familiare, e questa giurisprudenza ha influenzato l'interpretazione della Cassazione italiana.
L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità L'orientamento espresso dalle Sezioni Unite rappresenta il punto di arrivo di un'evoluzione giurisprudenziale che ha visto la Cassazione sempre più attenta alle esigenze di tutela delle coppie omosessuali.
Già in passato, la giurisprudenza di legittimità aveva mostrato aperture significative, ma la sentenza del 2023 segna un salto qualitativo nell'approccio interpretativo. La Corte ha infatti adottato un metodo ermeneutico che privilegia la sostanza sulla forma, guardando alla realtà effettiva dei rapporti piuttosto che alle categorie giuridiche formali. Questo approccio è particolarmente evidente nella considerazione della convivenza precedente all'unione civile, che viene valorizzata non per se stessa, ma in quanto "testimonianza della volontà delle parti di dare continuità alla vita familiare pregressa".
Le prospettive future: verso una piena equiparazione La decisione delle Sezioni Unite apre scenari interessanti per l'ulteriore evoluzione del diritto di famiglia italiano. Se è vero che la legge Cirinnà aveva già stabilito un principio di sostanziale equiparazione tra unioni civili e matrimonio, la giurisprudenza sta ora completando questo processo attraverso un'interpretazione sistematica e teleologica delle norme. Particolarmente significativo è il fatto che la Corte abbia esteso alle unioni civili non solo la disciplina dell'assegno divorzile, ma anche i criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza per il matrimonio. Questo significa che le coppie omosessuali possono ora contare
su un corpus giurisprudenziale consolidato e su principi chiari per la tutela dei loro diritti economici post-unione.
Gli aspetti procedurali e probatori Dal punto di vista procedurale, l'applicazione alle unioni civili della disciplina divorzile comporta l'adozione degli stessi criteri probatori e degli stessi oneri processuali previsti per il matrimonio.
Come chiarito dalla giurisprudenza più recente, "l'onere della prova circa l'inadeguatezza dei propri mezzi e l'impossibilità di procurarseli grava sul soggetto che richiede l'assegno", ma la valutazione deve essere condotta attraverso "un'analisi complessiva e sostanziale della reale capacità reddituale" di entrambe le parti.
La recente ordinanza n. 1986 del 28 gennaio 2025 ha inoltre precisato che "la motivazione della sentenza che dispone l'assegno divorzile deve contenere un'effettiva esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione, non potendosi limitare alla mera riproduzione dell'atto di appello o a una determinazione apodittica degli importi".
Questo principio si applica evidentemente anche alle decisioni relative allo scioglimento delle unioni civili.
La sentenza n. 35969/2023 rappresenta infatti il coronamento di un percorso interpretativo che ha visto la giurisprudenza italiana sempre più attenta alle esigenze di tutela delle coppie omosessuali.
Quello che colpisce maggiormente di questa pronuncia è l'approccio metodologico adottato dalla Corte, che ha saputo coniugare rigore tecnico-giuridico e sensibilità sociale.
L'interpretazione estensiva del concetto di "durata del rapporto", che include anche il periodo di convivenza precedente alla formalizzazione dell'unione civile, dimostra una maturità giurisprudenziale che va oltre il mero formalismo legale per abbracciare la complessità della realtà sociale.
Particolarmente apprezzabile è il richiamo agli "obblighi positivi derivanti dall'art. 8 CEDU", che colloca la decisione in un quadro sovranazionale di tutela dei diritti fondamentali.
Questo approccio evidenzia come il diritto di famiglia italiano stia progressivamente allineandosi agli standard europei di protezione delle minoranze sessuali, superando resistenze culturali e giuridiche che per troppo tempo hanno penalizzato le coppie omosessuali.
Dal punto di vista pratico, la decisione offre agli operatori del diritto criteri chiari e consolidati per affrontare le controversie relative allo scioglimento delle unioni civili.
La possibilità di considerare l'intero arco temporale della relazione, inclusa la convivenza di fatto precedente, consente una valutazione più equa e realistica dei contributi forniti da ciascun partner alla vita comune e delle rinunce eventualmente sostenute.
Tuttavia, come evidenziato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, rimane fondamentale un approccio casistico che tenga conto delle concrete condizioni economiche delle parti. L'assegno di mantenimento non può trasformarsi in uno strumento di assistenza sociale, ma deve rispondere a logiche di solidarietà post-coniugale fondate su presupposti oggettivi e verificabili.
In prospettiva, questa decisione apre la strada a ulteriori sviluppi interpretativi che potrebbero riguardare altri aspetti della disciplina delle unioni civili, dalla successione ereditaria ai rapporti patrimoniali.
Il metodo ermeneutico adottato dalle Sezioni Unite, basato sulla valorizzazione della sostanza rispetto alla forma, potrebbe infatti trovare applicazione anche in altri ambiti del diritto di famiglia.
Come avvocato che ha assistito coppie omosessuali nel loro percorso di riconoscimento giuridico, posso testimoniare l'importanza di questa evoluzione giurisprudenziale per la vita concreta delle persone.
Ogni passo verso la piena equiparazione rappresenta non solo un progresso giuridico, ma anche un riconoscimento della dignità e dei diritti di cittadini che per troppo tempo sono stati considerati di "serie B".
La strada verso la completa parità è ancora lunga, ma decisioni come questa dimostrano che il diritto italiano sa evolversi e adattarsi alle trasformazioni sociali, mantenendo fede ai principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione.
In questo senso, la sentenza n. 35969/2023 ed la recente Ordinanza degli ermellini non è solo una pronuncia giurisprudenziale, ma un tassello importante nella costruzione di una società più giusta e inclusiva.

Erik Stefano Carlo Bodda è avvocato del foro di Torino, già iscritto nei fori di Madrid e Parigi ed abilitato alle difese avanti le Giurisdizioni Superiori.

Ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della LUISS e ha operato in Europa, Africa, America latina e Medioriente.È fondatore dello studio legale BODDA & PARTNERS con sedi in Italia e all'estero.


[Fonte: www.studiocataldi.it]

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