Il ricorso, presentato da 18 migranti aspiranti la domanda di protezione internazionale, e dall'associazione ASGI, mira ad ottenere: i) la condanna della PA ad effettuare l'accesso e registrazione della domanda; ii) il riconoscimento del carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Questura di Torino, consistente nell'impedire ai ricorrenti e ad altri cittadini stranieri di accedere alla richiesta di protezione internazionale; iii) la condanna al pagamento in favore dei ricorrenti, ad euro 100 per ogni giorno di ritardo nell'adempimento; iv) nonché ordinare un piano di rimozione finalizzato a evitare il reiterarsi della discriminazione "e comunque ordinando la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione e/o su un giornale a tiratura nazionale".
Il ricorso, contenendo domanda cautelare, ha comportato un'udienza ad hoc, in cui si è costituita la PA resistente, "eccependo unicamente vizi procedurali e difetti di rappresentanza", superati a seguito di un rinvio per regolarizzare le irregolarità contestate e di un nuovo deposito del ricorso, con sottoscrizione e procura di tutti i difensori (inizialmente mancante alla data del primo deposito).
Raccolte le dichiarazioni dei ricorrenti, il Tribunale ha dunque accolto la domanda cautelare dichiarando la Questura di Torino tenuta «a ricevere e formalizzare la domanda di protezione internazionale », a cui poi la PA ha ottemperato.
Proseguendo il giudizio nel merito, la PA non si è presentata all'ultima udienza, così che, in assenza di richiesta di mezzi di prova testimoniali, la causa è stata decisa sulla base degli atti.
Premesso che "l'Amministrazione resistente non ha contestato la sussistenza del diritto dei ricorrenti a formalizzare la domanda di protezione internazionale, né che non avessero ancora avuto modo di formalizzarla", e sulla scorta della mancata formulazione dell'eccezione di incompetenza per territorio, e che in esecuzione dell'ordinanza cautelare, l'Amministrazione abbia poi ricevuto la domanda di protezione di alcuni ricorrenti e fissato l'appuntamento ad altri, sono state respinte le deduzioni della Resistente, confermando il diritto dei ricorrenti a presentare la domanda.
Parimenti, non essendo "in discussione da parte della PA resistente la legittimazione attiva" di tutti i ricorrenti, è stata ritenuta infondata l'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione, in quanto, da un lato è la legge stessa, con l'art. 28 del d.lgs. 150/2011 ad attribuire la cognizione di tali controversie al giudice ordinario e a prevedere che l'autorità giudiziaria possa ordinare alla PA eventualmente soccombente di adottare un piano di rimozione delle discriminazioni accertate; dall'altro, la C. Costituzionale con la sentenza n. 109 del 1993, ha sancito che le "azioni positive sono il «più potente strumento a disposizione del legislatore, al fine di assicurare alle categorie medesime uno statuto effettivo di pari opportunità di inserimento sociale, economico e politico»."
Venendo all'accertamento della condotta discriminatoria, e quindi di un trattamento diversificato e pregiudiziale, il Tribunale afferma che "i ricorrenti sono cittadini e cittadine stranieri/e che aspirano a presentare una domanda diretta ad ottenere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria", ricordando come, "al richiedente protezione internazionale, la legge riconosca una serie di diritti", e riportando le loro esperienze. In particolare, "i ricorrenti deducono, inoltre, che «a fronte delle circa 70 persone che ogni mattina si recano presso gli Uffici della Questura per formalizzare la loro domanda di protezione internazionale», solo circa 10 persone al giorno riescano ad accedere all'Ufficio ed a formalizzare la domanda", e "lamentano inoltre che la Questura di Torino non ha mai reso noti i criteri adottati per la selezione, tra le persone che attendono in coda all'esterno della sede degli uffici immigrazione, di quelle alle quali viene consentito accedere all'interno e formalizzare la domanda."
Per ciascuno dei ricorrenti, inoltre, "è stata prodotta in giudizio documentazione volta a dimostrare i tentativi da ciascuno effettuati, senza esito, per formalizzare la domanda", e "con riferimento alla natura discriminatoria del comportamento serbato dalla Questura di Torino, le parti ricorrenti allegano di essere rimaste vittime di una disparità di trattamento" sia rispetto ai cittadini stranieri, ai quali è stato consentito di formalizzare la domanda di protezione; sia rispetto ai cittadini italiani, i quali possono accedere a sistemi di prenotazione online.
