• Richiesta Consulenza Legale

  • Should be Empty:
  • Tariffe

Notizie Giuridiche

» Le peculiarità dei CCNL adottati nel pubblico impiego
12/09/2025 - Alessio Piccirilli

I CCNL sottoscritti nell'ambito del lavoro presso la pubblica amministrazione in seguito alla c.d. "privatizzazione del pubblico impiego" (cfr. art. 2, comma 2 del d.lgs 165 del 2001) presentano delle caratteristiche del tutto particolari che li distinguono nettamente dai CCNL che regolano il lavoro presso l'impresa privata. Tali elementi caratteristici traggono origine da norme e principi elaborati dalla Giurisprudenza costituzionale e possono essere raggruppati in tre aree a loro volta interdipendenti e concatenate: 1) il reclutamento del personale pubblico a mezzo del concorso pubblico; 2) il periodo di prova; 3) le tutele reali ed economiche in caso di licenziamento illegittimo.

Il reclutamento del personale presso le PPAA: il principio del concorso pubblico

La caratteristica che maggiormente contraddistingue il pubblico impiego e ne condiziona ogni aspetto, dalla costituzione del rapporto di lavoro sino alla gestione del fine rapporto, è la previsione della selezione a mezzo di concorso pubblico per tutti quei ruoli per i quali, a mente dell'art. 35 del d.lgs 165 del 2001, non sia previsto il solo requisito del titolo di studio della scuola dell'obbligo. L'obbligo dell'assunzione degli impiegati pubblici tramite concorso pubblico deriva direttamente dalla Costituzione che all'art. 97 prescrive espressamente che "l'accesso agli impieghi pubblici avviene tramite concorso, salvo diversi casi previsti dalla legge". Le deroghe per legge a tale principio costituzionale sono state però ricondotte dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale a soli casi eccezionali in quanto "la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 40 del 2018 e n. 110 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 7 del 2015 e n. 134 del 2014) e, comunque, sempre che siano previsti «adeguati accorgimenti per assicurare [...] che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell'incarico» (sentenza n. 225 del 2010)" (ex multis Corte Costituzionale n. 227 del 2021). Infatti, il parametro di riferimento indicato dal Giudice delle leggi nell'ambito del reclutamento degli impiegati pubblici è innanzitutto quello di assicurare la selezione obiettiva delle migliori professionalità assicurando al contempo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione (ibidem), la possibilità di accesso alla selezione pubblica in condizione di parità a tutti coloro che vantino i medesimi titoli richiesti per ricoprire i ruoli messi a concorso. Alla luce dei suddetti principi costituzionali il legislatore ha imposto delle precise modalità di svolgimento dei concorsi pubblici che a mente dell'art. 35 del d.lgs 165, devono soprattutto essere oggetto di adeguata pubblicità, devono presentare meccanismi di selezione oggettivi e trasparenti attuati da commissioni composte da esperti di comprovata esperienza e contraddistinti da indipendenza politica e sindacale. Il requisito della selezione a mezzo di concorso pubblico non è pertanto introdotto e regolato dai CCNL i quali invece lo presuppongono e basano su di esso, coerentemente alla suddetta normativa, tutte le principali specifiche disposizioni e principi che contraddistinguono il rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.

