Il nuovo decreto rappresenta la risposta concreta a un'emergenza che da troppo tempo affligge il nostro territorio nazionale. Le pene per i reati ambientali sono state aumentate drasticamente, con sanzioni che arrivano fino a 7 anni di reclusione per i casi più gravi. Non si tratta di un mero esercizio di rigore punitivo, ma di una necessità imprescindibile per contrastare fenomeni criminali che hanno assunto dimensioni allarmanti, particolarmente nelle aree della cosiddetta "Terra dei fuochi".
La filosofia sottesa al provvedimento è cristallina: trasformare comportamenti che fino a ieri erano percepiti come "semplici infrazioni amministrative" in veri e propri reati, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano della deterrenza e della repressione. Come cassazionista, ho potuto constatare personalmente quanto fosse inadeguato il precedente sistema sanzionatorio, spesso incapace di scoraggiare efficacemente condotte gravemente lesive dell'ambiente e della salute pubblica.
Una delle innovazioni più rilevanti riguarda l'art. 255 del Testo Unico Ambientale, ora denominato "Abbandono di rifiuti non pericolosi". L'abbandono o deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi comporta ora una multa da 1.500 a 18mila euro, con l'aggiunta di una sanzione accessoria particolarmente innovativa: la sospensione della patente da 1 a 4 mesi quando l'abbandono viene effettuato mediante l'utilizzo di veicoli a motore.
Questa previsione rappresenta un'intuizione legislativa di particolare efficacia pratica. Chi, da professionista, non ha mai assistito al triste spettacolo di automobilisti che gettano rifiuti dai finestrini o scaricano materiali di risulta lungo le strade di campagna" La sospensione della patente introduce un elemento di deterrenza immediata e tangibile, colpendo direttamente uno strumento essenziale della vita quotidiana del trasgressore.
Per i titolari di imprese o enti, la condotta assume carattere penale con arresto da 6 mesi a 2 anni o ammenda da 3.000 a 27.000 euro. Quando l'abbandono avviene in aree protette, contaminate o comporta rischi per la salute pubblica, la pena detentiva va da sei mesi a cinque anni e mezzo, dimostrando la volontà del legislatore di graduare la risposta punitiva in base alla gravità del danno potenziale.
L'art. 256-bis, dedicato alla combustione illecita, subisce modifiche sostanziali che ne rafforzano significativamente l'efficacia deterrente. Per la combustione illecita di rifiuti le pene vanno da tre a sei anni per materiali non pericolosi e da tre anni e mezzo a sette anni per quelli pericolosi, con aumenti fino alla metà se dal rogo scaturisce un incendio.
Questa disposizione assume particolare rilevanza nella lotta contro i roghi dolosi che hanno caratterizzato tristemente alcune aree del nostro Paese. Come operatore del diritto, ritengo che l'inasprimento delle pene sia pienamente giustificato dalla gravità delle conseguenze che tali condotte possono determinare sulla salute pubblica e sull'ecosistema.
La realizzazione o gestione di discariche abusive è ora punita con reclusione da uno a cinque anni, che diventano da un anno e sei mesi a cinque anni e sei mesi se la discarica accoglie rifiuti pericolosi. In caso di condanna, il terreno sarà confiscato e il responsabile dovrà bonificarlo, introducendo un meccanismo di responsabilizzazione diretta che va oltre la mera sanzione punitiva.
Il decreto introduce un articolato sistema di sanzioni accessorie che merita particolare attenzione. Per le aziende di trasporto rifiuti non iscritte all'albo nazionale dei gestori ambientali è prevista la sospensione dell'attività da 15 giorni a due mesi e, in caso di recidiva, la cancellazione con divieto di reiscrizione per due anni.
Questa previsione colpisce al cuore uno dei fenomeni più diffusi nel settore: l'attività abusiva di trasporto rifiuti da parte di soggetti non qualificati. L'esclusione dall'Albo rappresenta una sanzione di particolare efficacia, poiché preclude de facto la possibilità di operare legalmente nel settore.
Una delle innovazioni più significative dal punto di vista processuale è l'introduzione della possibilità di arresto in flagranza differita anche per i reati ambientali più gravi, come disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti. Questo strumento, già sperimentato con successo in altri settori, consente alle forze dell'ordine di procedere all'arresto anche quando il reato non sia stato direttamente osservato, purché sussistano elementi di prova inequivocabili raccolti attraverso documentazione fotografica, cinematografica o altri mezzi.
Il decreto interviene anche sul sistema della responsabilità amministrativa degli enti, inserendo nuove fattispecie come l'omessa bonifica, l'impedimento dei controlli, il traffico illecito di rifiuti, l'abbandono di rifiuti e la combustione illecita tra i reati presupposto. Questa estensione rappresenta un ulteriore elemento di responsabilizzazione per le imprese, che dovranno necessariamente adeguare i propri modelli organizzativi per prevenire la commissione di tali reati.
Come professionista che ha dedicato gran parte della propria carriera alla tutela dell'ambiente nelle aule di giustizia, non posso che esprimere un giudizio positivo su questo intervento normativo. Il decreto rappresenta finalmente quella "stretta" che il settore attendeva da anni, introducendo strumenti concreti ed efficaci per contrastare fenomeni criminali che hanno assunto dimensioni preoccupanti.
La graduazione delle pene in base alla pericolosità dei rifiuti e al contesto in cui vengono abbandonati dimostra una maturità legislativa che tiene conto delle diverse sfaccettature del fenomeno. L'introduzione di sanzioni accessorie come la sospensione della patente e l'esclusione dall'Albo dei gestori ambientali rappresenta un approccio innovativo che va oltre la tradizionale logica punitiva per abbracciare una strategia di deterrenza più articolata ed efficace.
Il messaggio che il legislatore invia è chiaro e inequivocabile: l'ambiente non è più considerato un bene di serie B, ma un patrimonio da tutelare con la massima fermezza. Chi inquina non potrà più nascondersi dietro sanzioni irrisorie o considerare le multe come un semplice "costo d'impresa". Le conseguenze penali, patrimoniali e accessorie introdotte dal decreto sono destinate a cambiare radicalmente l'approccio di imprese e cittadini verso la gestione dei rifiuti.
Resta ora da verificare l'efficacia applicativa di queste nuove disposizioni, ma i presupposti per un cambio di passo significativo nella lotta ai reati ambientali ci sono tutti. Come sempre accade nel diritto, sarà la giurisprudenza di legittimità a definire i contorni interpretativi di queste nuove fattispecie, ma la direzione intrapresa dal legislatore appare inequivocabilmente orientata verso una tutela più incisiva e moderna dell'ambiente e della salute pubblica.
Erik Stefano Carlo BODDA è avvocato del foro di Torino abilitato al patrocinio avanti alle Giurisdizioni Superiori, già iscritto ai fori di Madrid e Parigi.
Titolare dello studio legale BODDA & PARTNERS con sede in Italia e all'estero.