Le repliche della PA per cui "alcuna distinzione «basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose» viene effettuata"; la "selezione" all'ingresso avviene per motivi di tutela di fragilità e, comunque, per garantire il miglior funzionamento dell'Ufficio, nell'interesse dell'utenza; che nel riconoscimento di casi di fragilità all'ingresso, sono seguiti gli ordinari criteri di precedenza per donne incinte, persone con minori, soggetti con criticità conclamate; che le posizioni dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti e dei cittadini italiani sono del tutto differenti da quelle degli stranieri irregolari dovendo necessariamente procedere all'identificazione ed al fotosegnalamento, sono state respinte in ragione della disposizione di legge per cui non rileva la presenza o l'assenza di intenzioni discriminatorie potendo assumere rilievo anche «l'effetto» discriminatorio (art. 43, co. 1, d. lgs. n. 286 del 1998); sulla circostanza che il "sistema della coda" è stato imposto anche a persone che erano già identificate sulla base di documenti di identità; e che "ciascuno dei ricorrenti ha provato di aver tentato nel corso del tempo (senza successo) di formalizzare una domanda di protezione internazionale riportando che in alcune giornate, venivano allontanati "alcuni stranieri in ragione della loro specifica nazionalità, «oggi sud americani basta», il che porta ragionevolmente a ritenere che operi un tetto massimo di richieste per ciascuna nazionalità" (circostanza già accertata dal medesimo Tribunale con precedenti ordinanze).
Alla luce dei rilievi sopra portati, il Tribunale ha ritenuto dimostrato che: i) l'accesso dei cittadini italiani ai diritti che presuppongono la presentazione di una domanda amministrativa è agevolato mediante la predisposizione di canali, anche telematici, che non richiedono un'attesa, prolungata, in coda e senza esito certo; ii) l'accesso dei cittadini stranieri che intendono presentare una domanda di protezione internazionale è viceversa soggetto alla prassi denunciata; iii) infine, sono oscuri, siccome non resi noti agli interessati e neppure nel corso del presente giudizio, i criteri sulla cui base viene operata la scelta per individuare quelle alle quali nella singola giornata viene consentito di accedere e formalizzare la domanda; peraltro, uno dei fattori di vulnerabilità segnalato dalla PA resistente (lo stato di gravidanza di una donna) nemmeno risulta sempre percepibile.
In conclusione, la prassi utilizzata ha effetti che possono essere qualificati come discriminatori: da un lato, comporta mortificanti condizioni alle persone straniere che – in ogni stagione e con ogni clima – si mettono in coda, nella speranza di rientrare tra i "prescelti"; dall'altro, la mancata possibilità di formalizzare la domanda di protezione internazionale costituisce un ostacolo all'accesso a diritti fondamentali quali il diritto di asilo, il diritto a soggiornare regolarmente in Italia; il diritto al lavoro (ex art. 22 d.lgs. n. 142/2015); il diritto alla salute; all'iscrizione anagrafica, etc.
A fronte di ciò, posto che la PA "non ha esplicitato difese, né ha ventilato alcuna specifica possibilità di cambiamento; né è comparso in giudizio alcun funzionario della PA (che avrebbe potuto spiegare quali difficoltà organizzative si presentino e gli accorgimenti adottabili dalla PA per ovviarvi)", e i "difensori dei ricorrenti hanno dato atto dell'esito infruttuoso degli incontri che, nelle more del giudizio, si sono tenuti", tenuto conto che le citate "Difese hanno evidenziato la possibilità di adottare modelli organizzativi già in uso presso altre questure della Repubblica italiana", in particolare, presso l'Ufficio immigrazione della Questura di Milano attraverso un sistema di calendarizzazione degli appuntamenti, viene ordinato all'Amministrazione convenuta di predisporre un sistema analogo a quello citato, per la cui descrizione il provvedimento rinvia al sito ufficiale, indicando altresì il quotidiano a tiratura nazionale editato a Torino ai fini della pubblicazione della sentenza.
I citati Enti vengono infine condannati alle spese del giudizio, liquidate in circa 13.000 euro, oltre accessori di legge, da versarsi ai difensori dichiaratisi antistatari, cioè anticipatari delle spese del giudizio.
Gli Organi competenti hanno già reso noto che sarà valutata la possibilità di proporre appello.