I contributi a fondo perduto erogati dallo Stato con il decreto-legge "rilancio" e con il decreto-legge "ristori" durante l'emergenza da COVID-19 non hanno natura tributaria e il relativo contenzioso non può essere devoluto alla giurisdizione tributaria. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza
numero 124/2025, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 10, del decreto-legge "ristori" (d.l. n. 137 del 2020) e dell'articolo 25, comma 12, del decreto-legge "rilancio" (d.l. n. 34 del 2020). Le norme censurate hanno istituito contributi a fondo perduto a favore di soggetti in possesso di determinati requisiti, con la finalità di sostenere le attività maggiormente colpite dall'emergenza epidemiologica.
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, assumendo che detti contributi non abbiano natura tributaria, ha ritenuto le disposizioni censurate in contrasto con gli articoli 3 e 102, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui devolvono il relativo contenzioso al giudice tributario. La Corte costituzionale ha accolto le questioni in riferimento all'articolo 102, secondo comma, della Costituzione. I contributi in esame difettano dei caratteri tradizionalmente individuati dalla giurisprudenza costituzionale per ritenere una fattispecie di natura tributaria: non determinano, infatti, una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo, né integrano benefici fiscali.
Sono invece misure di aiuto e sostegno per fronteggiare la riduzione dell'attività economica determinata dall'emergenza epidemiologica. Di conseguenza le disposizioni censurate, attribuendo alla giurisdizione tributaria controversie relative a misure economiche di natura non tributaria, violano l'articolo 102, secondo comma, della Costituzione, che vieta l'istituzione di giudici speciali.