La scomparsa di Vladimiro Zagrebelsky, avvenuta il 5 agosto scorso nella sua casa di villeggiatura a Gressoney-La-Trinité, segna la fine di un'epoca per il diritto italiano ed europeo. Con lui se ne va una delle figure più autorevoli e influenti del panorama giuridico contemporaneo, un maestro che ha saputo coniugare rigore scientifico, impegno istituzionale e profonda umanità al servizio della giustizia e dei diritti fondamentali.
Nato a Torino il 25 marzo 1940 da una famiglia di origini russe approdata in Italia nei primi decenni del Novecento, Vladimiro Zagrebelsky ha incarnato fin dalle origini quella dimensione europea e cosmopolita che avrebbe caratterizzato tutta la sua carriera. La famiglia Zagrebelsky, proveniente da San Pietroburgo e trasferitasi a Sanremo dopo la Rivoluzione Russa, ha dato all'Italia due giganti del pensiero giuridico: Vladimiro e il fratello Gustavo, ex presidente della Corte Costituzionale. Entrambi cresciuti in un ambiente culturalmente ricco e intellettualmente stimolante, hanno rappresentato due pilastri del pensiero giuridico italiano, capaci di confrontarsi con la complessità del mondo contemporaneo partendo da una profonda fede nei valori costituzionali.
La formazione accademica di Vladimiro Zagrebelsky si compie all'Università di Torino, dove si laurea in Giurisprudenza nel 1963, per poi intraprendere immediatamente la carriera universitaria come libero docente di Diritto penale. Ma è nel 1965 che inizia il percorso che lo porterà a diventare una delle personalità più rispettate della magistratura italiana: l'ingresso in magistratura, dove eserciterà a lungo a Torino sia come giudice che come pubblico ministero.
La carriera giudiziaria di Zagrebelsky si distingue fin da subito per equilibrio, indipendenza e competenza. Qualità che vengono riconosciute dai colleghi magistrati che lo eleggono per due mandati al Consiglio Superiore della Magistratura (1981-1985 e 1994-1998), dove si afferma come una voce autorevole e moderata, sempre attenta alla tutela dell'indipendenza della magistratura e al corretto funzionamento del sistema giudiziario. In quegli anni cruciali per la giustizia italiana, segnati dalle tensioni degli anni di piombo prima e dalle inchieste di Mani Pulite poi, Zagrebelsky rappresenta un punto di equilibrio e di saggezza istituzionale.
Il passaggio successivo della sua carriera lo vede protagonista nell'alta amministrazione della giustizia. Dal 1998 al 2001 dirige prima la Direzione generale dell'organizzazione giudiziaria e poi l'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia, incarichi che interpreta con la sobrietà e la serietà che gli sono proprie, contribuendo in modo determinante all'attuazione della riforma del codice di procedura penale. In questi ruoli di vertice, Zagrebelsky dimostra non solo competenza tecnica, ma anche una visione strategica del sistema giudiziario, sempre orientata al miglioramento dell'efficienza e della qualità della giustizia.
Ma è nel 2001 che inizia forse il capitolo più significativo della sua carriera: l'elezione a giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, incarico che manterrà fino al 2010. In questo ruolo, Zagrebelsky non è solo un giudice tra i tanti, ma diventa rapidamente uno dei punti di riferimento più autorevoli dell'intera Corte. La sua profonda conoscenza del diritto penale, unita alla sensibilità per i diritti fondamentali maturata negli anni della magistratura italiana, lo rende un interprete particolarmente attento e raffinato della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Durante il suo mandato a Strasburgo, Zagrebelsky contribuisce in modo determinante all'evoluzione della giurisprudenza europea in materia di diritti umani. Le sue decisioni e i suoi contributi dottrinali influenzano profondamente l'interpretazione di principi fondamentali come il diritto a un processo equo, sancito dall'art. 24 della Costituzione italiana e dall'articolo 6 della CEDU, il diritto alla libertà personale, il principio di legalità penale. La sua visione del diritto europeo dei diritti umani come sistema vivente, capace di adattarsi alle sfide del tempo senza perdere la propria identità valoriale, diventa un punto di riferimento per generazioni di giuristi.
Particolarmente significativo è il suo contributo all'elaborazione di quella giurisprudenza che, come evidenziato dalla Cassazione civile nelle sezioni unite del 2024, ha affermato il principio secondo cui "l'applicazione da parte delle Corti nazionali di formalità ingiustificate o irragionevoli da osservare per proporre un ricorso rischia di violare il diritto di accesso alla giustizia, compromettendolo nella sua essenza". Questo approccio, che privilegia la sostanza sulla forma e l'effettività della tutela sui formalismi procedurali, porta l'impronta del pensiero zagrebelskiano e della sua concezione della giustizia come servizio al cittadino.
