L'attrice aveva lamentato ex art. 913 c.c. la violazione, da parte del proprietario del fondo superiore, del limite legale della proprietà previsto per lo scolo delle acque, mirando ad ottenere, oltre all'accertamento dell'aggravamento della condizione del fondo inferiore in conseguenza di opere abusivamente realizzate nel fondo superiore, anche il ripristino dello stato dei luoghi o un indennizzo. Il convenuto all'atto della sua costituzione in giudizio aveva contestato che l'attrice fosse proprietaria della porzione di fondo servente interessata dallo sbancamento e dall'invasione delle acque, assumendo di esserne egli stesso proprietario, ed a fronte di tale contestazione l'attrice ha sostenuto l'intervenuta usucapione di quella porzione, ma ne ha chiesto l'accertamento con efficacia di giudicato soltanto nelle memorie ex n. 1 del VI comma dell'art. 183 c.p.c.
Dalla questione pregiudiziale è così scaturita una causa pregiudiziale, introdotta soltanto con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. e non alla prima udienza di trattazione.
All'esito dell'istruttoria, il Tribunale adito, in accoglimento della domanda proposta nelle predette note 183 c.p.c., dichiarò l'attrice proprietaria della porzione di terreno per averlo acquistato a titolo originario per usucapione.
Avverso tale sentenza il convenuto propose appello, chiedendo la riforma della sentenza per aver accolto la domanda di usucapione, a suo dire, invece, inammissibile perché proposta per la prima volta con la memoria ex 183 VI comma c.p.c. e non a verbale della prima udienza.
La Corte d'appello rigettò l'appello, confermando l'ammissibilità della domanda perché formulata in reconventio reconventionis, in conseguenza della difesa articolata dal convenuto in comparsa di risposta.
Avverso questa sentenza l'originario convenuto ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo con il quale denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 183, assumendo che la Corte territoriale, nel rigettare l'appello proposto dallo stesso e confermare la sentenza emessa dal Tribunale, avesse errato nel non valutare l'inammissibilità della richiesta di usucapione proposta dall'attrice in primo grado in sede di memoria ex art. 183 c.p.c.
Affidato il ricorso alla Seconda Sezione civile, questa, con ordinanza interlocutoria n. 7846 del 22 marzo 2024, ha investito le Sezioni Unite della questione, ritenendo necessario un intervento chiarificatore circa la corretta interpretazione dell'art. 183 cod. proc. civ., in quanto interessante uno dei valori di funzionalità del processo, atteso che «sulla irragionevole durata di un processo non incide (sol)tanto ciò che rileva all'interno di quel processo quanto il numero complessivo dei processi contemporaneamente pendenti che ne condiziona la gestione».
La materia ha subito una significativa evoluzione giurisprudenziale, che trova probabilmente il suo ultimo step con la pronuncia in questione.
Inizialmente è stata infatti predicata una soluzione di maggiore rigore (Cass. S.U. n. 3567/2011), per la quale "L'art. 183 cod. proc. civ., nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1° marzo 2006, applicabile "ratione temporis", dispone, al quarto comma, che nella prima udienza di trattazione l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale del convenuto ed entrambe le parti possono precisare e modificare le domande e le conclusioni già formulate. Pertanto, ove l'attore voglia eccepire la prescrizione del diritto azionato dal convenuto in riconvenzionale, è tenuto, a pena di decadenza, trattandosi di eccezione non rilevabile d'ufficio, a proporla al più tardi in sede di prima udienza di trattazione, non potendo avvalersi delle memorie da depositare nei termini fissati all'art. 183, quinto comma, cod. proc. civ., in quanto finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte e di replicare alle domande ed eccezioni formulate tempestivamente, ma non a proporne di ulteriori, non essendo ammissibile estendere il thema decidendum".
In seguito la Corte aveva evidenziato che la "modificazione dell'originaria domanda ammessa nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., oltre l'udienza di trattazione, può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali" (sentenza n. 12310 del 2015), precisando allora tuttavia che il mutamento del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio costituisse una modifica ammessa in quanto la nuova domanda non si aggiunga a quella iniziale, ma la sostituisca e si ponga in rapporto di alternatività rispetto ad essa.
Successivamente la Suprema Corte, sempre a Sezioni Unite, con la sentenza n. 22404 del 13/9/2018, ha ritenuto ammissibile, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria, se riferita alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Da allora il nesso di alternatività è divenuto presupposto costante nella giurisprudenza delle Sezioni semplici sull'applicazione delle preclusioni ex art. 183, essendo stato sempre sottolineato che il diverso diritto può essere fatto valere oltre la barriera preclusiva della prima udienza, nelle prime memorie, purché sia in rapporto di «logica complanarità» con il diritto fatto valere inizialmente, perché corre tra le stesse parti, tende alla realizzazione dell'utilità finale già avuta di mira con l'originaria domanda e si rivela di conseguenza incompatibile con il diritto per primo azionato.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, la nuova domanda di usucapione è stata «affiancata» all'originaria domanda di negatoria, senza che ricorra né un rapporto di alternatività né un rapporto di subordinazione. Ci si è pertanto interrogati circa la possibilità di ritenere che la domanda di accertamento con efficacia di giudicato, proposta in conseguenza dell'eccezione di controparte implicante comunque un accertamento incidentale del medesimo fatto costitutivo, già ritenuta nella giurisprudenza della Corte ammissibile come «domanda nuova», possa essere ricondotta anche all'ambito della «domanda modificata», proponibile nelle prime memorie.