Il periodo di prova presso le pubbliche amministrazioni

2.1) la normativa ed i principi di riferimento del periodo di prova. La prima peculiarità dello svolgimento del rapporto di lavoro susseguente al superamento di un concorso pubblico è rappresentata dall'inserzione automatica, ex lege, del periodo di prova con esclusione di qualunque patto contrario. Infatti, tale istituto è oggetto di una clausola di salvezza dalla privatizzazione ai sensi del combinato disposto degli articoli 2 comma 2 e 70 comma 13 del d.lgs 165 del 2001 e dell'articolo 17 del D.P.R. numero 487 del 1994, rendendo per l'effetto inapplicabile la norma regolatrice del periodo di prova presso l'impresa privata rappresentata dall'art. 2069 del Codice Civile. Ne consegue che tutti i CCNL afferenti ai comparti del pubblico impiego presuppongono, oltre al previo svolgimento del concorso pubblico, anche la necessità del periodo di prova che quindi, una volta dato come presupposto (rafforzando l'obbligatorietà e l'illegittimità di patti contrari), viene regolato dalle disposizioni contrattuali nella durata e nelle modalità di svolgimento. Nelle suddette norme contrattuali regolatrici del periodo di prova si possono facilmente rilevare le influenze dei principi di diritto correlati all'obbligo della selezione a mezzo del concorso pubblico. Infatti, un'importante peculiarità del periodo di prova presso la P.A. è rappresentato dall'obbligo di motivazione del recesso datoriale previsto in tutti i CCNL del settore pubblico. La legittimità dell'obbligo motivazionale si pone in netta contrapposizione rispetto al recesso ad nutum, ovvero immotivato e per mero gradimento, delineato dall'art. 2096 c.c. nell'ambito dell'impresa privata. Tale differenziazione è fatta discende dalla Giurisprudenza costituzionale esattamente dallo svolgimento del concorso pubblico che ha permesso una previa approfondita valutazione e selezione dei pubblici impiegati (cfr. Corte Costituzionale n. 189 del 1980). Proprio al fine di ovviare alla mancanza di tale obbligo motivazionale del recesso datoriale nell'ambito del periodo di prova presso l'impresa privata, la medesima Corte Costituzionale ha sancito la legittimità della prassi invalsa nella Giurisprudenza del lavoro di permettere al lavoratore privato di impugnare il provvedimento di recesso adducendo il buon esito del periodo di prova (una vera e propria probatio diabolica), oppure dimostrando la mala fede del datore di lavoro (cfr. Cassazione Civile n. 2631 del 1996) tramite la prova di intenti ritorsivi o discriminatori sottesi al recesso o infine provando l'irregolare svolgimento del periodo di prova (cfr. Cassazione Civile n. 2357 del 2003) come ad esempio per adibizione a mansioni superiori (cfr. Cassazione Civile n. 21586 del 2008).

2.2) Le conseguenze pratiche dell'obbligo di motivazione del recesso datoriale. Dall'obbligo di motivazione del recesso datoriale discende innanzitutto la previa e chiara delimitazione della causa petendi (ovvero l'oggetto del ricorso) nel caso in cui il lavoratore pubblico decida di impugnare l'eventuale provvedimento di recesso in periodo di prova. Infatti, nel caso dell'assenza della motivazione prevista dal CCNL, il lavoratore potrà limitarsi a denunciare al Giudice del lavoro tale omissione chiedendo la declaratoria di nullità del provvedimento di recesso. Tale possibilità deriva innanzitutto dalla decisione delle Sezioni Unite della Cassazione le quali hanno sancito che "l'atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo sarebbe quindi affetto in ogni caso da nullità" (cfr. Cassazione Civile, Sez. Un. n. 21744 del 2009). Inoltre, l'assenza delle motivazione prevista dal CCNL comporta la nullità del recesso datoriale per violazione di norma imperativa a mente dell'equiparazione delle disposizione del CCNL alle norme di legge ai sensi ed agli effetti del punto 3 del comma 1 dell'art. 360 del c.p.c.. Ne discende che qualunque provvedimento del datore di lavoro difforme da quanto sancito dal CCNL è nullo ovvero, nell'Ordinamento italiano, è da considerarsi inefficace ex tunc, ab origine (ovvero sin dall'inizio) e dunque tamquam non esset (ovvero come se non esistesse), con travolgimento di tutti gli effetti ad esso susseguenti. Tutto ciò comporta delle precise ed ulteriori conseguenze in quanto tutti i CCNL afferenti al pubblico impiego prevedono che il dipendente pubblico sia assunto con contratto a tempo indeterminato ed assoggettato ad un periodo di prova non rinnovabile o prorogabile, per poi essere meramente confermato automaticamente in ruolo allo scadere del periodo di prova in assenza di un efficace recesso datoriale. Si tratta dunque di un meccanismo del tutto diverso da quello previsto per il lavoratore presso l'impresa privata che invece, nel caso di adozione del patto di prova (che non è obbligatoria in tale contesto), è assunto a tempo determinato con possibilità di conversione in rapporto a tempo indeterminato all'esito della prova. Pertanto, una volta che il giudice abbia dichiarato la nullità del provvedimento di recesso, sancendone l'inesistenza giuridica, si aprono due soli scenari possibili (come sarà meglio chiarito immediatamente di seguito nell'analisi delle ulteriori garanzie del pubblico impiego):

1) la riassunzione in servizio per l'ultimazione del periodo di prova, qualora il recesso datoriale fosse avvenuto prima del termine del periodo stesso;

