Gli accordi tra PA, ex art. 15 L 241/90, sono anche il "genus" di tutti gli accordi tra le stesse, si configurano come fonte generale del potere di stipulare accordi da parte delle Pubbliche Amministrazioni e rappresentano forme consensuali di esercizio della potestà amministrativa.
Sono strumenti che permettono alle Pubbliche Amministrazioni di collaborare e svolgere congiuntamente attività di interesse comune, disciplinando le loro relazioni in modo consensualistico anziché attraverso una sequenza di provvedimenti autonomi delle singole amministrazioni.
Questi accordi sono basati sul principio di collaborazione istituzionale, devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità e sono finalizzati a soddisfare un interesse pubblico o specifico. Il principio immanente alla norma è la possibilità di perseguire attraverso questi strumenti interessi e finalità comuni, infatti, tra i requisiti richiesti dall'art. 15, c'è lo svolgimento di attività in comune, l'articolo è ricompreso nel capo relativo alla semplificazione dell'azione amministrativa. Per la giurisprudenza maggioritaria le attività di interesse comune possono riguardare anche "attività materiali da svolgere nell'espletamento di un pubblico servizio e direttamente in favore della collettività" ma qualora non sia riscontrabile l'interesse comune tra PA , cioè una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l'adempimento di una una funzione di servizio pubblico comune, non si ravvisa un accordo tra PA ex art. 15 (ex multis TAR Palermo 2259/2019) e si dovrebbe ricorrere alle forme degli affidamenti esternalizzati. In particolare, proprio l'art. 15 della legge n. 241/90 s.m.i. rappresenta un referente normativo così generico nella sua formulazione al punto da configurarsi come una vera e propria norma "in bianco" e tale ampiezza potrebbe determinare, in linea di principio, la regolamentazione di attività che potrebbero, e dovrebbero, essere oggetto di affidamento ad un soggetto privato mediante procedure di evidenza pubblica nel rispetto del codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che l'accordo potrebbe risultare violativo di tali norme, quindi annullabile. E' altresì necessario che l'accordo "de quo" presupponga sempre e comunque "un risparmio di mezzi e risorse finanziarie", dovendosi in caso diverso fare ricorso alle "ordinarie procedure di gara per l'acquisizione del servizio. Ancora si discute, non avendo trovato una definitiva composizione, se la singola Pubblica Amministrazione, parte di un accordo, abbia il potere di recedere unilateralmente dallo stesso, a tal riguardo non aiuta la sola lettura dell'art. 15 della L. 241/90 che non prevede in modo espresso tale facoltà, a differenza di quanto previsto per gli accordi sottoscritti con i privati, (art. 11 c. 4), in cui si prevede e regola anche un giusto indennizzo. Invocando i principi immanenti l' ordinamento amministrativo, dovrebbe essere sempre possibile per la PA recedere ,quanto meno in autotutela e nei limiti dell'autotutela, segnatamente della revoca (ex multis CDS 264/2000) per sopravvenuti motivi di interesse pubblico , vista l'inesauribilità del potere di provvedere di cui gode la Pubblica Amministrazione, senza corresponsione di un indennizzo, mancando la parte privata dell' accordo, quindi la necessità del ristoro. Anche la Consulta in una pronuncia, non recente, ha, ritenuto che il superamento di posizioni contrastanti tra le PA firmatarie dell'accordo (in questo caso di programma, tipico accordo tra PA) debba essere preceduto da fasi di dialogo ed eventualmente, successivamente, si potrà censurare in sede giurisdizionale, il rifiuto di una delle parti di modificare l'assetto degli interessi originariamente concordato, evidentemente qualora tale rifiuto risulti contrario al principio amministrativo di leale cooperazione tra soggetti pubblici. L'accordo tra PA, lungi dal modificare l'attribuzione di funzioni è un modulo organizzativo (al pari della conferenza di servizi) dell'"agere" amministrativo che sostituisce la sequenza procedimentale di procedimenti condotti in modo autonomo dalle diverse amministrazioni, destinati a sfociare in provvedimenti diversi ma tra loro strettamente collegati che con l'accordo trovano composizione in un unico atto formale.
Ciò precluderebbe, secondo la pronuncia del giudice delle leggi , lo svincolo unilaterale ad opera di una delle parti, nonostante il permanere del potere di autotutela, e la possibilità di emettere atti di secondo grado. Circa la natura giuridica degli accordi tra PA, si contendono il campo tre tesi, due contrapposte ed una mediana: la tesi privatistica, la tesi pubblicistica e la tesi del "tertium genus".
La tesi privatistica si basa sul rinvio che l'art. 15 attua alle norme codicistiche in materia di contratti ed obbligazioni; per la tesi pubblicistica si perseguono unicamente interessi pubblici, pertanto si possono decidere solo le modalità di raggiungimento di tali interessi, infatti la discrezionalità amministrativa è limitata dalla legge che ne individua le finalità, lasciando alle PA unicamente la scelta sulle modalità. Per la tesi di un terzo ed autonomo genere , nelle varie fattispecie si ricorre, a seconda dei casi, o alle norme del codice civile ovvero a quelle che regolano l'attività delle PP.AA.