Lo psicoterapeuta Alberto Pellai nel “decalogo per proteggere i nostri bambini” (2018) al n. 9 ha definito il diritto dei bambini alla salute: “Diritto alla salute, alla prevenzione primaria, alla tutela del benessere psico-fisico, condizione resa sempre più difficile dalle sollecitazioni che i minori ricevono a vivere sedentariamente, mangiare in modo sregolato e poco valido dal punto di vista nutrizionale e dal fatto che la tutela della loro salute è resa sempre più difficile in un Sistema Sanitario reso precario dalla crisi economica e in cui la figura del pediatra è quantitativamente sempre più scarsa sul territorio nazionale”. Tutti elementi che sostanziano il diritto alla salute, a cominciare dalla prevenzione primaria, di cui i primi responsabili sono i genitori e non altri.
Lo psicoterapeuta Claudio Risé denuncia: “L’Italia ha uno dei più alti tassi di bambini obesi, nei quali proprio le “malattie non comunicabili” [diabete, obesità e altre] si innescano prima del tempo, e questo genera e genererà malattie che diventano croniche, se non si attua un cambio di stile di vita. E poi non bisogna aver paura della fatica: di quella dei propri figli, ma nemmeno della propria fatica di genitori. Anzi, occorre considerare queste fatiche come una risorsa, come un fattore di sviluppo”. Nella Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986) si legge: “La promozione della salute sostiene lo sviluppo individuale e sociale fornendo l’informazione e l’educazione alla salute, e migliorando le abilità per la vita quotidiana. In questo modo, si aumentano le possibilità delle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e sui propri ambienti, e di fare scelte favorevoli alla salute”. Occorre, più che in passato, informare e formare i genitori affinché a loro volta lo facciano con i figli.
Il pedagogista Daniele Novara scrive: “Una scena comune è quella del bambino di 3-4-5 anni al ristorante che maneggia un telefonino o un tablet, «perché così sta tranquillo, non disturba e noi mangiamo in pace» si difendono i genitori. Molti di questi, infatti, non si pongono il problema, mentre ce ne sono altri che per fortuna sono estremamente allarmati dall’uso non corretto delle tecnologie e cercano di capire come sostenere ed educare i propri figli in questa direzione”. Spesso nel crescere un figlio ci si preoccupa di tutto ma non dell’essenziale, gli si fornisce tutto ma non lo si osserva trascurando la visione integrale della salute e del benessere del bambino. Per esempio molti bambini sanno maneggiare tablet, playstation o altro ma non sanno giocare, non provano il gusto di giocare, non sono avviati al gesto grafico e hanno seri problemi di fatica grafomotoria.
La consulente educativa Silvia Iaccarino riporta: “[…] come gli studi evidenziano, il bambino è un essere senziente, autocosciente, in grado di esperire la realtà in modo profondo già dalla gravidanza, il suo vissuto in utero e al momento della nascita rappresenta una pietra miliare nella sua esperienza emotiva, in grado di tracciare le prime impronte sul Sé e di generare una prima forma di imprinting nella lettura della realtà stessa da parte del neonato”. Prepararsi ad essere genitori non è tanto consultare manuali e rivolgersi a specialisti quanto partire dalla consapevolezza che il figlio è altro da sé e che è fondamentale e unica già la sua vita intrauterina che è una dimensione speciale in cui sperimenta le prime emozioni e le prime relazioni. Bisogna migliorare le conoscenze per migliorare lo stato di salute, come si legge anche nella Dichiarazione di Jakarta sulla promozione della salute nel 21° secolo (1997).
È perciò necessario che i genitori maturino e rivelino un’adeguata intelligenza emotiva, devono conoscere il mondo bambino e avere la consapevolezza che ogni loro scelta ha conseguenze immediate o successive sulla vita e la salute dei figli. Per esempio separarsi e intraprendere una nuova relazione, anche con una comunicazione chiara e diretta e senza alcuna conflittualità tra i due, non è detto che avvenga in maniera indolore perché i bambini hanno un’altra prospettiva, vivono un’altra dimensione, concepiscono i genitori uniti e temono per loro e per se stessi quando li vedono separarsi e si devono allontanare necessariamente da uno di loro perché reagisce così il loro sistema nervoso. Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro analizza: “Secondo i pediatri più attenti e sensibili, la situazione di conflittualità e tensione in famiglia non è sempre percepita dai genitori come informazione importante da comunicare al pediatra. Alcuni dei sintomi che portano il bambino alla consultazione in ambulatorio e che spesso vengono considerati in prima battuta prevalentemente dal punto di vista somatico, vanno approfonditi in vista di un corretto approccio diagnostico e terapeutico. Questi sintomi possono esprimere una situazione di sofferenza e nascondere una richiesta di aiuto da parte del bambino che solo un ascolto attento e consapevole può accogliere e comprendere. Capita spesso che i figli, di qualunque età, coinvolti in dissidi esasperati tra i loro genitori, non sappiano a che santo votarsi per chiedere aiuto”.