2) la declaratoria di avvenuta conferma in servizio ex lege (nulla ostando all'automatismo previsto dal CCNL), qualora il recesso fosse avvenuto all'esatto scadere del termine improrogabile del periodo di prova od in seguito ad esso. Nell'ultima eventualità, a ben vedere, si tratterebbe anche di un autonomo ed ulteriore motivo di nullità del provvedimento del recesso per contrarius actus del datore di lavoro. Più in particolare, la continuazione del rapporto di lavoro sarebbe permessa solo ad un dipendente confermato in ruolo e pertanto si tratterebbe di un comportamento concludente. Infatti, è espressamente vietato dai CCNL ogni forma di proroga o rinnovo del periodo di prova e non è configurabile il c.d. "lavoro nero" nell'ambito del pubblico impiego.

Dunque l'obbligo di motivazione del recesso datoriale previsto dai CCNL nell'ambito del pubblico impiego rappresenta una garanzia estremamente forte in favore del dipendente pubblico ed un elemento di netta differenziazione rispetto al lavoratore in prova presso l'impresa privata: trattamento di favore che come visto la Giurisprudenza costituzionale fa discendere direttamente, rafforzando ulteriormente tale garanzia contrattuale, dal principio costituzionale del previo svolgimento del concorso pubblico.

2.3) Più in particolare: le conseguenze processuali dell'obbligo di motivazione del recesso datoriale. Come anticipato, la suddetta motivazione del recesso datoriale nel pubblico impiego definisce la causa petendi (ovvero l'oggetto del ricorso) nell'ambito del processo del lavoro in quanto il lavoratore ha l'onere di depositare un ricorso giudiziario completo e non meramente esplorativo. Per tali ragioni la Giurisprudenza ha sancito l'illegittimità di una completa integrazione in sede giudiziaria di una motivazione del recesso del tutto assente nel provvedimento di recesso datoriale (cfr. Corte di Cassazione n. 15638 del 14/06/2018). Difatti, la Giurisprudenza ha rimarcato come il recesso datoriale in periodo di prova sia un atto unilaterale ricettizio e come tale, per essere efficace, debba essere completo in tutti i suoi elementi nel momento in cui perviene al destinatario (ibidem). Ne consegue inoltre che il provvedimento di recesso datoriale in periodo di prova per essere valido ed efficace, in forza della propria natura di atto unilaterale ricettizio (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un. n. 24822 del 2015), debba pervenire al lavoratore entro il termine del periodo di prova. Infatti, in caso di ritardata notifica, tale provvedimento sarà illegittimamente rivolto ad un lavoratore ormai già automaticamente confermato in ruolo ex lege e dunque non più in periodo di prova. Inoltre, sempre a parere della Giurisprudenza, la presenza di un termine perentorio rende impossibile, per ovvie ragioni di certezza del diritto (cfr. Cassazione Civile n. 8197 del 2014), qualunque forma di retroattività di eventuali ratifiche - successive al termine del periodo di prova - di provvedimenti adottati da soggetti privi della qualifica di datore del lavoro che nell'ambito del lavoro pubblico, ai sensi degli artt. 4, 5 e 70 c. 6 del d.lgs 165 del 2001, è espressamente riservata al solo dirigente amministrativo (cfr. Cassazione Civile n. 31091 del 2018). La Cassazione ha poi evidenziato che tale vero e proprio onere probatorio del datore di lavoro pubblico ha un'importanza sostanziale in quanto la funzione della motivazione è quella di dimostrare che il recesso datoriale "non è dovuto a ragioni illecite o comunque estranee al rapporto ed in particolare a forme di discriminazione" (cfr. Corte di Cassazione n. 15638 del 14/06/2018).

