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Notizie Giuridiche

» Il dirigente amministrativo nella moderna Pubblica Amministrazione
15/05/2025 - Alessio Piccirilli


Con queste note si intende fornire una sintetica visione d'assieme delle funzioni attribuite al ruolo dirigenziale, mettendone in risalto la centralità ed imprescindibilità nell'attuale assetto della pubblica amministrazione e mettendone altresì in rilievo alcune specifiche particolarità e criticità.

Origini e funzioni della moderna figura del dirigente amministrativo

Nell'ordinamento italiano vi è stato un radicale cambiamento nell'assetto dei rapporti tra organi politici e dirigenza attraverso una netta distinzione tra le rispettive sfere di competenza, infatti ai sensi dell'art. 4 del d.lgs 165 del 2001 (c.d. TUPI) ai dirigenti amministrativi è oggi riservata in esclusiva la gestione amministrativa mentre agli organi politici è attribuita l'attività di indirizzo e controllo: tale passaggio di consegne è tanto radicale che ad esempio a mente dell'art. 70, commi 6 e 7 TUPI, a partire dal 23/04/1998, le disposizioni che conferiscono poteri di gestione e di adozione di atti amministrativi agli organi politici devono essere automaticamente intesi come riferiti ai soli dirigenti. Più in particolare il comma 2 del suddetto art. 4 TUPI, riserva al dirigente l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa con i susseguenti poteri di spesa, l'organizzazione delle risorse umane ed inoltre, in generale, la responsabilità in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati (cfr. art. 15, 16 e 17 TUPI). Ancora più in particolare, a mente del successivo art. 5 TUPI, ai dirigenti amministrativi, in quanto organi preposti alla gestione del rapporto di lavoro, sono attribuiti le capacità ed i poteri del privato datore di lavoro. Dunque la figura del dirigente amministrativo assume un ruolo cardine nella pubblica amministrazione in quanto rappresenta un "cuscinetto" interposto tra la carriera impiegatizia e gli organi politici elettivi i quali ultimi, per l'effetto, perdono ogni tipo di potere di gestione diretta degli uffici amministrativi. Ne consegue perciò che la dirigenza amministrativa è oggi sottoposta ad una particolare pressione in termini di mansioni e responsabilità. Infatti, inoltre, diverse norme speciali attribuiscono al dirigente ulteriori responsabilità strategiche ed in particolare quella di Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (c.d. RPCT) ai sensi della l. 190/2012 e del d.lgs. 33/2013 e quella di Responsabile Unico del Progetto (c.d. RUP) ai sensi del D.Lgs. n. 36/2023 (c.d. nuovo Codice dei Contratti Pubblici), funzioni che il dirigente può delegare ma rispetto a cui conserva responsabilità e particolari obblighi di vigilanza essendo egli il solo titolare della funzione. Prendendo poi in considerazione la materia dell'anticorruzione, anche il dirigente di livello più basso che non sia direttamente designato come responsabile, in considerazione del suo ruolo di vertice della propria unità organizzativa, assume comunque la responsabilità di rispettare ed attuare il Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT), individuare e segnalare i rischi, vigilare sulla correttezza delle procedure, garantire trasparenza ed accesso agli atti e segnalare gli illeciti.