L'eredità intellettuale di Vladimiro Zagrebelsky non si esaurisce nella sua attività giurisdizionale. Studioso instancabile e autore di una produzione scientifica vastissima, ha scritto opere fondamentali su diritto penale, magistratura, processo e giustizia europea. Tra le sue pubblicazioni più significative si annoverano "Reato continuato" (Giuffré, 1970 e 1976), "Lesioni e percosse" (1980), "Diritti dell'Uomo e Libertà Fondamentali" (con M. de Salvia, Giuffré, 2006–2008), il "Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo" (Cedam, 2012) e il "Manuale dei diritti fondamentali in Europa" (con R. Chenal e L. Tomasi, Il Mulino, 2016–2022).
Questi lavori non sono semplici trattazioni accademiche, ma rappresentano veri e propri strumenti di lavoro per generazioni di magistrati, avvocati e studiosi. Il suo approccio metodologico, caratterizzato da rigore scientifico e chiarezza espositiva, ha contribuito a formare la cultura giuridica italiana ed europea degli ultimi decenni. Le sue collaborazioni con riviste giuridiche italiane e internazionali hanno affrontato i nodi centrali del diritto contemporaneo: l'indipendenza della magistratura, l'obbligatorietà dell'azione penale, il ruolo della Corte europea dei diritti dell'uomo, l'evoluzione del principio di legalità in chiave sovranazionale.
Dopo la conclusione del mandato a Strasburgo nel 2010, Zagrebelsky non si ritira dalla vita accademica e culturale. Al contrario, fonda e dirige fino al 2024 il Laboratorio dei Diritti Fondamentali (LDF) di Torino, centro di ricerca sui diritti umani che diventa rapidamente un punto di riferimento per studiosi e operatori del diritto. Attraverso il LDF, Zagrebelsky continua la sua opera di formazione e divulgazione, organizzando convegni, seminari e pubblicazioni che mantengono vivo il dibattito sui diritti fondamentali.
La sua attività di editorialista per La Stampa gli consente inoltre di portare la sua competenza e la sua autorevolezza al di fuori del mondo strettamente giuridico, contribuendo al dibattito pubblico su temi di giustizia e diritti civili. I suoi interventi, sempre misurati e documentati, rappresentano un esempio di come l'expertise giuridica possa contribuire costruttivamente al dibattito democratico.
Il riconoscimento istituzionale del valore della sua opera arriva nel 2010 con il conferimento del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, il massimo riconoscimento civile dello Stato. Ma al di là dei riconoscimenti formali, l'eredità di Vladimiro Zagrebelsky risiede nell'influenza profonda che ha esercitato sulla cultura giuridica italiana ed europea.
La sua concezione del diritto come strumento di tutela della dignità umana, il suo approccio metodologico rigoroso ma mai formalistico, la sua visione della giustizia come servizio al cittadino e fondamento della democrazia rappresentano un patrimonio di valori e di metodo che continuerà a ispirare le future generazioni di giuristi. Come evidenziato dal principio sostanziale dell'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, l'opera di Zagrebelsky ha contribuito a dare sostanza e concretezza a questi principi fondamentali.
La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile nel panorama giuridico italiano ed europeo. Ma il suo insegnamento, la sua opera scientifica, il suo esempio di rigore morale e intellettuale continuano a vivere nelle istituzioni che ha contribuito a costruire, negli allievi che ha formato, nei principi che ha contribuito a affermare. Vladimiro Zagrebelsky è stato davvero un maestro dei diritti e un faro per tutti i giuristi del millennio, una figura che ha saputo coniugare competenza tecnica e sensibilità umana, rigore scientifico e impegno civile.
In un'epoca in cui i diritti fondamentali sono spesso messi in discussione e la giustizia è sottoposta a pressioni di vario genere, l'esempio di Vladimiro Zagrebelsky ci ricorda che il diritto, quando è animato da autentici valori democratici e da profonda umanità, può essere davvero uno strumento di progresso e di civiltà. La sua eredità intellettuale e morale rappresenta un patrimonio prezioso per tutti coloro che credono nella giustizia e nei diritti umani come fondamenti irrinunciabili di una società libera e democratica.
Erik Stefano Carlo Bodda è avvocato del foro di Torino, già iscritto anche a Madrid e Parigi. Ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della LUISS e ha operato in Europa, Africa, America latina e Medioriente. È fondatore dello studio legale BODDA & PARTNERS con sedi in Italia e all'estero