Fulvio Scaparro aggiunge: “Tra le paure, o meglio le angosce, che portiamo in dote alla nascita, la prima è l’angoscia della separazione. Nella storia della nostra specie i neonati, cresciuti in stretta prossimità dei genitori hanno avuto maggiori probabilità di sopravvivere alle minacce onnipresenti dei predatori esistenti nel contesto dell’evoluzione umana. La separazione dai genitori suscita angoscia nei bambini, il cui sistema nervoso è dotato di un dispositivo di allarme evolutosi durante l’età della pietra. Il sistema segnala automaticamente la separazione dall’adulto con funzioni genitoriali e il pericolo potenziale. L’attaccamento fa dunque parte della nostra eredità psicobiologica. I comportamenti di attaccamento hanno assicurato nel remoto passato la protezione contro le minacce ambientali alla sopravvivenza, accrescendo così la probabilità che l’individuo solidamente attaccato potesse vivere abbastanza a lungo da riprodursi. In questo modo, la predisposizione ad allevare i figli si è diffusa in tutto il pool genetico umano. La risposta di angoscia e di sofferenza a una separazione prematura non è caratteristica dei piccoli umani ma è evidente in tutti i primati che l’hanno selezionata come più favorevole alla sopravvivenza. Questa risposta di allarme e di sofferenza per la mancanza delle provvidenze necessarie alla sopravvivenza è presente nei bambini dalla nascita. Non è culturale ma del tutto naturale e funzionale alla sopravvivenza della specie”. È vero che gli adulti hanno il diritto di separarsi quando la coppia coniugale o convivente diventa disfunzionale, ma hanno altresì il dovere di conoscere le dinamiche psicologiche e neurologiche dei bambini e fare di tutto per tutelare la loro salute. In queste circostanze i genitori dovrebbero tener conto di quanto enucleato nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori (2018), tra cui l’art. 3: “I figli hanno il diritto di essere informati e aiutati a comprendere la separazione dei genitori”.
Il pediatra Giorgio Tamburlini spiega: “L’ambiente familiare, nelle sue diverse componenti, dagli stili genitoriali agli spazi, agli oggetti e alle routine, è importante e può essere decisivo ai fini dello sviluppo del bambino” (in un articolo del 2020). La salute di ogni persona e di tutti dipende dalle scelte, come si ricava anche dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute, in cui una delle parole più ripetute è “scelte”, per cui i genitori devono essere consapevoli che le loro scelte si ripercuotono sulla salute e vita dei figli (in passato mancava la conoscenza, oggi manca proprio la consapevolezza).
Un’altra dinamica di cui tener conto nell’ambiente familiare è la gelosia tra i figli. “La gelosia è un sentimento naturale che può emergere nel bambino con la nascita di un nuovo fratellino o sorellina. La gelosia che il bimbo può provare esprime la preoccupazione di non essere più l’unico bambino amato dai genitori. L’emergere di questa emozione, nonostante possa portare a delle discussioni, sarà utile al piccolo per maturare. Infatti, imparare a gestire la gelosia fin da bambini in maniera positiva aiuterà gli adulti di domani nelle loro relazioni. Il rapporto tra fratelli e sorelle si può considerare una “palestra emotiva”, dove il bambino può esercitarsi a costruire un rapporto basato sulla fiducia e la comprensione. Tutti i bambini possono provare gelosia e per questo è importante che i genitori imparino ad individuare e gestire positivamente questo sentimento nei loro figli” (un team di esperti). Gestire la gelosia dei figli nei confronti degli altri fratelli è un aspetto della responsabilità genitoriale perché riguarda anche la salute dei bambini, il loro sviluppo armonico e le loro relazioni presenti e future.
Inoltre, uno degli stili genitoriali più inadeguati è quello dei genitori “guardie del corpo”, che temono continuamente che i figli si facciano male o che si sporchino o altro che riguardi solo il fisico e l’aspetto. In realtà così facendo non tutelano la salute dei figli ma la compromettono nella sua interezza psicofisica (art. 24 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
I genitori sono coloro che danno al figlio la vita e la giusta cura (per non incorrere nelle patologie delle cure genitoriali): “Pensare al bambino come ad un essere mancante di certe capacità o pensarlo, invece, come una persona intera le cui forme dell'esserci sono già tutte presenti seppure in forma germinale e attendono solo di essere nutrite ha implicazioni rilevanti nel modo di intendere la cura educativa” (la pedagogista Luigina Mortari in “Filosofia della cura”, 2015).
In conclusione, i genitori sono i primi che dovrebbero maturare una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza e rispettare la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.
Già nel 1932 Maria Montessori, a proposito di pace, sosteneva: “[…] per iniziare una sana ricostruzione psichica degli uomini, bisogna rifarsi al bambino: bisogna riconoscere in lui non il figlio, non la creatura su cui si concentrano le nostre responsabilità; bisogna studiarlo non come creatura dipendente, ma come un essere indipendente che va considerato per se stesso”.