Il braccio di ferro tra il Governo Meloni e la Regione Piemonte sulla gestione delle acque irrigue rappresenta uno dei più significativi conflitti istituzionali degli ultimi anni in materia ambientale e agricola. La controversia, che vede protagonista il presidente Alberto Cirio e il suo tentativo di tutelare l'agricoltura piemontese attraverso una "provocazione normativa", solleva questioni fondamentali sul riparto di competenze tra Stato e Regioni e sull'equilibrio tra tutela ambientale e sostenibilità economica del settore primario.
La legge regionale piemontese n. 9 dell'8 luglio 2025, denominata "Omnibus" per la sua natura di contenitore normativo multisettoriale, ha introdotto modifiche sostanziali alla disciplina del deflusso ecologico che hanno scatenato la reazione del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica. Il provvedimento, che tocca diversi settori normativi, contiene nel suo articolato una disposizione particolarmente controversa che proroga l'applicazione del deflusso ecologico al 31 dicembre 2026 su tutto il territorio regionale e introduce un meccanismo di calcolo dinamico per i corsi d'acqua a carattere torrentizio.
La norma stabilisce che "nei corsi d'acqua a carattere torrentizio, canali o porzioni di essi non classificati come fiumi dalla Regione e nei corsi d'acqua classificati come fiumi o tratti di essi caratterizzati da ricorrenti deficit idrici stagionali, tenuto conto della regimazione non costante del flusso delle acque, il deflusso ecologico è calcolato in modo dinamico in base alla portata presente nella sezione di derivazione e non può essere eccedente il 30 per cento della portata effettiva medesima".
Il Ministero dell'Ambiente, guidato da Gilberto Pichetto Fratin, ha formalmente contestato l'incostituzionalità della norma regionale attraverso una nota dell'Ufficio legislativo che preannuncia l'impugnazione davanti alla Corte Costituzionale. La tesi governativa si fonda su un principio cardine del diritto costituzionale: la tutela dell'ambiente rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 176 del Codice dell'ambiente, che stabilisce come "le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione".
La giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che la disciplina delle acque pubbliche e del deflusso ecologico attiene alla materia della tutela dell'ambiente, di competenza esclusiva statale. Come evidenziato dalla sentenza n. 246 del 2009 della Corte Costituzionale, "l'art. 145 è riconducibile alla materia della tutela dell'ambiente, perché disciplina l'equilibrio del bilancio idrico, richiamando i criteri e gli obiettivi di tutela e prevedendo per i bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi la necessità di garantire la vita negli alvei sottesi e di non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati".
Il presidente Avv. Alberto Cirio ha adottato una strategia comunicativa e giuridica particolarmente raffinata, definendo l'intervento normativo regionale come una "provocazione normativa per portare il tema in Europa". Questa impostazione rivela una consapevolezza politica delle criticità costituzionali della norma, trasformando il potenziale vizio in una strategia di advocacy per modificare la normativa europea sul deflusso ecologico.
L'assessore regionale all'ambiente Matteo Marnati ha chiarito che la Regione non condivide "l'imposizione di valori rigidi di deflusso" e sta lavorando con Ente Risi e consorzi irrigui per sperimentare i valori realmente necessari di risorsa idrica da mantenere in alveo. Questa posizione evidenzia il tentativo regionale di sostituire un approccio rigido e uniforme con uno flessibile e territorialmente differenziato.
La disciplina del deflusso ecologico trova la sua origine nella Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE, recepita in Italia attraverso il decreto legislativo n. 152 del 2006. L'articolo 95 del Codice dell'ambiente stabilisce che "tutte le derivazioni di acqua comunque in atto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici".
La normativa nazionale ha subito un'evoluzione significativa con l'adozione della deliberazione n. 4 del 14 dicembre 2017 del Comitato della conferenza istituzionale permanente dell'Autorità di bacino del fiume Po, che ha definito la "Direttiva per la determinazione dei deflussi ecologici a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi ambientali".
Questa direttiva ha introdotto criteri più stringenti per la determinazione del deflusso minimo vitale, creando tensioni con le esigenze del settore agricolo.
Il settore agricolo piemontese, e in particolare la risicoltura, rappresenta un comparto economico di primaria importanza che rischia di subire conseguenze devastanti dall'applicazione rigida della normativa sul deflusso ecologico. Le risaie piemontesi, che coprono circa 120.000 ettari e rappresentano il 50% della produzione nazionale, necessitano di ingenti quantitativi d'acqua durante il periodo di sommersione.
