Pubblicata il 14 maggio 2025, la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 393/2024 affronta un principio centrale nel diritto disciplinare forense: l'irrilevanza della buona fede dell'avvocato nell'accertamento dell'illecito deontologico. Il Collegio ha stabilito che la buona fede soggettiva dell'incolpato non è idonea a escludere la responsabilità disciplinare, la quale presuppone unicamente la volontarietà dell'atto posto in essere in violazione del Codice Deontologico Forense.
Il procedimento disciplinare trae origine dalla condotta di un avvocato che, nella propria difesa, aveva invocato l'assenza di dolo e la propria buona fede, allegando anche uno stato psicofisico alterato al momento della condotta. La sanzione inflitta in primo grado era stata oggetto di impugnazione dinanzi al CNF.
La difesa ha cercato di fondare l'infondatezza dell'addebito sull'assenza di coscienza della scorrettezza del comportamento e sulla non intenzionalità dello stesso. In altri termini, l'incolpato ha fatto leva su una presunta buona fede soggettiva per escludere l'illecito.
Con la sentenza n. 393/2024, il CNF ha rigettato integralmente l'impugnazione, ribadendo un principio consolidatonella giurisprudenza disciplinare:
"L'illecito disciplinare non è scriminato dall'asserita buona fede, giacché per l'imputabilità dell'infrazione è sufficiente la volontarietà con la quale è stato compiuto l'atto deontologicamente scorretto, a nulla rilevando la buona fede dell'incolpato ovvero le sue condizioni psico-fisiche, elementi dei quali si può tener conto solo nella determinazione concreta della sanzione."
Secondo il CNF, il sistema disciplinare forense non richiede il dolo né la consapevolezza dell'antigiuridicità della condotta, ma soltanto che l'atto violativo sia stato compiuto volontariamente, cioè con coscienza e volontà. Tale criterio è coerente con la funzione preventiva e reputazionale della responsabilità disciplinare, la quale mira a tutelare il decoro e la dignità della professione forense, piuttosto che a punire soggettivamente l'incolpato.
Il CNF non esclude del tutto la rilevanza della buona fede, ma ne limita la considerazione alla fase sanzionatoria. In altri termini, le condizioni soggettive dell'incolpato – come la buona fede o lo stato psico-fisico – possono avere un peso nel graduare la sanzione disciplinare, ma non eliminano l'esistenza dell'illecito.
Questa impostazione è coerente con l'art. 3 del Codice Deontologico Forense, secondo il quale l'avvocato è sempre tenuto a conoscere le regole della deontologia e non può invocare ignoranza o errore sulla loro portata per giustificare condotte difformi.