La sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 1° agosto 2025, nelle cause riunite C-758/24 (Alace) e C-759/24 (Canpelli), rappresenta un momento di svolta epocale nel diritto dell'asilo europeo. Con una pronuncia che non lascia spazio a interpretazioni ambigue, i giudici di Lussemburgo hanno definitivamente chiarito che uno Stato membro non può includere nell'elenco dei paesi di origine sicuri un paese che "non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione".
Questo principio, cristallino nella sua formulazione ma rivoluzionario nelle sue implicazioni, demolisce dalle fondamenta l'intera architettura normativa e operativa su cui si basava il discusso protocollo Italia-Albania. Come giurista che da anni si occupa di diritto dell'immigrazione, ritengo che questa pronuncia segni un punto di non ritorno nell'evoluzione del diritto europeo dell'asilo, imponendo una revisione radicale delle politiche migratorie nazionali.
La Corte ha stabilito con chiarezza che la designazione di un paese come sicuro deve garantire protezione a "tutta la popolazione", senza eccezioni che possano compromettere la sicurezza di categorie specifiche di persone. Questo principio va oltre quanto già stabilito nella sentenza del 4 ottobre 2024, che aveva già posto limiti significativi alle eccezioni territoriali.
La portata rivoluzionaria emerge con particolare evidenza se confrontata con l'orientamento consolidato dalla giurisprudenza di legittimità italiana, che aveva ammesso la possibilità di eccezioni soggettive nella designazione dei paesi sicuri. La Corte di Giustizia ha invece chiarito che la protezione deve essere garantita universalmente, senza distinzioni che possano lasciare scoperte intere categorie di persone.
La sentenza stabilisce inoltre che "le fonti di informazione su cui si fonda tale designazione devono essere accessibili al richiedente e al giudice nazionale", introducendo un elemento di trasparenza procedurale che rafforza significativamente le garanzie del contraddittorio.
La sentenza del 1° agosto 2025 consolida definitivamente il principio secondo cui uno Stato membro può designare paesi di origine sicuri mediante atto legislativo, ma tale designazione deve necessariamente essere sottoposta a un controllo giurisdizionale effettivo. Questo principio, già enunciato nell'ottobre 2024, trova ora una formulazione ancora più netta e vincolante.
La Cassazione civile aveva già chiarito che il giudice della convalida, pur non potendosi sostituire alla valutazione ministeriale sulla designazione generale di sicurezza, deve verificare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale qualificazione, potendo negare la convalida quando emerga che la valutazione ministeriale sia manifestamente irragionevole o non più rispondente alla situazione reale del paese.
La sentenza europea rafforza questo orientamento, stabilendo che il controllo giurisdizionale non può essere meramente formale, ma deve essere sostanziale ed effettivo. Il giudice nazionale deve poter valutare, sulla base di fonti informative aggiornate e accessibili, se la designazione di un paese come sicuro sia ancora conforme ai criteri stabiliti dal diritto dell'Unione.
La sentenza assume particolare rilevanza per il caso del Bangladesh, paese frequentemente coinvolto nelle procedure di rimpatrio verso l'Albania. Come evidenziato dalla cronaca giudiziaria, due cittadini del Bangladesh, soccorsi in mare dalle autorità italiane, sono stati condotti in un centro di permanenza in Albania in applicazione del protocollo Italia-Albania, da dove hanno presentato una domanda di protezione internazionale.
La giurisprudenza di legittimità aveva già rilevato che il Bangladesh, pur designato come sicuro, presenta eccezioni per alcune categorie di persone (appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici), circostanza che, alla luce della nuova sentenza europea, compromette definitivamente la sua qualificazione come paese sicuro.
Il principio della protezione universale stabilito dalla Corte rende infatti impossibile mantenere la designazione di sicurezza per paesi che, pur non presentando persecuzioni generalizzate, non garantiscono protezione adeguata a specifiche categorie di persone. Questo approccio riflette una concezione più matura e sofisticata dei diritti umani, che non ammette discriminazioni o lacune nella tutela.
La pronuncia europea ha immediate e dirompenti ripercussioni sul protocollo Italia-Albania. Il protocollo appare ora in evidente contrasto con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, poiché nei centri posti sotto giurisdizione italiana saranno condotti solo cittadini provenienti da paesi di origine designati come sicuri.
