Con la sentenza n. 14382/2025, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha affrontato una questione centrale in tema di esecuzione penale e misure alternative, stabilendo che la richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria non può essere rigettata con motivazioni apodittiche, nemmeno quando il condannato versi in condizioni economiche svantaggiate.
La pronuncia rafforza il principio secondo cui l'accesso a misure alternative alla detenzione deve avvenire nel rispetto di criteri oggettivi e motivazioni adeguate, evitando approcci formali o stereotipati, specie nei confronti di soggetti vulnerabili.
Nel caso concreto, un soggetto condannato a una pena detentiva breve, ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689/1981, aveva chiesto la conversione della pena in pena pecuniaria, come previsto per i reati di minore gravità.
Il giudice dell'esecuzione aveva però rigettato la richiesta, motivando il diniego con la difficile situazione economica del condannato, considerata "incompatibile con l'effettivo pagamento della sanzione pecuniaria", e ritenendo pertanto inutile o inefficace la conversione.
La Corte ha accolto il ricorso dell'imputato, censurando la motivazione addotta dal giudice dell'esecuzione per violazione dei criteri di proporzionalità e di motivazione imposta dalla legge. In particolare, ha affermato:
"La condizione economica disagiata del condannato non giustifica, di per sé sola, il diniego della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, se la decisione non è fondata su una concreta istruttoria e una motivazione specifica circa l'incapacità assoluta e definitiva di adempiere."
La Corte ha ribadito che la valutazione delle condizioni economiche non può essere stereotipata, ma deve tener conto:
Nel testo si legge che: "La pena pecuniaria costituisce una misura alternativa con funzione sostitutiva e rieducativa, il cui accesso non può essere impedito da una valutazione aprioristica delle condizioni del condannato. Il giudice deve compiere una verifica concreta e individualizzata, evitando automatismi incompatibili con i principi di legalità e proporzionalità."
In particolare, la Corte ha ritenuto che il riferimento generico alla "difficoltà economica" del soggetto non equivale a una prova di assoluta incapacità di adempiere, né giustifica la mancata valutazione di misure accessorie (es. rateizzazione, sospensione condizionale).