Un'imputata aveva sollevato questione di legittimità costituzionale e di contrasto con il diritto dell'Unione europea riguardo alla disciplina sul gratuito patrocinio. La ricorrente sosteneva che, nel calcolare il reddito per l'ammissione al beneficio, dovesse tenersi conto della pluralità di procedimenti a suo carico. In sostanza, chiedeva che la soglia di reddito venisse innalzata per ogni processo pendente, in modo analogo a quanto previsto per i familiari conviventi.
L'articolo 92 del decreto legislativo n. 115/2002 prevede che, ai fini dell'accesso al patrocinio a spese dello Stato, la soglia di reddito sia aumentata di una quota fissa per ciascun familiare convivente. La ricorrente ha sostenuto che un criterio simile dovesse applicarsi anche ai procedimenti pendenti, trattandosi di oneri che riducono concretamente la disponibilità economica dell'imputato.
Con la sentenza n. 30574 del 2025, la Cassazione penale ha respinto il ricorso. La Suprema Corte ha escluso che le spese derivanti dalla pendenza di più procedimenti possano essere considerate come elemento deducibile ai fini del calcolo del reddito. Non vi è, secondo i giudici, alcuna violazione di principi costituzionali o sovranazionali nel fatto che la normativa non preveda una riduzione della soglia in relazione ai processi pendenti.
La Corte ha chiarito che la situazione di chi ha familiari conviventi non può essere equiparata a quella di chi si trova sottoposto a più procedimenti penali. Nel primo caso, infatti, la legge riconosce un incremento della soglia di reddito per tener conto delle esigenze di mantenimento del nucleo familiare. Nel secondo, invece, la pendenza di più processi non costituisce un fattore assimilabile a un onere stabile e continuativo che incida sulla capacità economica del richiedente.