La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha progressivamente chiarito che, se da un lato i figli maggiorenni non hanno più un diritto incondizionato al mantenimento, dall'altro lato tale diritto permane quando essi non siano economicamente autosufficienti senza colpa. L'ordinanza n. 23443 del 18 agosto 2025 compie un ulteriore passo in questa direzione, affermando con nettezza che il figlio maggiorenne portatore di disabilità grave va equiparato, ai fini della tutela, al figlio minore, con tutte le conseguenze che ne derivano, inclusa la possibilità di assegnare la casa familiare al genitore collocatario.
La pronuncia, di grande rilevanza pratica, pone al centro la protezione dell'interesse del figlio fragile, inteso come diritto fondamentale che prevale rispetto agli interessi patrimoniali dei genitori.
Il quadro normativo di riferimento
La disciplina del mantenimento dei figli è contenuta negli artt. 147 e 148 c.c., nonché negli artt. 315-bis e 337-bis ss. c.c.
• Art. 337-bis c.c.: stabilisce che in tutte le decisioni relative ai figli il giudice deve tenere conto prioritariamente dell'interesse morale e materiale della prole.
• Art. 337-sexies c.c.: regola l'assegnazione della casa familiare, prevedendo che essa sia disposta nell'esclusivo interesse dei figli, e non del coniuge.
• Art. 315-bis c.c.: riconosce ai figli il diritto di essere mantenuti, educati e istruiti dai genitori, proporzionalmente alle capacità economiche di ciascuno.
Quanto ai figli maggiorenni, la regola generale vuole che essi abbiano diritto al mantenimento finché non raggiungano l'autosufficienza economica, ma senza poterne abusare: il venir meno dell'impegno nella formazione o la colpevole inerzia comportano l'esclusione del diritto.
La questione si complica in presenza di figli maggiorenni affetti da disabilità grave (riconosciuta ex legge n. 104/1992), i quali, proprio in virtù delle loro condizioni, difficilmente potranno raggiungere un'autonomia economica e personale.
Il principio affermato dalla Cassazione
Con l'ordinanza n. 23443/2025 la Corte di Cassazione ha statuito che:
«Il figlio maggiorenne portatore di disabilità grave deve essere equiparato al figlio minore quanto alle regole sull'affidamento, mantenimento e assegnazione della casa familiare, giacché l'interesse primario è garantire stabilità e continuità delle relazioni affettive e dell'ambiente domestico».
La Corte ha così superato definitivamente la distinzione tra figli minori e maggiorenni, quando la maggiore età non comporti alcuna reale emancipazione a causa della condizione di disabilità.
Ne deriva che, in caso di separazione o divorzio:
• il figlio disabile conserva il diritto al mantenimento, che resta a carico di entrambi i genitori in proporzione alle rispettive possibilità economiche;
• la casa familiare può essere assegnata al genitore con cui il figlio convive, a prescindere dall'età anagrafica dello stesso, se tale misura risponde al suo interesse;
• il giudice deve adottare criteri sostanzialmente analoghi a quelli previsti per i figli minori, privilegiando la continuità affettiva e abitativa.
Il ruolo dell'assegnazione della casa familiare
Tradizionalmente, l'assegnazione della casa familiare è legata alla tutela dei figli minori, quale strumento per garantire loro la stabilità dell'habitat domestico.
La novità della decisione sta nell'estendere tale garanzia anche al figlio maggiorenne disabile, riconoscendo che la sua condizione di vulnerabilità richiede lo stesso tipo di protezione.
Il principio si fonda su un'interpretazione evolutiva dell'art. 337-sexies c.c., che non viene letto in senso meramente letterale (limitato ai "figli minori"), ma teleologico: l'interesse protetto è quello del figlio non autosufficiente e non autonomo, anche se maggiorenne.
I contrapposti interessi dei genitori
Un profilo centrale riguarda l'equilibrio tra la tutela del figlio disabile e i diritti patrimoniali del genitore proprietario dell'immobile.
La Cassazione ha ribadito che l'interesse del figlio disabile prevale, pur dovendo essere contemperato con le condizioni economiche complessive delle parti. L'assegnazione della casa familiare non costituisce dunque un vantaggio patrimoniale per il coniuge affidatario, ma una misura di protezione in favore del figlio.
Ciò comporta che il genitore proprietario non può pretendere la restituzione immediata dell'immobile né invocare la maggiore età del figlio come causa automatica di cessazione dell'assegnazione.
Rilievi sistematici e prospettive
La decisione in esame si colloca nel solco di un orientamento già emerso in giurisprudenza, ma ne accentua la portata sistematica.
Essa valorizza il principio costituzionale di solidarietà familiare (artt. 2 e 30 Cost.), nonché la tutela delle persone disabili come diritto fondamentale (art. 3, comma 2, Cost.; Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità).
Si tratta di un approccio coerente con l'evoluzione del diritto di famiglia verso la centralità della persona e la protezione dei soggetti vulnerabili.
Un punto critico potrebbe riguardare la durata dell'assegnazione della casa familiare: in caso di disabilità permanente, essa rischia di trasformarsi in una misura a tempo indeterminato, incidendo sul diritto di proprietà del genitore non collocatario. È possibile che la giurisprudenza futura debba individuare correttivi, ad esempio prevedendo strumenti compensativi o indennitari.
Conclusioni
L'ordinanza n. 23443/2025 rappresenta una tappa significativa nell'evoluzione della tutela dei figli maggiorenni disabili in sede di separazione e divorzio.
Con l'equiparazione ai figli minori, la Cassazione riafferma che il criterio guida è l'interesse del figlio fragile, che prevale su ogni altra considerazione patrimoniale.
Ne discende un rafforzamento della tutela sostanziale, ma anche una ridefinizione degli equilibri tra i diritti dei genitori: la protezione della persona disabile si afferma come valore primario e inderogabile, coerente con la funzione solidaristica del diritto di famiglia e con i principi costituzionali e internazionali.