Nel contesto delle separazioni, l'assegnazione della casa familiare è disciplinata in funzione esclusiva dell'interesse del figlio minore. Secondo la regola generale, l'abitazione è attribuita al genitore convivente con il minore, ma questa regola può essere derogata se esistono soluzioni abitative alternative più adeguate a garantire il benessere del figlio.
È quanto ha affermato la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 14460/2025, respingendo il ricorso di una madre che chiedeva l'assegnazione della casa familiare nonostante la figlia da anni vivesse stabilmente altrove.
La vicenda riguarda una madre che, prima ancora della separazione legale, aveva lasciato la casa coniugale per trasferirsi, insieme alla figlia minore, presso l'abitazione della nonna materna. La nuova sistemazione era divenuta nel tempo il contesto stabile di crescita della minore, sia dal punto di vista affettivo che scolastico.
Sia il Tribunale che la Corte d'Appello hanno ritenuto che il rientro nella casa familiare non fosse nell'interesse della figlia, e la Cassazione ha confermato questa valutazione.
Secondo la Suprema Corte, costringere la minore a trasferirsi nuovamente nella casa coniugale avrebbe comportato una rottura degli equilibri costruiti nel tempo. La bambina, infatti, viveva da oltre sei anni in un ambiente stabile, sviluppando legami affettivi forti con la nonna materna. Un ritorno nella vecchia abitazione avrebbe significato un cambiamento improvviso, con potenziali ripercussioni sul piano emotivo, scolastico e relazionale.
A ciò si aggiungeva un clima familiare potenzialmente nocivo: la madre e la nonna paterna, residente nella stessa palazzina dell'ex casa coniugale, erano coinvolte in forti conflitti, che avevano contribuito alla rottura del matrimonio.
La Corte ha sottolineato che l'interesse superiore del minore è il criterio esclusivo per decidere sull'assegnazione della casa familiare. Anche la durata del giudizio non può essere invocata come motivo per giustificare il ritorno alla situazione originaria. Ciò che conta è la realtà effettiva e attuale del minore, non quella passata.
In definitiva, l'assegnazione della casa familiare deve servire a garantire continuità, stabilità e benessere al figlio minore, non a tutelare le aspettative dei genitori.