Con l'ordinanza n. 13855 del 25 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che i danni di lieve entità subiti dai passeggeri su autobus e veicoli a motore devono essere risarciti secondo i criteri dell'art. 139 del Codice delle assicurazioni (D.lgs. 209/2005), anche quando il fatto si verifica nell'ambito di un contratto di trasporto.
Il principio estende l'ambito applicativo del Codice delle assicurazioni, rafforzando l'unitarietà del sistema risarcitorio per i danni da circolazione stradale.
La vicenda riguardava una donna che, salita su un autobus, era caduta a causa di una ripartenza improvvisa, riportando una lesione definita micropermanente. Il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilità contrattuale della società di trasporto ai sensi dell'art. 1681 c.c., liquidando il danno con le tabelle del foro.
Anche la Corte d'Appello aveva confermato l'impostazione, nonostante l'obiezione della compagnia, che richiedeva invece l'applicazione dell'art. 139 del Codice delle assicurazioni, che prevede criteri risarcitori specifici e vincolanti per i danni lievi da circolazione.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo che ogni danno causato da un veicolo a motore senza guida di rotaie è da considerarsi danno da circolazione stradale. Pertanto, anche se il rapporto giuridico è contrattuale (come nel trasporto pubblico), la quantificazione del danno deve seguire la disciplina dell'art. 139.
Secondo la Cassazione, questa norma ha carattere speciale e inderogabile per i danni biologici di lieve entità, prevedendo importi standardizzati e margini di personalizzazione molto limitati per il giudice.
La Corte ha operato una distinzione chiave tra:
Titolarità della responsabilità: regolata dall'art. 1681 c.c., che impone al vettore un obbligo di risultato verso il passeggero.
Criteri di quantificazione del danno: disciplinati dall'art. 139 del Codice delle assicurazioni, applicabili ogniqualvolta vi sia un danno alla persona provocato dalla circolazione stradale, anche se derivante da un contratto.
La Cassazione ha censurato l'impostazione delle corti di merito, che avevano liquidato il danno con criteri tabellari diversi in base alla natura contrattuale del rapporto. Una simile interpretazione – ha osservato la Corte – viola il principio di uguaglianza, poiché genera una disparità ingiustificata tra soggetti che si trovano nella stessa situazione fattuale.