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Notizie Giuridiche

» Pagamento retta RSA per malati di Alzheimer o di demenza. A chi spetta?
30/08/2025 - Floriana Baldino

Una questione, quella sulla spettanza della retta RSA prevista in favore dei malati di Alzheimer o affetti da demenza senile, da sempre dibattuta e mai risolta, eppure la Cassazione era già intervenuta sul punto nel 2012, e più recentemente è intervenuta con la sentenza n. 2038/2023.

Il principio sottolineato dalla Cassazione, è che i familiari dei malati di Alzheimer e di demenza senile non devono versare alcuna retta per il ricovero dei loro cari.

La Cassazione ha più volte ribadito il principio che: "l'attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza degli enti locali e/o della Regione, ai sensi dell'art. 30 della legge n. 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex art. 1 D.P.C.M. 8 agosto 1985, alla tutela della salute del cittadino".

Sul punto si è espressa favorevolmente anche la Corte di Appello di Milano, in una recente sentenza n. 3489/2024, pubblicata il 19/12/2024, con la quale ha riconosciuto il diritto degli eredi al rimborso della retta pagata in favore della mamma, morta in struttura, e ricoverata perché gravemente malata di Alzheimer.

La vicenda

Gli eredi della sig.ra Franca, nome di fantasia, ricoverata presso una struttura RSA dal 2009 e sino al suo decesso, avvenuto nel 2018, chiedevo il rimborso alla struttura RSA, di quanto versato in favore del de cuius dalla data del suo ricovero e sino all'ultimo giorno di permanenza della sig.ra Franca in struttura.

La richiesta di rimborso si basava sul principio, già più volte ribadito dalla Cassazione, secondo cui: "Nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite «se non congiuntamente» alla attività di natura socioassistenziale, cosicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale, in ogni caso, la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni -di natura diversa- debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla «complessiva prestazione» che deve essere erogata a titolo gratuito, dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l'intervento sanitario- socio assistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all'assistito, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato" (così Cass. pronuncia n. 2038/2023)."

Invero nel giudizio di primo grado era stato negato questo diritto, tuttavia in appello la sentenza ha ribaltato quanto deciso dal Giudice di prime cure.

La sentenza della Corte d'Appello di Milano

Nella sentenza della Corte di Appello si legge: "al fine dell'accertamento del discrimine tra prestazioni sanitarie e prestazioni socio-assistenziali, occorre porre l'attenzione sulla condizione del malato e non sulle caratteristiche della struttura ove è ospitato: "Ciò che rileva non è, quindi, che fosse stato concordato o comunque previsto, per quel singolo paziente, un piano terapeutico personalizzato o la sua corretta attuazione in conformità con gli impegni assunti verso il paziente o i familiari al momento del ricovero, quanto che quel piano fosse dovuto, e che quindi sussistesse la necessità, per il paziente, in relazione alla patologia della quale risultava affetto (morbo di Alzheimer), dello stato di evoluzione al momento del ricovero e della prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia, di un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l'aspetto assistenziale perché volto, attraverso le cure, a rallentare l'evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione, per gli stati più avanzati, in comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi. Solo qualora si escluda in concreto la necessità che per il singolo paziente affetto da Alzheimer, per la sua storia sanitaria personale, la prestazione socioassistenziale sia inscindibilmente legata con la prestazione sanitaria, è legittimo che parte della retta di degenza sia posta a carico del paziente" (orientamento che ha trovato conferma nelle successive pronunce della Cass. n. 21162/2024 e 26943/2024). Alla luce dei suesposti principi deve ritenersi che l'attività prestata in favore di un soggetto gravemente affetto dal morbo di Alzheimer, ricoverato in istituto di cura, sia qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del ai sensi dell'art. 30 della legge n. 730 del 1983, a prescindere dal fatto che sia stato previsto un piano terapeutico personalizzato, in quanto ciò che rileva è che quel piano fosse dovuto, perché volto, attraverso le cure, a rallentare l'evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione… La documentazione versata in atti evidenzia, pertanto, che la signora sin dal momento dell'ingresso nella RSA, necessitava di complesse prestazioni sanitarie e socio assistenziali, tra loro inscindibilmente connesse, perché necessarie al fine di rallentare l'evoluzione della malattia e contenere la sua degenerazione, evitando l'insorgere di comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi. Di conseguenza la necessità di assistenza specifica e continua da parte di personale specializzato e la somministrazione continuativa di cure specifiche in relazione all'evolversi della malattia dimostra che le prestazioni assistenziali prestate dalla struttura di ricovero fossero strettamente connesse a quelle sanitarie, dovendo pertanto essere poste a carico del servizio sanitario… P.Q.M. la Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: in accoglimento dell'appello e in riforma della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio n. 1499/2023 pubblicata in data 17 ottobre 2023, 1. Condanna… a restituire a…, ciascuno pro quota ereditaria, la somma di euro 120.964,80;".

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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