La peculiarità del sistema risicolo piemontese risiede nella sua funzione ecosistemica: le risaie allagate costituiscono zone umide artificiali che svolgono un ruolo fondamentale nella ricarica delle falde acquifere e nella tutela dal rischio idrogeologico. Come sottolineato dall'assessore Marnati, "alcuni ecosistemi alimentati dall'irrigazione, come la risaia, hanno una funzione di ricarica della falda e tutela dal rischio idrogeologico".
Il primo e più evidente profilo di incostituzionalità riguarda la violazione dell'articolo 117, comma secondo, lettera s) della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali". La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che la disciplina del deflusso ecologico rientra pienamente in questa materia.
La Corte Costituzionale ha stabilito che "l'autorizzazione dell'Autorità di bacino è connessa alla funzione di difesa del suolo svolta da tale ente, perché è diretta a verificare che gli usi delle acque d'irrigazione regolati dalla norma ne consentano l'effettiva restituzione e la successiva utilizzazione. La disposizione attiene alla materia della tutela dell'ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato".
L'articolo 96 del Codice dell'ambiente stabilisce che "il provvedimento di concessione è rilasciato se è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico". La norma regionale piemontese, introducendo un meccanismo di calcolo dinamico che limita il deflusso ecologico al 30% della portata effettiva, si pone in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale.
La normativa regionale rischia di compromettere il raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dalla Direttiva Quadro Acque, esponendo l'Italia a procedure di infrazione europea. Il principio del deflusso ecologico costituisce uno strumento essenziale per garantire il buono stato ecologico dei corpi idrici, obiettivo vincolante per tutti gli Stati membri.
L'applicazione rigida della normativa sul deflusso ecologico comporterebbe una riduzione significativa delle disponibilità idriche per l'irrigazione, con conseguenze economiche dirette sui redditi agricoli. Le stime preliminari indicano una possibile riduzione della produzione risicola fino al 20-30% nelle annate siccitose, con perdite economiche quantificabili in centinaia di milioni di euro.
Il settore agricolo piemontese si troverebbe in una posizione di svantaggio competitivo rispetto ai concorrenti europei ed extraeuropei, che non sono soggetti a vincoli altrettanto stringenti. Questa asimmetria normativa rischia di compromettere la sostenibilità economica delle aziende agricole e di favorire fenomeni di delocalizzazione produttiva.
La riduzione della produzione agricola avrebbe effetti a cascata sull'intera filiera agroalimentare piemontese, con possibili perdite occupazionali e fenomeni di spopolamento delle aree rurali. Il mantenimento dell'attività agricola rappresenta infatti un presidio territoriale fondamentale per la prevenzione del dissesto idrogeologico e la conservazione del paesaggio.
La strategia di Cirio di portare la questione a livello europeo non appare priva di fondamento. La Commissione Europea ha avviato una revisione della Direttiva Quadro Acque per valutare l'efficacia degli strumenti normativi esistenti e la loro compatibilità con gli obiettivi di sostenibilità economica e sociale.
Il Green Deal europeo e la strategia "Farm to Fork" richiedono un approccio più equilibrato tra tutela ambientale e sostenibilità economica dell'agricoltura. In questo contesto, la richiesta di maggiore flessibilità nella determinazione del deflusso ecologico potrebbe trovare ascolto presso le istituzioni europee.
La giurisprudenza amministrativa ha affrontato in diverse occasioni la questione del bilanciamento tra tutela ambientale e esigenze agricole. La Cassazione civile, con ordinanza n. 22363 del 2025, ha stabilito che "l'amministrazione competente deve applicare il criterio della più razionale utilizzazione delle risorse idriche, valutando non esclusivamente la maggiore produzione energetica, ma considerando in via prioritaria la minimizzazione dell'impatto ambientale e la tutela della qualità del corpo idrico interessato".
Questo orientamento giurisprudenziale suggerisce la possibilità di un approccio più flessibile e contestualizzato nella gestione delle risorse idriche, che tenga conto delle specificità territoriali e delle esigenze economiche locali.
La Regione Piemonte può invocare il principio di sussidiarietà per sostenere che la gestione delle risorse idriche dovrebbe essere affidata al livello di governo più vicino ai cittadini e alle imprese interessate. L'articolo 118 della Costituzione stabilisce che "le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato".
L'amministrazione regionale possiede una conoscenza approfondita delle specificità territoriali, climatiche e produttive che può consentire una gestione più efficace ed efficiente delle risorse idriche. La standardizzazione nazionale rischia di non tenere conto delle peculiarità locali e di produrre effetti distorsivi.