L'insostituibilità della figura del dirigente ed il suo rilievo costituzionale

Il Capo II, del titolo II del dlgs 165 del 2001 (TUPI) è integralmente dedicato alla figura del dirigente pubblico in generale ed in particolare (artt. da 13 a 27), prescrivendo l'obbligo di istituzione di tale ruolo in tutte le amministrazioni dello Stato (art. 13) e non statali le cui ultime sono obbligate ad adeguare di conseguenza i propri ordinamenti (art. 27). Il rilevo e centralità della figura del dirigente per il nostro Ordinamento è enfatizzato dal consolidato orientamento del Giudice delle Leggi il quale ha sancito che "la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa, quindi, costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell'art. 97 Cost" precisando inoltre che tale principio è talmente rilevante e fondamentale per il nostro ordinamento che neppure il Legislatore potrebbe effettuare scelte che lo possano irragionevolmente intaccare (cfr. ex multis Corte Costituzionale n. 81 del 2013) giacché la presenza del dirigente amministrativo rappresenta una "condizione «necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'azione amministrativa»" (ex multis Corte Costituzionale n. 81 del 2013; n. 304 del 2010; n. 390 del 2008; n. 104 e n. 103 del 2007). Anche la Corte di Cassazione, seguendo le indicazioni della Corte Costituzionale, nell'ambito del rapporto di lavoro pubblico in cui il dirigente riveste il ruolo di datore di lavoro, ha avuto modo di sancire, ad esempio, che la figura del dirigente amministrativo non sia sostituibile con quella di un membro politico elettivo dell'ente pubblico in quanto "l'assenza del soggetto competente all'adozione di un atto non ne legittima l'emanazione da parte di un diverso componente dell'Amministrazione" giacché "l'inerzia degli organi di governo che si compendi nella mancata adozione di norme statutarie e regolamentari […] non vale affatto a giustificare e a legittimare interferenze da parte di organi politici nell'ambito delle competenze proprie della dirigenza amministrativa in aperta violazione del più volte richiamato principio inderogabile di separazione" e precisando inoltre che in via residuale, in assenza della figura dirigenziale, comunque tale vuoto può essere compensato ricorrendo ad "altre figure professionali proprie dell'apparato burocratico amministrativo ed estranee agli organi di governo", ma sempre con esclusione degli organi politici (cfr. Cassazione Civile, n. 31091 del 2018; n. 20981 del 2009 e n. 2168 del 2004). L'unica eccezione al suddetto principio costituzionale di separazione di competenze tra politica e dirigenza si ritrova nella speciale ed eccezionale norma espressa dall'art. 53, comma 23 della legge 23.12. 2000, n. 388 (c.d. legge finanziaria 2001) che consente ai Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, ovvero i c.d. "comuni polvere" privi di risorse economiche ed umane, di derogare al principio della separazione tra funzioni di indirizzo politico e gestionali enunciato dall'art. 107 T.U.E.L.. Infatti, a ben vedere, si tratta di norma speciale derogatoria di principi e norme generali e pertanto non applicabile in via analogica ai sensi dell'art. 14 delle preleggi e ben giustificata e motivata dalle eccezionali condizioni di dissesto dei suddetti "comuni polvere" ed infatti anche la Giurisprudenza amministrativa ha puntualizzato ed evidenziato la natura "speciale e derogatoria" di tale norma rispetto al generale principio di separazione politica - amministrazione di cui all'art. 4 TUPI (cfr.Cons. Stato, Sez. V, 20.11.2015, n° 5296).

