Con la decisione n. 386/2024, il Consiglio nazionale forense è intervenuto su una questione di particolare rilevanza nell'ambito dell'abilitazione all'esercizio della professione forense: l'utilizzo del titolo professionale conseguito in uno Stato membro dell'Unione Europea da parte di un cittadino italiano, con il sospetto di aggiramento delle condizioni richieste dall'ordinamento nazionale.
Il caso affronta un tema cruciale: la compatibilità tra libertà di circolazione dei professionisti nell'Unione Europea e i limiti oggettivi e soggettivi imposti dal diritto italiano per l'accesso alla professione forense.
Il procedimento disciplinare trae origine dal comportamento di un cittadino italiano che, dopo aver conseguito il titolo professionale di avvocato in altro Stato membro, ha fatto ritorno in Italia per esercitare la professione. La situazione ha sollevato dubbi circa la finalità elusiva del percorso estero, ipotizzando che lo stesso fosse stato intrapreso non per un effettivo radicamento professionale in quel paese, ma per aggirare ostacoli oggettivi o soggettivi che, nel territorio italiano, avrebbero impedito l'abilitazione.
Il Consiglio nazionale forense, pur riconoscendo la legittimità del conseguimento del titolo professionale all'estero, ha affermato un principio di diritto destinato a fare giurisprudenza:
«Deve escludersi l'abusività della condotta del cittadino che si rechi in altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia poi ritorno, anche dopo poco tempo, nella propria nazione per esercitarvi la professione di avvocato. È altresì vero che non viene meno la possibilità di verificare se, attraverso tale percorso, in realtà si persegua la finalità di esercitare la professione forense versando in condizioni oggettive e soggettive tali che al cittadino italiano precluderebbero invece l'esercizio della professione stessa».
Il CNF ha dunque ritenuto necessario salvaguardare il principio di effettività delle preclusioni previste dalla legge italiana, sottolineando che:
l'accesso alla professione forense in Italia è subordinato a requisiti di legge, che non possono essere bypassati tramite il solo riconoscimento automatico di qualifiche professionali estere;
non è configurabile l'abuso della libertà di circolazione quando il percorso formativo all'estero è reale, ma deve essere valutata la sostanza dell'attività e l'intenzione effettiva del soggetto;
l'autorità italiana ha il potere di verificare se l'interessato abbia effettivamente maturato competenze e radicamento professionale all'estero o se il titolo sia stato strumentalmente acquisito al solo fine di eludere preclusioni previste dal diritto interno.