La sentenza chiarisce che, nell'ipotesi in cui la Questura chiederà la convalida del trattenimento di un cittadino di un paese che non offre protezione sufficiente a tutta la sua popolazione, il giudice italiano potrà negarla, applicando la direttiva europea nel modo in cui la Corte ha stabilito. Questo significa che se l'Italia deciderà di portare migranti nei centri in Albania, potrebbe essere costretta a riportarli in Italia dove le loro domande verranno esaminate con procedura ordinaria e senza poterli trattenere.
Il meccanismo operativo del protocollo, basato sulla preselezione di richiedenti provenienti da paesi sicuri per l'applicazione della procedura accelerata di frontiera, risulta così completamente compromesso. La necessità di garantire protezione universale rende infatti impraticabile l'identificazione di paesi che possano essere considerati sicuri senza eccezioni.
Un elemento di particolare innovazione della sentenza riguarda l'obbligo di accessibilità delle fonti informative. La Corte ha stabilito che le fonti di informazione su cui si basa la designazione di un paese come sicuro devono essere accessibili sia al richiedente che al giudice nazionale. Questo principio introduce un nuovo standard di trasparenza procedurale che rafforza significativamente le garanzie del contraddittorio e del diritto di difesa.
Tale principio assume particolare rilevanza alla luce delle pronunce della Cassazione che avevano già sottolineato come la valutazione della sicurezza di un paese terzo non possa basarsi esclusivamente sulla designazione formale operata con decreto ministeriale, ma richieda una verifica sostanziale delle condizioni di tutela dei diritti fondamentali.
L'accessibilità delle fonti informative rappresenta una conquista fondamentale per lo stato di diritto, poiché consente al richiedente e al suo difensore di contestare efficacemente la designazione di sicurezza, fornendo elementi contrari o aggiornamenti sulla situazione del paese di origine. Questo principio trasforma radicalmente il rapporto tra autorità amministrativa e controllo giurisdizionale, imponendo una maggiore accountability nelle decisioni governative.
È significativo rilevare come la giurisprudenza italiana, in particolare quella di legittimità, avesse già anticipato molti dei principi ora definitivamente sanciti dalla Corte di Giustizia europea. Le recenti ordinanze della prima sezione civile avevano chiarito che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro può essere effettuata con eccezioni di carattere personale, purché non sussistano persecuzioni estese, endemiche e costanti tali da contraddire il requisito dell'assenza di persecuzioni generalizzate.
La Cassazione aveva inoltre precisato che il giudice della convalida, garante dell'effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta al Ministro degli affari esteri, ma è chiamato a riscontrare la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro.
Questo orientamento giurisprudenziale, che aveva suscitato aspre critiche da parte del governo, si rivela ora pienamente conforme ai principi europei e rappresenta un esempio virtuoso di dialogo tra giurisdizioni nazionali e sovranazionali nella tutela dei diritti fondamentali.
La sentenza impone una revisione radicale del sistema normativo italiano in materia di paesi sicuri. Il D.Lgs. n. 286/1998, che disciplina l'esecuzione dell'espulsione e il trattenimento degli stranieri, dovrà essere adeguato ai nuovi standard europei. Particolare attenzione dovrà essere prestata alle disposizioni relative al controllo giurisdizionale dell'espulsione amministrativa, che dovranno garantire un sindacato effettivo sulla designazione dei paesi sicuri, in linea con i principi affermati dalla Corte di Giustizia.
Il decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, emanato dal governo in risposta alle prime decisioni giurisprudenziali che avevano negato la convalida dei trattenimenti in Albania, appare ora completamente superato dalla pronuncia europea. La nuova lista dei paesi sicuri, elevata a rango di legge primaria, non risolve le criticità contestate, ma anzi le amplifica, poiché mantiene designazioni di sicurezza per paesi che non garantiscono protezione universale.
La sentenza attribuisce al giudice nazionale un ruolo di primaria importanza quale garante ultimo dell'effettività del controllo giurisdizionale. Il giudice deve verificare d'ufficio la legittimità della designazione di un paese come sicuro, non limitandosi a una valutazione meramente formale dell'atto amministrativo, ma procedendo a una verifica sostanziale della protezione offerta a tutta la popolazione.
Questo controllo si articola su diversi livelli, tutti ora rafforzati dalla pronuncia europea: verifica dell'aggiornamento delle informazioni e della loro provenienza da fonti qualificate e accessibili, valutazione della situazione concreta del richiedente, accertamento che la valutazione governativa non abbia superato i confini della ragionevolezza rispetto alla situazione reale del paese.
