L'articolo 282-ter cpp "Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa", Inserito dal dl n. 11/2009 (conv. In l. n. 38/2009) e modificato dalla l. 69/2019 (Codice Rosso), dispone che: "– 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'art. 275bis.
2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
3. Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.
4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni".
La suddetta disposizione contempla tra le misure cautelari personali coercitive: il "Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa".
Il protagonista della vicenda in esame veniva raggiunto dalla misura restrittiva ex art. 282ter cpp, successivamente annullata.
Il caso apparentemente poco lineare, confonde infatti il tribunale del riesame cui veniva presentato il ricorso, contro l'ordinanza che prevedeva la misura in oggetto, in quanto non ravvisabili gli estremi dell'art. 387bis c.p.: "Violazione dei provvedimenti di allontanamento della casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa".
Il ricorrente difatti otteneva dal tribunale 'in veste di riesame' l'annullamento dell'ordinanza che applicava la misura in questione poiché "non erano ravvisabili i gravi indizi di reità a carico del ricorrente" visto che la vittima - tutelata dalla norma de qua - si era recata spontaneamente presso l'abitazione del soggetto cui era imposta la misura coercitiva, e vi era, tra l'altro, restata per qualche giorno ininterrottamente, pernottandovi.
Di conseguenza, secondo l'interpretazione del tribunale adito in sede di riesame ex art. 309 c.p.p., non era giustificata la prescrizione di mantenere una distanza di almeno 500 m "anche in caso di incontro occasionale e del divieto di comunicare con qualsiasi mezzo".
Il tribunale del riesame basava l'annullamento del provvedimento proprio sul comportamento della parte lesa, del soggetto passivo, come se la norma richiedesse alla vittima del reato una determinata condotta, in linea con la disposizione ex art. 282ter cpp, e quindi non contraddittoria con la misura cautelare "Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa", che viene invece imposta dalla norma e i 'cui effetti ricadono' esclusivamente sul soggetto attivo.
Il fatto che fosse stata la stessa parte lesa ad avvicinarsi al soggetto 'interessato' veniva considerato dai Giudici del riesame come un indice di non necessarietà della misura stessa, misura ritenuta pertanto non opportuna al caso concreto, in disamina.
Il Pubblico Ministero ricorre avverso tale decisione - sollecitando l'attenzione della S.C. - sottoponendo il suo disappunto in un unico quesito per "violazione di legge e vizio di motivazione" per avere i Giudici di merito "ritenuto in modo contraddittorio e illogico che la violazione delle prescrizioni della misura cautelare ex art. 282ter, comma 2, cod.proc.pen. non fosse sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 387 bis c.p.
Il Pubblico Ministero 'calca la spiegazione' e fa notare che l'indagato non aveva ottemperato alla misura in maniera completa, anche se non aveva cercato l'incontro con la ragazza del caso de quo, non lo aveva però nemmeno evitato fermamente "omettendo di adottare comportamenti scarsamente onerosi e quindi esigibili, come quello di richiedere l'intervento delle forze dell'ordine".
La S.C. nell'accogliere le doglianze del P.M. resta in linea con le decisioni della giurisprudenza che già si era imbattuta nell'interpretazione della norma de qua (sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023, T., Rv. 285542; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; sez. 6, n. 29688 del 06/06/2022, P; e sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273; Sez. 6, n. 7289 dell'11/01/2024, F.; Sez. 6, n. 31570 del 12/07/2022, O.) e rinsalda, inoltre, le argomentazioni di quest'ultimo ricordando anche gli "interventi legislativi rafforzativi" tesi alla tutela della vittima, tutela che non trascura la vulnerabilità di quest'ultima. E ricorda in merito la "legge del 24 novembre 2023 n. 168 sulla obbligatorietà del braccialetto elettronico nelle misure non custodiali ex artt. 282-bis, co. 6, e 282-ter, co. 1, c.p.p. e l'arresto obbligatorio in caso di violazione). Evidenziando che oltre alla legislazione e alla giurisprudenza nazionale ci sono prescrizioni sovrannazionali: "prime fra tutte quelle della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con legge 27/06/2013, n. 77), il cui obiettivo primario è quello di dare 'priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo', sia attraverso la predisposizione di 'un idoneo apparato di tutela', sia privando di 'poteri dispositivi 'la stessa persona offesa'".
Gli Ermellini a sostegno di tali argomentazioni ricordano inoltre nello specifico l'art. 55 (procedimenti d'ufficio o ex parte) della Convenzione di Istanbul che per i reati di violenza di genere e di violenza domestica prevede che i procedimenti penali continuino "anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia" tenendo conto dei fattori molteplici, soggettivi e oggettivi, della pressione e della manipolazione che potrebbe subire la vittima, soprattutto in condizioni di vulnerabilità.
Con la Sentenza del 6 febbraio 2025, (ud. 15 gennaio 2025) la S.C. continua quindi sull' onda della già tracciata giurisprudenza richiamando inevitabilmente la decisione delle Sezioni Unite (n. 39005 del 29/04/2021, Rv. 2819570), secondo cui: "la disposizione dell'art. 282ter c.p.p., completando il sistema di tutela adottato dall'art. 282bis c.p.p. […]la persona offesa deve potersi muovere liberamente con tranquillità con la certezza che il soggetto che minaccia la sua libertà fisica o morale si tenga a distanza, essendo obbligato all' allontanamento anche in caso fortuito"; ma anche la decisione della Corte Costituzionale (chiamata in ballo sulla questione di legittimità costituzionale delle misure cautelari di cui agli art. 282bis e 282 ter c.p.p., in "potenziale' contrasto con l'art. 13 della Cost. per la sensibile compressione delle libertà di movimento e dei diritti dell'indagato) che con la sent. n. 178 del 2024 nel disattendere la questione di legittimità sottopostale "ha ritenuto che il legislatore abbia operato un congruo bilanciamento tra le libertà di movimento dell'indagato e la esigenza di tutelare la incolumità fisica e psicologica della persona minacciata".
Pertanto la Sez. VI della Cassazione penale ritiene fondata la doglianza formulata dal P.M. in termini di violazione di legge e vizio di motivazione e annullando con rinvio l'ordinanza, fortifica le ragioni a supporto della decisione con l'art. 52 della Convenzione di Istanbul che prevede il "criterio di priorità alla sicurezza delle vittime e delle persone in pericolo" ponendo a sussidio del ragionamento anche la Direttiva UE 2024/1385 nella parte in cui esorta un'attenzione particolare al "rapporto di squilibrio" nel legame di dipendenza che si instaura tra vittima e aggressore, raccomandando agli Stati "valutazioni individuali delle esigenze di protezione della vittima".
L'aspetto psicologico della vittima di violenza deve sempre essere considerato, non può essere mai sottostimato.
Mai può o deve esserci una lettura superficiale nei casi di violenza di genere o domestica: "la incolumità fisica e psicologica della vittima vulnerabile, la cui tutela rappresenta l'obiettivo primario del legislatore nazionale e sovranazionale" deve sempre prevalere anche sulla libertà dell'indagato.
"La volontà della vittima non può avere efficacia scriminante e/o esimente né portata 'liberatoria' dagli obblighi", "occorrendo sempre effettuare una corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione dei comportamenti violenti in un'ottica di prioritaria sicurezza della vittima" (Sent. Sez 6, n. 46797 del 18/10/2023, T. Rv. 285542).
Il divieto ex art. 282ter c.p.p. quindi va interpretato di converso anche come obbligo di allontanarsi pure contro la volontà della parte lesa, in quanto è sempre 'prioritaria la sicurezza della vittima'.