Il tema del prepensionamento per i lavoratori disabili è di grande rilevanza sociale e giuridica in Italia. Una delle questioni più dibattute e cruciali, che ha generato incertezza per anni, riguarda il tipo specifico di invalidità che deve essere accertata per poter accedere a tale beneficio. In particolare, ci si chiede quale sia l'invalidità pari o superiore all'80% che consente di anticipare l'età pensionabile a 55 anni per le donne e a 60 per gli uomini. Su questo punto fondamentale, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha fornito chiarimenti essenziali, stabilendo una direzione ben precisa e definendo i parametri da adottare.
Prima degli interventi della Suprema Corte, vi era una notevole ambiguità sulla natura dell'invalidità da considerare ai fini del prepensionamento. La domanda centrale era la seguente: l'80% di invalidità richiesto per il prepensionamento, di cui all'articolo 1, comma 8, del Decreto Legislativo 503/1992, doveva essere accertato secondo i parametri della "capacità di lavoro" e della "assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa", tipici della Legge 222/1984 (che disciplinano l'assegno ordinario di invalidità e la pensione di inabilità contributiva)" Oppure, doveva essere valutato in base ai parametri della "capacità lavorativa generica" prescritti per l'accertamento dell'invalidità civile" Questa distinzione è tutt'altro che accademica, avendo implicazioni dirette e significative sulla possibilità per molti lavoratori di accedere o meno a un anticipo del diritto pensionistico.
La Corte di cassazione, massima istanza giurisdizionale, si è pronunciata su questo quesito in ben due occasioni, fornendo un orientamento univoco. Le sentenze chiave sono la n. 13495/2003 e la n. 9081/2013.
In entrambi i casi, la Suprema Corte ha stabilito, discostandosi esplicitamente da alcune decisioni della giurisprudenza di merito che avevano adottato un'interpretazione diversa (come la sentenza n. 940/2006 della Corte d'Appello di Torino), che l'invalidità rilevante ai fini del prepensionamento è esclusivamente l'invalidità civile. Questo orientamento è diventato un punto fermo nella materia, fornendo certezza giuridica e chiarendo definitivamente il parametro di riferimento.
Invalidità civile vs. invalidità previdenziale: una differenza cruciale
Per comprendere appieno la portata delle decisioni della Cassazione, è fondamentale distinguere tra i due tipi di invalidità. L'invalidità accertata secondo i parametri della Legge 222/1984 si concentra sulla riduzione o perdita della specifica capacità lavorativa in relazione alle mansioni abituali del lavoratore, o addirittura sulla sua impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Questo tipo di invalidità è legato alla sfera previdenziale e alla capacità di produrre reddito tramite il lavoro.
Al contrario, l'invalidità civile è accertata secondo i parametri della "capacità lavorativa generica", ovvero la riduzione della capacità di svolgere le attività proprie della vita quotidiana e di relazione, senza un riferimento specifico a una professione o a una specifica attività lavorativa. Le norme di riferimento per l'accertamento dell'invalidità civile includono la L. 118/1971, la L. 291/1988, il D.Lgs. 509/1988 e il D.M. del Ministero della Sanità del 5.2.19921.
La Cassazione ha quindi chiarito che, per accedere al prepensionamento in questione, non è sufficiente una grave compromissione della capacità lavorativa specifica, ma è necessaria una valutazione che tenga conto della più ampia "capacità lavorativa generica" riconosciuta dalla normativa sull'invalidità civile.
La base normativa che permette questa possibilità di prepensionamento è l'articolo 1, comma 8, del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, intitolato "Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici". Questo articolo specifica in modo chiaro che "L'elevazione dei limiti di età di cui al comma 1 non si applica agli invalidi in misura non inferiore all'80 per cento". Ciò significa che, mentre per la generalità dei lavoratori i limiti di età per la pensione di vecchiaia sono stati innalzati nel tempo, per i lavoratori con una percentuale di invalidità civile pari o superiore all'80%, tali limiti rimangono più bassi (55 anni per le donne e 60 per gli uomini).
Questo comma è fondamentale perché sancisce il diritto ad un'età pensionabile anticipata per una specifica categoria di lavoratori disabili, purché l'invalidità sia accertata con i parametri della legislazione civile, come ribadito dalla Cassazione.
Le sentenze della Cassazione hanno quindi posto fine a un'importante incertezza interpretativa, definendo chiaramente che per l'accesso al prepensionamento di cui all'art. 1, comma 8, del D.lgs. 503/1992, l'invalidità da considerare è quella civile, e non quella previdenziale legata alla specifica capacità lavorativa.
Questa chiarezza giuridica è fondamentale per i lavoratori disabili che intendono avvalersi di questa importante facoltà, permettendo loro di pianificare il proprio futuro previdenziale con maggiore consapevolezza e certezza. È un passo significativo per tutelare i diritti di coloro la cui capacità lavorativa generica è significativamente compromessa, garantendo un accesso più definito ai benefici previdenziali a loro dedicati.