2.4) I generali principi giurisprudenziali in materia di periodo di prova. Logicamente il pubblico dipendente, a mente della c.d. "privatizzazione del pubblico impiego", potrà usufruire anche dei principi generali approntati dalla Giurisprudenza per ovviare all'assenza dell'obbligo di motivazione del recesso datoriale presso l'impresa privata: ma tali strumenti saranno logicamente ulteriori e distinti rispetto alla garanzia primaria rappresentata dall'obbligo di motivazione a carico del datore di lavoro pubblico. Ad esempio, qualora la motivazione sia stata materialmente allegata al provvedimento di recesso, il lavoratore pubblico potrà dimostrare che tale motivazione è del tutto illegittima adducendo la mala fede o l'intento discriminatorio del datore di lavoro oppure la presenza di ragioni che hanno reso iniquo il periodo di prova come l'adibizione a mansioni superiori o condizioni di lavoro particolarmente disagiate che non hanno permesso una serena ed equa valutazione della capacità del lavoratore. Infine, si osserva che il profondo ed inscindibile legame, sancito dal Giudice delle leggi, tra l'obbligo di motivare il recesso datoriale ed il principio costituzionale del concorso pubblico è reso ancor più palese analizzando il caso speciale ed eccezionale rappresentato dall'assunzione obbligatoria di disabili senza previo concorso. Infatti, tali lavoratori assunti obbligatoriamente non godono a parere della Giurisprudenza, della suddetta garanzia della motivazione del recesso e sono assoggettati, da questo solo punto di vista, alla normativa privatistica di cui all'art. 2096 c.c. ed ai suddetti rimedi giurisdizionali propriamente "compensativi" dell'assenza dell'onere motivazionale del recesso datoriale (cfr. Corte di Cassazione 15100 del 2012).

Le tutele reali ed economiche dell'impiegato pubblico in caso di licenziamento illegittimo

3.1) Le origini della tutela reale dell'impiegato pubblico. L'art. 63 c. 2 del d.lgs 165 del 2001 prevede l'obbligo di reintegra, assieme ad un'indennità risarcitoria fino a massimo 24 mensilità di stipendio, nel caso di declaratoria giudiziaria della nullità o dell'annullamento di un licenziamento di un dipendente pubblico. Si tratta dunque di un caso di ultrattività delle tutele di cui all'art. 18 del vecchio Statuto dei Lavoratori, abrogato invece dalla c.d. "legge Fornero" con riferimento ai lavoratori dell'impresa privata. Le motivazioni sottese a questa speciale garanzia in favore dei soli dipendenti pubblici sono illustrate nel parere n. 916 del 2017 del Consiglio di Stato, richiesto con riferimento allo schema di decreto legislativo finalizzato ad apportare modifiche ed integrazioni al Testo unico del pubblico impiego. In tale parere si ripercorrono gli avvenimenti che hanno condotto alla necessità di modificare il c.d. "Testo Unico del pubblico impiego", ovvero il d.lgs 165 del 2001 ed in particolare, al punto 3.6 di tale parere, si analizzano i principi che hanno condotto a confermare, nell'ambito del pubblico impiego, la persistenza della tutela reale del lavoratore pubblico illegittimamente licenziato. Dopo aver analizzato la Giurisprudenza di legittimità e quella costituzionale i Giudici di Palazzo spada pongono in evidenza i principi costituzionali che sostengono la persistenza di tali garanzie in favore dei soli dipendenti pubblici e cioè la protezione di generali interessi collettivi che vanno oltre la tutela del singolo impiegato pubblico. A ben vedere la Giurisprudenza costituzionale citata nel suddetto illustre parere effettua un costante riferimento all'art. 97 della Costituzione ed al buon andamento della pubblica amministrazione ed uno degli elementi di tale norma della Costituzione è rappresentato esattamente dal principio dell'obbligo di accesso nella pubblica amministrazione all'esito di un concorso pubblico. Tutto ciò evidenzia ulteriormente l'importanza e l'influenza di tale principio nell'ambito della regolazione dello speciale rapporto di lavoro presso la pubblica amministrazione.