La giurisprudenza di legittimità aveva già chiarito che il giudice della convalida, garante dell'effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta al Ministro degli affari esteri, ma è chiamato a riscontrare la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro.
La sentenza della Corte di Giustizia impone una riflessione complessiva e urgente sul sistema europeo di gestione delle domande di asilo. Il principio della protezione universale, ora definitivamente sancito, richiede una revisione sostanziale dell'approccio seguito fino ad oggi nella designazione dei paesi sicuri.
La sfida per il legislatore italiano sarà quella di adeguare immediatamente il proprio ordinamento ai principi affermati dalla Corte, abbandonando definitivamente il protocollo con l'Albania e rivedendo i criteri di designazione dei paesi sicuri. Il sistema dei centri di permanenza per i rimpatri dovrà essere ripensato in funzione di una gestione delle domande di asilo che privilegi la tutela dei diritti fondamentali rispetto alle esigenze di controllo dei flussi.
La temporaneità della disciplina attuale, valida fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento UE atteso per il 12 giugno 2026, non deve essere vista come un'attenuante, ma piuttosto come un'opportunità per costruire un sistema più giusto ed efficace. Il legislatore europeo può anticipare tale data, rendendo necessario un costante monitoraggio dell'evoluzione normativa.
Dal punto di vista politico, la sentenza rappresenta il fallimento completo della strategia governativa italiana in materia di immigrazione. L'approccio basato sulla esternalizzazione delle procedure di asilo e sulla designazione unilaterale di paesi sicuri si è rivelato non solo inefficace, ma anche contrario ai principi fondamentali del diritto europeo.
La rivendicazione di una sovranità assoluta in materia di designazione dei paesi sicuri si è scontrata con i vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea e dal rispetto dei diritti fondamentali. Il protocollo Italia-Albania, presentato come una soluzione innovativa al problema dei flussi migratori, si rivela ora un costoso fallimento che ha comportato ingenti spese pubbliche senza alcun risultato concreto.
I centri realizzati in territorio albanese resteranno probabilmente vuoti, testimonianza di un approccio ideologico che ha ignorato i vincoli giuridici europei. La sentenza del 1° agosto 2025 rappresenta la definitiva sconfessione di una politica migratoria basata sulla propaganda piuttosto che sul rispetto del diritto.
La sentenza della Corte di Giustizia europea del 1° agosto 2025 segna l'inizio di una nuova era nel diritto dell'asilo europeo. Il principio della protezione universale, ora definitivamente sancito, rappresenta un punto di equilibrio tra le esigenze di gestione ordinata dei flussi migratori e la tutela incondizionata dei diritti fondamentali della persona.
Come giurista specializzato in diritto dell'immigrazione, ritengo che questa pronuncia costituisca un momento di svolta storico che impone una revisione radicale delle politiche migratorie nazionali. Il controllo giurisdizionale effettivo non rappresenta un ostacolo all'azione di governo, ma piuttosto la garanzia suprema di legittimità e ragionevolezza delle decisioni amministrative in un settore così delicato per la tutela della dignità umana.
Il ruolo del giudice quale garante dei diritti fondamentali esce rafforzato da questa pronuncia e non può più essere compresso da esigenze di carattere politico o amministrativo. La trasparenza delle fonti informative e l'accessibilità delle stesse al contraddittorio rappresentano conquiste irreversibili per lo stato di diritto.
La sfida immediata per l'Italia sarà quella di adeguare rapidamente il proprio sistema normativo e amministrativo ai nuovi standard europei, abbandonando definitivamente il protocollo con l'Albania e rivedendo in profondità i criteri di designazione dei paesi sicuri. Solo attraverso questo adeguamento sarà possibile costruire un sistema di asilo che sia al tempo stesso efficiente e pienamente rispettoso della dignità umana, in linea con i valori fondamentali dell'Unione Europea.
Il principio della protezione universale non è solo una norma giuridica, ma rappresenta l'affermazione di una concezione più matura e civile dei diritti umani, che non ammette discriminazioni o lacune nella tutela. In questo senso, la sentenza del 1° agosto 2025 rimarrà nella storia del diritto europeo come un momento di progresso nella tutela dei diritti fondamentali e nella costruzione di una società più giusta e inclusiva.
Fonti Giuridiche: