Il giudizio ha ad oggetto le due domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 31 ottobre e del 4 novembre 2024. Il substrato normativo è la Direttiva UE 2013/32 (applicabile fino al 12 giugno 2026 - data di entrata in vigore del regolamento UE 2024/1348) che prevede che "La designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro ai fini della presente direttiva non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese"; "gli Stati membri dovrebbero condurre riesami periodici sulla situazione in tali paesi sulla base di una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni di altri Stati membri, dell'EASO, dell'UNHCR, del Consiglio d'Europa e di altre pertinenti organizzazioni internazionali".
"Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell'allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale." (art. 37). Il citato allegato contiene una vaga definizione per cui "Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale." Specificando che per effettuare tale valutazione si tiene conto delle disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate; del rispetto dei diritti e delle libertà; del principio di "non respingimento" conformemente alla convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951; e diun sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.
Al contempo, il decreto-legge n. 158/2024 contiene un elenco ad hoc per cui "sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo
Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia."
La vicenda riguarda due cittadini della Repubblica popolare del Bangladesh che, dopo essere stati soccorsi in mare dalle autorità italiane e condotti in Albania (nel centro di permanenza di Gjadër in applicazione del Protocollo tra il Governo italiano e la Repubblica di Albania) hanno presentato domanda di protezione internazionale.
Con decisioni del 17 ottobre 2024, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma ha respinto tali domande, in esito a una procedura accelerata di frontiera (prevista per questi casi), con la motivazione che provenivano da un paese di origine considerato sicuro.
A seguito dell'impugnazione avverso il rigetto, il Tribunale ordinario di Roma quale giudice del rinvio ha ritenuto di sollevare questioni pregiudiziali in ordine alla designazione della Repubblica popolare del Bangladesh come paese di origine sicuro.
Le questioni pregiudiziali concernono quattro punti, così sintetizzati: 1) se un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri possa anche designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro; 2) se la designazione di uno Stato terzo come Paese di origine sicuro possa avvenire senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione, così impedendo al richiedente asilo di contestarne, ed al giudice di sindacarne, la provenienza, l'autorevolezza, l'attualità, e comunque in generale il contenuto; 3) se il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti attendibili; 4) se un Paese terzo possa essere definito "di origine sicuro" qualora vi siano categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione.
Le risposte della CdG non apportano sorprendenti modifiche e, sulla scia della nota sentenza del 04 ottobre 2024 (C-406/22), ribadiscono che uno Stato membro non possa designare come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I della direttiva citata.
In conclusione, la Corte sul primo quesito sancisce che la circostanza che uno Stato membro abbia scelto di procedere alla designazione di paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo non può essere tale da impedire al giudice nazionale di effettuarne l'accertamento; conseguentemente, uno Stato membro può procedere alla designazione mediante un atto legislativo, a condizione che tale assegnazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale vertente sul rispetto delle condizioni sostanziali enunciate all'allegato I a detta direttiva, da parte di qualsiasi giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione concernente una domanda di protezione.
Con riferimento al secondo quesito, premesso che la possibilità per il richiedente di superare tale presunzione richiede, per essere efficace, che sia messo in condizioni di conoscere le ragioni per le quali si presume che il suo paese di origine sia sicuro; e che l'efficacia del controllo giurisdizionale in ordine al rispetto delle condizioni sostanziali, enunciate all'allegato I alla direttiva 2013/32, presuppone che il giudice adito possa avere accesso alle fonti di informazione sulla base delle quali l'autorità nazionale competente ha proceduto alla designazione, lo Stato membro, che designa un paese terzo come paese di origine sicuro, deve garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione sulle quali si fonda tale designazione, accesso che deve, da un lato, consentire al richiedente di difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se gli sia utile adire il giudice competente e, dall'altro, consentire a quest'ultimo di esercitare il proprio sindacato su una decisione concernente la domanda di protezione internazionale.
Diretto corollario del punto che precede, è – sul terzo quesito - che il giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione, relativa a una domanda di protezione internazionale esaminata nell'ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paesi di origine sicuri, può, qualora verifichi anche solo in via incidentale se tale designazione rispetti le condizioni, tener conto delle informazioni da esso stesso raccolte, a condizione, da un lato, di accertarsi dell'affidabilità di tali informazioni e, dall'altro, di garantire alle parti in causa il rispetto del principio del contraddittorio.
Da ultimo, il quarto quesito: premesso che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro dipende dalla possibilità di dimostrare che non ci sono «generalmente» e «costantemente» persecuzioni, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, e che la designazione, da parte di uno Stato membro, di paesi terzi come paesi di origine sicuri consente di sottoporre le domande di protezione internazionale presentate da richiedenti provenienti da tali paesi terzi a un regime speciale d'esame, avente carattere derogatorio, uno Stato membro non potrà designare come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I a detta direttiva.
Pertanto, spetterà al giudice del rinvio, verificare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento, se la designazione della Repubblica popolare del Bangladesh come paese di origine sicuro, prevista ad opera del decreto legge n. 158/2024, soddisfi le condizioni sostanziali di siffatta designazione, con riferimento a tutta la popolazione di tale paese terzo.
Le soluzioni adottate non risolvono il caso concreto, di cui si occuperà il Tribunale di Roma che dovrà decidere anche sulle spese.
Poichè il concetto di paese sicuro è intrinsecamente relativo e non gode di un significato univoco ed universale, dipendendo dal contesto normativo e socio-politico dello Stato in cui viene giudicato, e l'espressione di "talune categorie di persone" si presta ad ambiguità, rischiando di rendere vaga e incerta la delimitazione, appare imprescindibile allegare le ragioni della domanda per cui è richiesta la protezione e l'onere probatorio di dimostrare la categoria di appartenenza per cui il paese in esame non sarebbe sicuro, le circostanze specifiche e personali che rendano il Paese non sicuro, nonchè i concreti rischi che il soggetto corre in tale territorio, onde evitare situazioni paradossali di un'allegazione generica dello Stato di provenienza, di casi analoghi decisi in maniera difforme a livello nazionale o tra Stati membri, l'emigrazione di interi popoli; o estensioni interpretative che porterebbero ad escludere la quasi totalità degli Stati per la previsione della pena di morte o per la sola presenza di sanzioni detentive ritenute eccessive rispetto al diritto penale di uno Stato europeo; o ad ammettere richieste di protezione per Stati adibiti al traffico turistico per la maggior parte dell'anno in cui non vi è un rischio generalizzato, non tenendo conto che in quasi tutte le Nazioni esistono situazioni localizzate, come singoli quartieri o determinate zone isolate, di maggior pericolo o elevata criminalità e discriminazione verso una o più categorie di persone.