Ebbene, le Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia dell'11/3/2025 n. 11455 (sotto allegata) hanno affermato il seguente principio di diritto: "in un processo sottoposto alle regole di rito previgenti alle modifiche di cui all'art. 3 del D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, comma 12, lett. i) e comma 13 lett. b), in caso di esercizio dell'azione negatoria della servitù di cui all'art. 949 c.c., l'attore, anche a fronte della contestazione del diritto di proprietà operato dal convenuto con la comparsa di risposta, può proporre domanda di accertamento con efficacia di giudicato del diritto di proprietà, non solo nell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., ma anche con la prima memoria di cui all'art. 183 c.p.c. comma 6 (applicabile ratione temporis)".
Il ragionamento che ha condotto a tale innovativa decisione la Cassazione è che laddove il convenuto contesti l'esistenza del diritto di proprietà a tutela del quale ha agito in negatoria l'attrice, il diritto di proprietà da punto pregiudiziale si tramuta in questione pregiudiziale e ciò implica necessariamente che il giudice al fine di decidere la domanda proposta debba in ogni caso accertare l'esistenza del diritto de quo, a prescindere dal fatto che sia stata richiesta una pronuncia con efficacia di giudicato ex art. 34 c.p.c.
In altri termini, la contestazione dei fatti da parte del convenuto, rende gli stessi non più pacifici ed impone un accertamento in via incidentale da parte del giudice. Tanto, ad avviso della Corte, comporta la logica conseguenza per cui la domanda eventualmente avanzata ex art. 34 c.p.c., al fine di trasformare la questione pregiudiziale in causa pregiudiziale deve reputarsi ammissibile, non solo se proposta nell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., ma anche nelle memorie di cui all'art. 183 c.p.c., ponendosi invero come funzionale al soddisfacimento dell'interesse dell'attore, costituendo un accertamento che concorre ad assicurare la piena tutela del bene della vita azionato.
Il processo, infatti, ribadisce la Cassazione, è destinato a "risolvere, in modo stabile e definitivo, la controversia insorta sul piano sostanziale tra le parti", pertanto, al fine di delineare l'ambito delle modificazioni ammissibili della domanda, "deve privilegiarsi la soluzione che consenta al processo di recepire la vicenda sostanziale nella sua completezza e di evitare la reiterazione dei giudizi in ordine alla medesima lite, al fine altresì di assicurare l'attuazione dei principî della ragionevole durata, dell'economia e della concentrazione dei processi".
Tanto considerato altresì che la domanda in questione, pur non sostituendosi a quella originaria, né risultando connotata da una relazione di subordinazione o alternatività alla medesima, è innegabilmente correlata alla medesima vicenda sostanziale e non comporta alcun affaticamento o aggravio per l'attività giurisdizionale, posto che si sollecita una decisione in relazione ad un accertamento già imposto per effetto della trasformazione della circostanza contestata in causa pregiudiziale, né determina un effetto sorpresa per il convenuto, in quanto è la sua stessa strategia difensiva ad avere reso necessario l'accertamento del diritto, quanto meno in via incidentale, da parte del giudice.
Da ultimo, per come osservato in pronuncia dalle Sezioni Unite si evidenzia l'importanza della predetta statuizione ancora oggi e ciò nonostante la rimodulazione operata dalla recente novella di cui al D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha fissato la barriera preclusiva per la proposizione delle domande consequenziali dell'attore nella prima memoria di cui all'art. 171ter c.p.c.
Ed infatti per come chiarito dalle Sezioni Unite deve ritenersi che, per i giudizi ancora soggetti alle previgenti regole di rito, "l'interesse alla decisione della questione è ancora attuale, non tanto perché la stessa possa fungere da orientamento per le future condotte delle parti litiganti, ma al fine di individuare la corretta regola da seguire per tutte le controversie già pendenti in primo grado alla data del 28 febbraio 2023, per le quali si ponga la necessità di stabilire la tempestività delle domande conseguenziali proposte dall'attore con le memorie di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c., anziché all'udienza di trattazione, dovendosi quindi precisare che la decisione delle Sezioni Unite, sebbene non possa costituire criterio di orientamento per le scelte che le parti dovranno effettuare in futuro, è in ogni caso rilevante al fine della verifica circa la correttezza del comportamento già tenuto nelle controversie pendenti".
Emilio Corea
Avvocato in Catanzaro