Selezione e formazione dei dirigenti

In tale contesto una particolare rilevanza assumono le modalità di selezione dei dirigenti pubblici. Infatti l'accesso alla dirigenza pubblica è ad oggi regolato attraverso lo strumento del concorso pubblico o del corso concorso della Scuola Nazionale dell'Amministrazione (SNA) oppure, per i dipendenti pubblici che abbiano i titoli adeguati, tramite, alternativamente, corso concorso SNA, Procedure comparative SNA oppure Concorsi pubblici unici organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica (avvalendosi della Commissione RIPAM) in base al decreto-legge n. 25 del 2025 (decreto in corso di approvazione al momento della redazione di queste note). Inoltre Il Disegno di Legge "Merito", se approvato e non modificato dal Parlamento, introduce la prospettiva di una nuova forma di reclutamento basata su progressioni di carriera interne legate alle valutazione delle performance e delle competenze. Inoltre una delle particolarità della carriera dirigenziale è rappresentata dal fatto che una volta selezionato nei modi suddetti, il singolo dirigente viene prima inserito nel ruolo dirigenziale e poi, in seguito, riceve la proposta di sottoscrizione di un contratto di lavoro a tempo determinato che identifica lo specifico incarico di lavoro sulla base di scelte operate rispettivamente a seconda che si tratti di dirigente di prima o seconda fascia, dall'organo politico o dal dirigente gerarchicamente sovraordinato. Il meccanismo di selezione mette perciò in evidenza un'importante criticità del ruolo dirigenziale giacché la carriera del dirigente risulta legata a scelte dell'organo politico, direttamente per i dirigenti di prima fascia ed indirettamente, a seguito delle scelte di questi ultimi dirigenti di prima fascia, per i dirigenti della seconda fascia. Pertanto, anche se selezionato a mezzo di concorso pubblico il dirigente, a qualunque fascia appartenga, seppur formalmente responsabile unico ed esclusivo della gestione amministrativa, si trova comunque esposto a scelte effettuate dall'organo politico. Occorre poi considerare anche le responsabilità in materia di anticorruzione e gestione dei contratti pubblici e le correlative possibili interferenze illecite da parte della malavita e di gruppi di pressione. Tutto ciò aiuta a mettere in evidenza e meglio comprendere le possibili criticità e difficoltà che possono gravare sul dirigente in quanto organo preposto dall'Ordinamento a gestire ogni aspetto organizzativo, amministrativo e finanziario degli uffici amministrativi ed al contempo a fungere da "cuscinetto" tra l'organo politico e gli uffici amministrativi pubblici. Occorre dunque analizzare quali siano gli strumenti approntati dal legislatore per monitorare ed incentivare il corretto svolgimento delle funzioni dirigenziali

Responsabilità dirigenziale: tra premi e sanzioni

Il termine responsabilità, se riferito ad un dirigente può avere due significati ovvero, in senso positivo, può riferirsi all'ambito dei poteri e mansioni ad egli riservati oppure, in senso negativo, può riferirsi alle sanzioni disciplinari conseguenti alle proprie negligenze. Per l'effetto di queste due differenti prospettive, positiva o negativa, della responsabilità dirigenziale il Legislatore ha previsto un dettagliato e organico sistema di controllo della dirigenza basato su incentivi e sanzioni che origina dagli artt. 20, 21 e 24 TUPI. Infatti, in senso positivo, a mente dell'art. 24 TUPI, il 30 % della retribuzione del dirigente è rappresentato dal trattamento accessorio collegato ai risultati con ciò premiando il raggiungimento di obiettivi e l'oculata gestione delle risorse umane e materiali, mentre in senso negativo, ai sensi dell'art. 21 TUPI, il dirigente che non svolga correttamente il proprio incarico può essere sanzionato con decurtazione della retribuzione, con azioni disciplinari e con la revoca dell'incarico o persino, nei casi più gravi, con il licenziamento. In tale contesto è interessante osservare come il legislatore a mezzo del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, (c.d. Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici) abbia scelto di dettagliare in modo estremamente accurato all'art. 13 le modalità di svolgimento della funzione dirigenziale attraverso la sanzione, ai sensi dell'art. 16, dell'omissione di comportamenti attesi ulteriori rispetto a quelli generalmente prescritti a tutti i dipendenti pubblici (ovvero generali obblighi di astensione, regali, comportamento con il pubblico, ecc.).

In particolare: responsabilità disciplinare dirigenziale in veste di datore di lavoro

Come premesso il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (c.d. Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici), illustra all'art. 13 comportamenti specificamente diretti ai soli dirigenti, alcuni dei quali rivestono particolare significatività rispetto agli incombenti ed alle capacità richieste per lo svolgimento del ruolo di datore di lavoro e che meritano perciò una particolare analisi:

1. Al comma 4, l'art. 13 prescrive che "Il dirigente cura, altresì, che le risorse assegnate al suo ufficio siano utilizzate per finalità esclusivamente istituzionali" con ciò evidenziando espressamente la tensione generale della p.a. verso il primario soddisfacimento dei compiti istituzionali, evitando che le risorse economiche, materiali e umane dell'ufficio pubblico siano disperse in compiti ultronei. Tale obiettivo presuppone perciò una preliminare ed accurata identificazione ed analisi dei procedimenti, procedure, processi, servizi, mansioni e ruoli.