3.2) Le generali ripercussioni della tutela reale del dipendente pubblico. Tali garanzie reali del pubblico impiegato permettono di precludere ad un ipotetico datore di lavoro pubblico corrotto la possibilità di effettuare impunemente una selezione avversa dei dipendenti pubblici. Ad esempio, in assenza delle suddette garanzie, attraverso licenziamenti immotivati si potrebbe: 1) permettere a persone amiche di scalare la graduatoria ; 2) creare la necessità dell'acquisizione di graduatorie cedute da altri enti in cui sono compresi tali amici; 3) ottenere un'illecita "precarizzazione" in violazione dell'art. 36 del d.lgs 165 del 2001. Dunque, qualora fosse permessa tale arbitraria selezione dei lavoratori pubblici si addosserebbe alla pubblica amministrazione un duplice danno e cioè la perdita della risorsa umana selezionata all'esito dell'oneroso procedimento concorsuale ed al contempo anche l'obbligo di risarcire il lavoratore illegittimamente licenziato. Sulla base di queste premesse è possibile meglio comprendere come il principio costituzionale della selezione degli impiegati a mezzo del concorso pubblico si intersechi e si ponga a giustificazione di tutti gli altri istituti a tutela del lavoratore pubblico e perciò si può riprendere e meglio esplicare il caso dell'illegittimo recesso datoriale durante il periodo di prova. Ci si riferisce innanzitutto al caso in cui sia stata riconosciuta giudizialmente l'illegittimità del recesso datoriale comminato prima dello spirare del termine del periodo di prova. In questo caso, a meno di motivazioni occulte e discriminatorie, il lavoratore non può essere direttamente considerato confermato in ruolo e deve perciò essere riassunto in servizio al fine di permettergli di terminare la prova: non appare infatti adottabile nel pubblico impiego il solo rimedio risarcitorio proprio per evitare il suddetto doppio danno per la pubblica amministrazione e per non mortificare il principio del pubblico concorso scoprendo il fianco, per l'effetto, alle possibili azioni occulte di eventuali amministratori infedeli. Infatti, il Consiglio di Stato, nel parere n. 916 del 2017, ha precisato che la tutela reale è riferita a qualunque tipo di recesso datoriale previsto dalla contrattazione collettiva e dunque anche al caso del recesso in periodo di prova, logicamente con i correttivi appena esposti in caso di periodo di prova non ancora integralmente spirato. Per le ragioni appena illustrate appare invece ben più immediato ed intuitivo da comprendere il caso in cui il periodo di prova sia già stato integralmente concluso dal lavoratore giacché in tale evenienza, a seguito della previa declaratoria di inefficacia del recesso datoriale, sarebbe rimosso qualunque ostacolo all'operare dell'automatica conferma in ruolo ex lege. Infatti, in quest'ultimo caso il lavoratore pubblico risulterebbe sottoposto ad un illecito licenziamento di fatto in assenza di qualunque giusta causa o previo procedimento disciplinare e dunque non potrà che essere reintegrato ai sensi del comma 2 dell'art 63 del d.lgs 165 del 2001 (cfr. Corte di Cassazione n. 15638 del 14/06/2018). Ancora di più facile intuizione è il caso in cui il lavoratore abbia non solo concluso il periodo di prova, ma sia stato anche impegnato in attività lavorative successive a tale termine perentorio: infatti, in quest'ultimo frangente, il medesimo datore di lavoro, oltre a non aver impedito l'automatica conferma in ruolo ex lege, avrebbe anche completamente contraddetto - con palese comportamento concludente - qualunque previo provvedimento di recesso palesando invece, in ultimo, il proprio evidente giudizio di idoneità del lavoratore all'impiego pubblico.

Conclusioni

Dalla presente sintetica rassegna delle norme e della Giurisprudenza che caratterizzano il pubblico impiego si può facilmente evincere che gli apparenti privilegi previsti dai CCNL afferenti al pubblico impiego rappresentano, in realtà, dei presidi a tutela del buon andamento della P.A. ed infine, per l'effetto, degli interessi di tutta la collettività. In tale ottica gli interessi particolari dei pubblici impiegati appaiono interessi tutelati in via del tutto contingente e strumentale rispetto alla finalità principale rappresentata dall'obiettivo di costruire una P.A. efficiente e depurata da fenomeni corruttivi. Si auspica perciò che tale contributo possa aiutare a superare alcuni preconcetti che disegnano i pubblici impiegati come degli inetti "privilegiati", spostando l'obiettivo dell'indignazione pubblica verso i concreti fenomeni corruttivi come nel caso delle truffe nell'ambito dei pubblici concorsi, denunciati dagli organi di stampa e che sono le reali fonti patologiche delle inefficienze della pubblica amministrazione.

[Fonte: www.studiocataldi.it]

Altre materie su cui è possibile richiedere una consulenza legale online:
Il team degli avvocati di consulenza legale on-line.it può rispondere ai vostri quesiti anche nelle seguenti materie:
Proprietà e diritti reali - diritto del lavoro - obbligazioni e contratti - appalti - locazioni - fallimento e altre procedure concorsuali - diritto penale.
Per qualsiasi altra materia inviate in ogni caso la vostra richiesta. Il nostro è un team multidisciplinare.
Rassegna Stampa
Una rassegna stampa giuridica che raccoglie le notizie dai principali siti di informazione giuridica.
Discussioni Giuridiche
Le ultime discussioni dai newsgroup dedicati al mondo del diritto.