Con l'ordinanza n. 24416 del 2 settembre 2025, la Corte di cassazione ha ribadito che l'accordo con cui il lavoratore rinuncia all'indennità sostitutiva di preavviso non produce effetti nei confronti dell'INPS.
L'obbligo contributivo, infatti, scatta nel momento stesso in cui il licenziamento senza preavviso diventa efficace. La rinuncia del dipendente non può incidere sul diritto dell'ente previdenziale a percepire i contributi maturati (cfr. Cass. n. 20432/2024).
Negli ultimi anni la Cassazione ha consolidato un indirizzo costante, spesso a seguito di ricorsi dell'INPS per recupero contributivo. In molte vicende esaminate, i lavoratori licenziati avevano firmato verbali di conciliazione in sede sindacale che prevedevano la rinuncia al preavviso e la corresponsione di somme a titolo di incentivo all'esodo.
La Suprema Corte ha precisato che, in base all'art. 1 del d.l. n. 338/1989, l'ente previdenziale non è vincolato da pattuizioni che riducono la base imponibile contributiva, essendo irrilevanti sia gli inadempimenti del datore di lavoro sia gli accordi di rinuncia del dipendente (Cass. n. 8913/2023).
Il principio di inopponibilità non svuota l'autonomia privata: le parti restano libere di raggiungere un accordo che ha piena validità tra loro. Tuttavia, tale intesa non vincola l'INPS, soggetto terzo rispetto al contratto.
Il fondamento normativo si rinviene nell'art. 2115, terzo comma, cod. civ., che sancisce la nullità di ogni patto diretto ad eludere obblighi contributivi o assistenziali.
La Cassazione distingue tra due situazioni:
Rinuncia del lavoratore all'indennità di preavviso dopo il licenziamento: resta fermo l'obbligo contributivo sull'importo non corrisposto.
Revoca del licenziamento e successiva risoluzione consensuale: in questo caso, parte della dottrina e della giurisprudenza sollevano dubbi sull'automatica applicazione del principio di inopponibilità, in quanto manca il presupposto stesso del licenziamento.
Laddove vi sia una risoluzione consensuale, l'INPS non è tenuto a erogare la NASpI e, parallelamente, il datore non è obbligato a versare contributi sull'indennità di preavviso.
L'ente previdenziale conserva la possibilità di invocare l'art. 1344 cod. civ. (negozio in frode alla legge), ma deve fornire la prova dell'intento fraudolento delle parti. Non è sufficiente la mera sequenza licenziamento–revoca–accordo consensuale: l'INPS deve dimostrare l'esistenza di un disegno volto ad aggirare norme imperative.
L'orientamento della Cassazione impone cautela nella gestione degli accordi successivi al licenziamento. Rimane invece distinto il tema delle dimissioni: nel caso di rinuncia al preavviso da parte del lavoratore dimissionario, la questione non si pone, salvo diversa disciplina del contratto collettivo (Cass. n. 27934/2021; Cass. n. 6782/2024).