Lo "sminuire" dopo un rifiuto non si configura come una semplice opinione negativa o una critica isolata, bensì come una vera e propria strategia di demolizione dell'identità altrui. L'elemento psicologico che lo caratterizza è un dolo specifico: l'autore non agisce per caso, ma con l'intento di ferire, ridurre il valore percepito della donna e riaffermare un dominio narcisistico messo in discussione dal rifiuto.
Le condotte reiterate di umiliazione, discredito e offesa possono integrare gli estremi della violenza psicologica, rilevante sia in ambito civile che penale. In particolare, quando tali atti generano ansia, paura o senso di oppressione, essi possono essere ricondotti alla fattispecie di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. (stalking). Non è raro, inoltre, che vi siano gli estremi per la diffamazione (art. 595 c.p.), specie se il discredito avviene in contesti pubblici o digitali.
Sul piano criminologico, questo tipo di condotta si inserisce nel più ampio fenomeno della violenza di genere, intesa non solo come aggressione fisica ma come controllo e punizione esercitati sulla donna che si autodetermina.
Riconoscere e qualificare giuridicamente questi comportamenti è fondamentale per tutelare le vittime e contrastare le radici culturali della prevaricazione emotiva e simbolica.
Dott. Alessandro Pagliuca
Avvocato abilitato all'esercizio della professione forense - Criminologo
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