2. L'art. 13 sancisce poi al comma 4-bis, che "Il dirigente cura la crescita professionale dei collaboratori, favorendo le occasioni di formazione e promuovendo opportunità di sviluppo" ed inoltre al comma 5 sancisce che il dirigente cura anche "il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori". In tal modo viene chiaramente e dettagliatamente attribuito al dirigente l'onere di indagare le capacità e propensioni degli impiegati a propria disposizione al fine di favorirne il miglior utilizzo e curarne anche la crescita professionale, nonché l'onere di assicurare un ambiente di lavoro tranquillo e sereno.

3. Inoltre al comma 6 dell'art. 13 il legislatore, ancor più dettagliando le prescrizioni inerenti la gestione delle risorse umane, ha ritenuto necessario specificare che "Il dirigente assegna l'istruttoria delle pratiche sulla base di un'equa ripartizione del carico di lavoro, tenendo conto delle capacità, delle attitudini e della professionalità del personale a sua disposizione", riprendendo ed ampliando in modo puntuale ed approfondito quanto più genericamente sancito nei commi precedenti ed enfatizzando così la necessità che il dirigente segua accuratamente e continuativamente l'organizzazione e l'andamento degli uffici e dimostri approfondite capacità di valutazione del personale.

4. Infine il comma 9 dell'art. 13 prescrive che il dirigente "favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell'amministrazione" rimarcandone così il ruolo di guida ed esempio per i dipendenti pubblici e per la comunità civile.

In particolare: la responsabilità dirigenziale "diffusa"

Il Legislatore ha poi previsto un generale e capillare sistema di deterrenza "diffuso" ovvero costituito da specifiche norme sanzionatrici della responsabilità dirigenziale operanti in sede di attuazione delle principali leggi regolatrici della p.a. ad esempio: l. 241 del 1990 (art. 2 c. 9); dlgs 165 del 2001 (art. 7, c. 5bis e c. 6; art. 21; art. 55, c. 4); dlgs 82 del 2005 (art. 3-bis, c. 4; art. 6-ter c. 3; art. 12, c. 1 ter; art. 47, c. 1-bis; art. 52 c. 4; art. 65 c. 1-ter); dlgs 150 del 2009 (art. 9, c.1; art. 10, c. 5); dlgs 33 del 2013 (art. 14, c. 1-quater; art. 15, c. 3; art. 45, c. 4; art 46, c. 1; art. 47 c. 1-bis). Come evidente, qualora la pubblica amministrazione si trovasse priva del ruolo dirigenziale, verrebbe di conseguenza completamente neutralizzato tale accurato sistema di premi e sanzioni finalizzato alla realizzazione del buon andamento dell'amministrazione pubblica.

Conclusioni e prospettive future

Appare dunque evidente l'ampiezza e gravità delle mansioni e responsabilità assegnate ai dirigenti amministrativi i quali sono stati preposti dall'Ordinamento a svolgere all'interno della p.a. la funzione di bastioni della legalità e del buon andamento in contrapposizione ad una società invece, purtroppo, tendenzialmente adusa ai compromessi ed all'illegalità (si pensi alla necessità di istituire l'Agenzia Nazionale Anti Corruzione ed alle numerose denunce da parte della Magistratura e di altri soggetti pubblici e privati, di un'endemica corruzione "sistemica"). In tale contesto occorrerebbe allora riflettere sull'opportunità, de jure condendo, di intraprendere alcuni importanti correttivi del sistema normativo che possano garantire maggiori prospettive di autonomia, indipendenza e serenità a tale imprescindibile figura professionale cardine dell'amministrazione.


Alessio Piccirilli

Impiegato pubblico

Dottore in legge

[Fonte: www.studiocataldi.it]

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