
La psicologia spiega questo silenzio con dinamiche di dipendenza emotiva, senso di colpa e interiorizzazione della colpa indotta dal maltrattante. La vittima può arrivare a percepirsi responsabile della violenza subita, generando un circolo vizioso che la porta a giustificare il carnefice e a rimanere imprigionata nella relazione.
Il criminologo osserva come questi meccanismi incidano sulla reiterazione del reato: l'assenza di denuncia o la ritrattazione della stessa forniscono al reo un senso di impunità, rafforzando la sua condotta. È qui che diritto e psicologia devono dialogare: non basta punire, occorre prevenire e sostenere.
Gli interventi di protezione devono quindi integrarsi con percorsi di supporto psicologico, per restituire alla vittima la capacità di riconoscere la violenza e spezzare la spirale della sottomissione. Parallelamente, anche il trattamento del reo – laddove vi sia apertura – deve includere un approccio psico-criminologico, volto a decostruire i modelli disfunzionali che alimentano la violenza.
In definitiva, la giustizia non può limitarsi ad applicare la norma: deve farsi ponte tra diritto e scienze umane, affrontando la violenza non solo come violazione della legge, ma come frattura relazionale e psicologica. Solo così sarà possibile passare da un sistema punitivo a un modello realmente trasformativo, capace di proteggere, rieducare e soprattutto prevenire.
Dott. Alessandro Pagliuca
Avvocato abilitato all'esercizio della professione forense-Criminologo-DPO
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