L'approccio sperimentale proposto dalla Regione, basato sulla collaborazione con Ente Risi e consorzi irrigui, potrebbe produrre soluzioni innovative e più sostenibili rispetto all'applicazione rigida di parametri uniformi su tutto il territorio nazionale.
La norma regionale si pone in contrasto con la legislazione statale vigente, violando il principio di legalità e la gerarchia delle fonti normative.
Questo aspetto rappresenta il punto più debole della posizione regionale e quello su cui si concentrerà l'attenzione della Corte Costituzionale.
L'intervento regionale rischia di creare una frammentazione normativa che comprometterebbe l'uniformità di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale.
Questo aspetto è particolarmente critico per la gestione di bacini idrografici interregionali come quello del Po.
L'Italia potrebbe essere sottoposta a procedure di infrazione europea per il mancato rispetto degli obiettivi ambientali fissati dalla Direttiva Quadro Acque, con conseguenti sanzioni economiche a carico dello Stato.
Il primo scenario, statisticamente più probabile, prevede la dichiarazione di incostituzionalità della norma regionale da parte della Corte Costituzionale. In questo caso, la Regione Piemonte dovrebbe conformarsi alla normativa statale, ma potrebbe utilizzare l'esperienza maturata per proporre modifiche alla legislazione nazionale.
La Corte Costituzionale potrebbe emettere una sentenza interpretativa di rigetto, salvando la norma regionale ma limitandone significativamente la portata applicativa. Questo scenario consentirebbe alla Regione di mantenere margini di flessibilità nella gestione del deflusso ecologico, purché nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale.
Il conflitto potrebbe catalizzare una revisione della normativa nazionale sul deflusso ecologico, introducendo maggiore flessibilità e meccanismi di adattamento territoriale. Questo scenario richiederebbe un'iniziativa legislativa del Governo o del Parlamento.
Come professionista del diritto con esperienza specifica in materia ambientale e agricola, ritengo che la soluzione ottimale debba necessariamente passare attraverso un approccio sistemico che concili tutela ambientale e sostenibilità economica. La mia proposta si articola su tre livelli:
È necessaria una modifica dell'articolo 95 del Codice dell'ambiente che introduca criteri di flessibilità nella determinazione del deflusso ecologico, tenendo conto delle specificità territoriali, climatiche e produttive. La norma dovrebbe prevedere la possibilità di deroghe motivate in presenza di particolari condizioni ambientali o economiche.
Dovrebbero essere stipulati protocolli di intesa tra Stato e Regioni per la gestione coordinata delle risorse idriche, prevedendo meccanismi di monitoraggio congiunto e procedure di adattamento dei parametri di deflusso ecologico in base ai dati scientifici raccolti.
L'Italia dovrebbe assumere un ruolo di leadership nella revisione della Direttiva Quadro Acque, proponendo l'introduzione di meccanismi di flessibilità che tengano conto delle specificità territoriali e delle esigenze di sostenibilità economica dell'agricoltura.
La controversia tra Governo e Regione Piemonte rappresenta un banco di prova fondamentale per il futuro della governance ambientale in Italia. Al di là degli aspetti tecnico-giuridici, la vicenda solleva questioni di fondo sul modello di sviluppo sostenibile che il Paese intende perseguire.
La sfida consiste nel trovare un equilibrio tra la necessaria tutela degli ecosistemi acquatici e la sostenibilità economica dell'agricoltura, settore strategico per la sicurezza alimentare e la tenuta sociale dei territori rurali. Questo equilibrio non può essere raggiunto attraverso l'imposizione di parametri rigidi e uniformi, ma richiede un approccio flessibile e territorialmente differenziato.
La "provocazione normativa" di Cirio, pur presentando evidenti profili di incostituzionalità, ha il merito di aver portato all'attenzione nazionale e europea una questione di fondamentale importanza per il futuro dell'agricoltura italiana. Il confronto istituzionale che ne è scaturito potrebbe rappresentare l'occasione per una revisione complessiva della normativa ambientale in chiave più equilibrata e sostenibile.
Come avvocato e studioso del diritto ambientale, auspico che questa controversia possa trasformarsi in un'opportunità di crescita per il sistema giuridico italiano, stimolando l'adozione di soluzioni innovative che concilino tutela ambientale e sviluppo economico. La strada è certamente complessa, ma l'obiettivo di un'agricoltura sostenibile e competitiva merita ogni sforzo.